domenica 30 settembre 2007

Bip... bip... biiiiiiip - Morte apparente

Causa connessione adsl defunta, ora resuscitata (dopo aver litigato con due gentilisssssimi operatori per telefono), aggiorno solo ora il blog.

Per fortuna sono ancora in tempo per cambiare la lista dell’ultima sfida libresca lanciata da Elisaday, che dopo averla scritta sul forum mi è morto il collegamento. Clicca sempre qui per saperne di più.

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Book to movie challenge - dal 1/10/2007 al 1/01/2008

In breve: si devono leggere almeno 3 libri dai quali sono stati tratti dei film, incrociandoli anche con quelli di altre sfide a patto che la lettura di questi ultimi sia rimandata con l’inizio di questa sfida.

La mia lista iniziale era:

- “Nanà” di Emile Zola
- “L'ammazzatoio” di Emile Zola

- “It” di Stephen King - pescato dalla sfida d'autunno ;-)
- “Querelle di Brest” di Jean Genet
- “Le memorie di Barry Lyndon” di W. M. Thackeray

- “Il tamburo di latta” di Grass

Poi mi son detta... Valeria, non fare troppo la sborona che poi va a finire che non leggi una mazza!

E allora l’ho sfoltita un po’. Ecco quella definitiva:

1) Nanà - Emile Zola

2) L’ammazzatoio - Emile Zola

3) It - Stephen King [sempre lui, pescato dalla sfida autunnale]

4) Querelle di Brest - Jean Genet

5) Angel - Elizabeth Taylor

E poi lo ammetto, “It” di King ho fatto apposta a inserirlo anche in questa sfida, così da rimandarne ancora per un po’ l’inizio della lettura. E’ che già penso agli eventuali incubi notturni...

Ultimi aggiornamenti: ho finito anche il secondo libro della sfida dei libri non letti. “Un angelo alla mia tavola” di Janet Frame. Presto la recenZione.

Harry Potter sta sempre là a far la muffa ed “Espiazione” di McEwan è fermo a metà - quanto la odio la bambina protagonista!

Nuovi manga in arrivo, letti a scrocco da mia sorella :-P, “Mayme Angel” della stessa autrice di “George” e “Candy Candy” [quand’è che si decidono a ristampare le avventure di Terence, Candy e compagnia??? io ho visto solo l’anime da bambina, ora vorrei leggere la versione originale!], e “Anatolia Story” la cui serializzazione è terminata mesi e mesi fa alla ragguardevole cifra di 28 numeri.

In settimana aspettatevi un mega post su manga, fumetti e libri e film e foto e...

Intanto domani mattina devo andare dal dentista. E già sudo. Ci vuole andare qualcun’altro al posto mio...?

mercoledì 19 settembre 2007

Fotografie, tre mostre a Milano, una gita in bici e un oggetto peloso

Attention please: come sempre, quando si tratta di foto, il post si fa lungo.

Qualche angolo del mio paese...

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Botero a Palazzo Reale - Milano [mostra visitata il 8/09/2007, e terminata il 16 settembre]

E’ la seconda volta che visito una mostra dedicata a Botero, se la prima mi aveva molto colpito per i toni sgargianti e i bizzarri soggetti, in questo allestimento invece non ho trovato nulla di esaltante.

A una parte storica, che ricopre gli ultimi dieci anni di lavoro del pittore, in cui erano presenti anche rivisitazioni di quadri famosi - buffa quella de “Gli Arnolfini” di Van Eyck - ma dove purtroppo diversi quadri esposti erano troppo simili a quelli già visti nella prima mostra (scarsa ispirazione?), seguivano tre aree monotematiche: settanta tra quadri e disegni a soggetto circense tutti uguali (!!!), dove almeno si poteva assistere ad un elogio alla donna burrosa: amazzone, domatrice, funambola e acrobata, si guarda sempre in giro con nonchalance anche mentre addossata ad una tavola sta per essere schivata dal lancio di coltelli; il suo corpo così morbido ma allo stesso tempo enorme, schiaccia l’uomo che praticamente in confronto è solo una pulce di topo.

Io, col mio corpo formoso (e ci vado a testa alta), non posso far altro che ringraziare Botero per non aver mai ritratto nei suoi quadri modelle propriamente “magre”.

La seconda area tematica era quella dedicata ai quadri ispirati alle fotografie scattate dagli stessi carnefici di Abu Ghraib.

Ottanta tra dipinti e disegni che secondo Sgarbi, presentatore della mostra, sono rivolti anche alle mamme e ai bambini. Non so però se li abbia visti sul serio, perché gli orrori fotografati e pubblicati sui giornali sono trasposti esattamente su tela da Botero.

Sangue, bastoncini di legno infilati nell’ano, torture, bocche urlanti, sevizie sessuali, uomini incappucciati, cani che digrignano i denti sanguinolenti, brandelli di carne...

Mi sono spaventata e turbata io, figuriamoci un bambino in età scolare.

In conclusione, penso che Botero sia sì passato alla storia con il suo modo di fare pittura, ma ormai personalmente noto (io) che la scarsità di soggetti unici nella sua arte purtroppo abbonda.

Con lo stesso biglietto d’ingresso si poteva visitare anche la mostra su Gianfranco Ferroni. Chi? Gianfranco Ferroni! Va beh.

Due parole per riassumere le sue opere? Avete presente la poesia di Baudelaire “Spleen”?

“Quando basso e pesante il cielo grava

Come un coperchio al gemebondo spirito

Preda di lunghe accidie, e a noi, abbracciando

Tutto il cerchio dell'orizzonte, versa

Un buio lume, più triste che notte;

Quando la terra si trasforma in umido

Carcere dove la Speranza, come

Un pipistrello, se ne va sbattendo

Contro i muri la sua timida ala,

Urtando il capo a putridi soffitti;

Quando la pioggia, stendendo le sue

Immense strisce, imita le sbarre

D'una vasta prigione, e un muto popolo

Di ragni infami al fondo del cervello

Viene a tenderci le sue reti, - a un tratto

Campane erompono furiose e lanciano

Verso il cielo uno spaventoso urlo,

Come spiriti erranti e senza patria

Che diano in gemiti, ostinatamente.

E dei lunghi, funerei cortei

Vanno sfilando nell'anima mia

Senza tamburi né musica, lenti.

È in lacrime, ormai vinta, la Speranza;

L'atroce Angoscia mi pianta, dispotica,

Sul cranio chino il suo vessillo nero.”

Ecco, uguale.

Nella piazza su cui si affaccia Palazzo Reale c’erano alcune sculture giganti di Botero. Tra tutta la mostra ho preferito di gran lunga quelle sculture all’esterno, alcune di donne morbide dai capelli lunghi, le altre di un micio grasso e una coppia danzante.

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[lei è la mia preferita! - fronte]

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[retro]

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[tutti si facevano fotografare davanti al gatto, io l’ho fatto sul “dietro” ^^ -

un grazie alla signora in fucsia con valigia... -__-‘]

Colgo l’occasione per parlare velocemente anche di due altre mostre, visitate quest’inverno (emh... emh...) e in primavera e di cui non ho avuto tempo di scrivere. Così, giusto per ricordarMI (promemoria ;-P) che sono andata a visitare anche quelle.

In particolare quella su Antonio Donghi sempre a Palazzo Reale [visitata il 12/05/2007].

Donghi è davvero poco conosciuto, eppure tra gli anni Venti e Trenta era uno fra i pittori più richiesti anche all’estero, grazie al suo stile che per l’epoca era molto innovativo. I suoi soggetti si inseriscono in quello che viene definito “realismo magico”, una corrente sia pittorica che letteraria in cui viene rappresentata una visione del mondo e della vita quotidiana più realistica possibile, mantenendo però un’atmosfera sospesa e immobile, a volte distorta, allucinata, con dettagli curati e definiti geometricamente nello spazio.

Un esempio è questo dipinto, il mio preferito tra tutta la produzione di Donghi:

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[Circo equestre, 1927]

Questo quadro era esposto alla mostra, e tutto concorre secondo me a prenderlo come esempio del realismo magico, nei dettagli degli abiti, nello sguardo beffardo del pagliaccio rivolto a chi guarda il dipinto, nello scenario così scarno ma efficace per costruire intorno ai due protagonisti una storia (purtroppo l’immagine è di pessima qualità, troppo scura e sfocata).

Io ho scoperto Antonio Donghi dopo aver visto il film “L’amore ritrovato”di Mazzacurati ispirato (e sottolineo ispirato, mica tratto!) al breve romanzo “Una relazione” di Carlo Cassola (un’altra delle mie fisse è per questo scrittore). Il regista si è basato sui dipinti di Donghi per ricostruire le atmosfere, le scenografie e i costumi per il suo film, tanto da ricreare alcuni quadri all’interno delle riprese come tableaux-vivants.

Peccato che del pittore ci siano in giro pochissime monografie (giusto un paio e tra l’altro vecchie come il cucù, se dico poco), la mostra a Palazzo Reale ha compensato un po’ la mancanza con il catalogo pubblicato appositamente.

L’altra mostra è sul fotografo Henri Cartier-Bresson - “Di chi si tratta?”, allo Spazio Forma di Milano [visitata il 24/02/2007].

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[Hyères, 1932]

Bella la prima parte con gli scatti più famosi, meno indimenticabile la seconda con le fotografie dei reportage in Messico, India e Cina. Per quest’ultimo paese indubbiamente sono fotografie che fissano uno dei momenti più importanti del paese, la rivoluzione culturale, ma sono quelli che mi sono piaciuti di meno.

Ho preferito, come già detto, gli scatti storici, quelli che hanno cambiato il modo di fare fotografia, di cogliere l’aspetto più insignificante del mondo e trasformarlo in arte.

Al pari di questi c’erano quelli sistemati in una sala a parte, piccole stampe (ad esempio scattate in un campo di prigionia dopo la liberazione nel 1945) che accompagnavano le fotografie di famiglia e brevi cenni sulla vita di Cartier-Bresson.

Tuttavia l’allestimento della mostra non era uno dei migliori, con fotografie sistemate troppo in alto - si faceva fatica a vederle, o troppo in basso - tutti col sedere all’aria... e in alcuni casi mancavano anche le didascalie.

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Domenica gita in bici:

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E per ultimo le foto di uno dei due nuovi membri di famiglia.

Pelosi. ^^

Lei si chiama Zoe, ha da poco compiuto quattro mesi e con oggi è una settimana che è con noi.

Minni (ormai abituata ad essere l’unica gatta di casa dopo che quattro anni fa Baffi, a 13 anni di età, se n’è andata... ;-( ), non vede di buon occhio Zoe. Però oggi sono state rintanate sotto al letto di mia sorella per dieci minuti buoni a guardarsi sospettose. E’ già qualcosa. :-P

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[ha le zampine metà rosa e metà nere!]

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Giusto per non essere da meno metto anche un’altra foto della Minni (la prima è in qualche post fa):

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[non sembra, ma era felice mentre la “stringevo”, eh eh eh]

Le foto dell’altro animale peloso arriveranno a breve, dato che è ancora un po’ spaesato e immortalarlo così non è un granché..

domenica 16 settembre 2007

Tre libri - due manga

Sparatevi questo post tutto di fila che già qualcuno ;-P nei commenti precedenti si è lamentato del mio silenzio.

Ma è che questa settimana è stata scombussolata dall’arrivo di un paio di nuovi membri in famiglia... ^^

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Chiedi alla polvere

John Fante

Einaudi - Stile libero, Einaudi, 9.50 €

La storia è semplice: lui è un sognatore e cerca di sfondare nel campo dell’editoria con i suoi racconti, lei fa la cameriera e gli serve un caffè. Che è rancido.

Non possono innamorarsi come nelle tradizionali storie d’amore, c’è da subito qualcosa di sbagliato nel loro rapporto. Di malato, di violento, di incompiuto, di impossibile.

Lui si consumerà all’infinito per lei che, scostante, bizzarra e a volte cinicamente affettuosa, non gli cederà mai completamente.

Una vicenda così sofferta e complicata potrebbe risultare indigesta, eppure “Chiedi alla polvere” è un romanzo bellissimo.

Arturo si innamora quasi per gioco di Camilla, perché è solo in una nuova città e da mesi non riesce a scrivere qualcosa di decente. E’ depresso e sul lastrico, e quella ragazza strana che serve ai tavoli in maniera noncurante attira la sua attenzione.

Camilla accetta Arturo ma solo per dimenticare un altro uomo, uno viscido e schifoso, che si comporta malamente con Camilla come lei fa con Arturo.

Camilla e Arturo: una spirale di sentimenti deleteri e comportamenti ossessivi. Che però è nella sua disarmonia molto più vicino alla realtà di qualsiasi altra storia di crescita e di amore.

Fante descrive il tutto dal punto di vista del protagonista maschile, che non smette un solo momento di vedere e analizzare ciò che gli accade in maniera pungente e ironica, tanto da strappare anche qualche sorriso; anche quando si lascia prendere dalla disperazione Arturo ne esce come un personaggio determinato, cocciuto e a volte cattivo, ma anche terribilmente indeciso.

“O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.” (capitolo 1, pag. 1).

Un personaggio alla ricerca di un proprio posto nel mondo, che fa le sue esperienze, cerca l’amore e il successo, affamato com’è di vita. Trova tutto per metà e rimane con l’amaro in bocca.

Ma se avesse ottenuto dal mondo e dalla vita tutti i desideri non sarebbe stato Arturo Bandini e, soprattutto, non sarebbe stato un libro di John Fante.

9/10

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Il giardino dei Finzi-Contini

Giorgio Bassani

Classici moderni, Mondadori, 8 €

Come “In nome dei miei” di qualche recensione fa, anche questo libro mi era stato prestato dalla stessa amica di tanti anni fa.

Del libro non ne avevo un bel ricordo. Pensando che fosse dipeso solamente dall’età troppo giovane con la quale mi ero avvicinata al romanzo, speravo ora che il giudizio negativo si sarebbe ribaltato in una lettura piacevole, trattandosi dopotutto della cronaca di un amore giovanile.

Purtroppo la storia è di nuovo risultata lenta, tristemente introspettiva e minata da lunghe digressioni - soprattutto nei primi capitoli - che, pur dando un più specifico quadro generale del mondo del protagonista e degli amici, si staccano troppo dal filo del discorso costringendo a volte la narrazione a dei bruschi ritorni “in tema” un po’ spiazzanti.

La storia d’amore narrata poi si basa esclusivamente sulle congetture del protagonista-narratore, rimanendo in ogni caso un sentimento platonico mai ricambiato dalla figura femminile - Micòl. Il lettore viene così costretto ancora una volta a seguire i sogni e le divagazioni, a volte patetiche e deprimenti, della voce narrante che spaziano addirittura fino all’immaginare una vita insieme. Ma a che scopo?

Ne esce, questo sì, un personaggio femminile superiore, ma ho l’impressione che Bassani si limiti soltanto a guardare alla vita da fuori, a immaginarla e continuamente sognarla - non a viverla davvero.

Lo stesso giardino del titolo serve a tutti i personaggi come luogo di isolamento da quello che nel mondo negli anni tra il Trenta e il Quaranta stava accadendo: le leggi razziali, la deportazione, la guerra [diversi personaggi sono infatti ebrei].

Un po’ come la villa occupata dai protagonisti de Il Decamerone di Boccaccio in fuga dall’epidemia, anche quelli di Bassani si rinchiudono al di là delle mura del giardino per non vedere quello che sta accadendo fuori.

Ma la vita va affrontata di petto, e quando i ragazzi saranno costretti ad abbandonare la sicurezza del giardino ormai sarà tardi per abituarsi alla dura realtà, e quello che aspetta tutti loro sarà solo l’arruolamento nell’esercito, la morte o la solitudine.

7/10

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Il velo dipinto

W. Somerset Maugham

Biblioteca Adelphi, Adelphi, 18 €

Quando qualche mese fa uscì il film tratto da questo romanzo pensai subito, vedendo il trailer, al solito filmone epicamente romantico, e che il libro non fosse da meno. Poi ho visto quel “dal romanzo di W. Somerset Maugham”, e sono andata subito in cerca del libro.

Che in sostanza è: giovane ragazza degli anni Venti [il romanzo è del 1925], succube come la sorella e il padre della madre tiranna e acida, nel panico sposa il primo uomo che le capita a tiro - un asettico e marmoreo batteriologo - per salvarsi la reputazione agli occhi materni.

I due sposi dall’Inghilterra volano ad Hong Kong dove lei, diventata la tipica mogliettina insoddisfatta, cede al fascino di un ammaliante e manipolatore dipendente governativo.

Già così si può capire come Maugham, famoso per il suo pessimismo e il lato cinico con cui guarda ai vizi degli uomini, soprattutto quelli delle donne che condanna senza mezzi termini, non lesini a mostrare tutti i - a suo dire - doppi lati femminili, salvo poi, proprio in questo romanzo, lasciare che la parola speranza sia associata ad uno di quei personaggi - la protagonista Kitty - dopo averne elencato e minuziosamente esaminato tutti i comportamenti che definire “libertini” è per lui troppo poco.

Kitty infatti ci viene subito presentata in atteggiamenti poco adeguati, abbandonata tra le braccia dell’amante Charlie mentre qualcuno li sta spiando; non ti potresti certo innamorare empaticamente di un personaggio così superficiale ed egoista, ma con lo scorrere delle pagine accetti le sue decisioni e il suo doppio gioco ai danni del marito, sempre più rabbuiato e depresso, perché è pari a un modo per riscattarsi dalla presenza materna che, anche con così enorme distanza di luoghi, opprime anche in Cina la vita di Kitty.

La narrazione si fa però ancora più interessante nel momento in cui Kitty è costretta a partire con il marito Walter Fane per un piccolo villaggio della campagna cinese in cui imperversa un’epidemia di colera.

Il terrore del contagio, l’ambientazione esotica che da quel momento entra in maniera vivida a far parte della narrazione - della Cina fino a quel momento si è accennato poco, solamente che il clima è umido e che i cinesi che lavorano in casa Fane sono brutti, svogliati e tonti - il rapporto teso e problematico tra Walter e Kitty, la continua messa in discussione della vita di quest’ultima sempre sola nella squallida casetta circondata dall’epidemia, l’entrata in scena di un paio di personaggi davvero ben tratteggiati caratterialmente (vedi la Madre Superiora e il collaboratore di Walter), ma soprattutto la figura di Walter Fane che si comincia a delineare maggiormente seguendo i pensieri della moglie, movimentano il racconto tingendolo quasi d’avventura.

Il personaggio di Walter è poi secondo me l’oggetto narrativo di spicco dell’intero romanzo: non appare quasi mai in scena, ma la sua scomoda figura - così cupa e depressa - è comunque e costantemente tra le righe della narrazione.

Kitty lo compatisce e non lo ama. Le fa pena quell’uomo dedito al lavoro e così sterile di sentimenti, apatico.

Eppure Walter è in realtà così diabolico, cattivo e cinico, da far scomparire l’indifferenza con cui l’amante di Kitty apprende la partenza della ragazza verso una zona in cui potrebbe contrarre il virus e morire.

La personalità di Kitty non è quindi la sola ad agire in maniera duplice: Walter agli occhi delle suore del convento che lui assiste e al cospetto del collaboratore, è un uomo buono, affettuoso, ma fra le mura domestiche si rivela malvagio e sprezzante.

Eppure è un personaggio che mi affascina, sarà perché lo si conosce solo attraverso le parole di chi gli sta attorno, e restando quasi sempre dietro le quinte lo si carica di maggiore interesse seduttivo. Alla maniera dei film di Hitchcock quando il “cattivo” è un uomo.

Tuttavia la storia finisce seguendo le decisioni di Kitty, l’unica che resterà presente nelle pagine fino all’ultimo rigo e alla quale è affidato un messaggio non più funesto ma di proseguimento dell’esistenza.

Comunque, tra tutti, continuo a preferire Walter Fane, così maledetto a cui tocca una fine quasi eroica, e fino all’ultimo detentore del detto “nessuna pietà”.

9/10

P.S.: questo romanzo fa parte dei sei libri che ho scelto per “La sfida dei libri non letti”. Clicca per saperne di più.

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“Emma” n. 5: cosa potrebbe accadere a Emma e William se riuscissero a sposarsi in santa pace? Kaoru Mori ce lo spiega facendoci assistere a un lungo flash-back in cui si susseguono le tappe percorse dai genitori di William fino alla loro separazione per salvare la “facciata” in società. Ipocrisia, cattiveria e maldicenza sono i fattori che hanno causato maggiormente la decisione definitiva dei due; così Aurelia e Richard, seppur distanti sentimentalmente, temono entrambi che possa succedere lo stesso se sarà Emma, e non Eleanor (intanto sempre più depressa e trascurata dal fidanzato), a diventare la moglie di William.

[Un appunto alla pagina che di questa prima parte del volume mi ha molto colpito: la prima del capitolo 31, con Aurelia e Richard che si incrociano su un sentiero in mezzo al bosco, lui a cavallo e lei con il classico ombrellino parasole tutto pizzi e volant. Un fermo immagine così romantico...!]

Intanto viene completamente omessa la parte successiva al risveglio di Emma nella casa del ricevimento a cui la sera prima aveva partecipato come accompagnatrice. Così rimarremo per sempre nel dubbio di che cosa hanno fatto, William ed Emma, prima del ritorno di quest’ultima a casa dei coniugi tedeschi.

Qualcosa sarà successo, tanto che si nota chiaramente il punto di rottura tra la vecchia Emma - delicata, silenziosa, mite - e quella nuova nel momento in cui si guarda allo specchio dopo essersi cambiata d’abito per iniziare il turno di lavoro durante una delle belle e solite [solite non è in senso negativo] sequenze mute. Emma si fissa allo specchio e poi si volta di scatto verso noi lettori. Il tutto è racchiuso in questo veloce passaggio.

Da quel momento Emma con i colleghi di lavoro appare più loquace e quel figone di Hans *sbaaav* la aggredisce facendole notare che odia le persone che “nascondono qualcosa” vedendola talmente cambiata in così poco tempo. Lei per tutta risposta gli chiede, e SI chiede, “Davvero...? Sono cambiata...?”, pensando forse che un rivolgimento psicologico così bizzarro fosse normale. Normale per lei, ma Mori... per noi lettori no! Spero farai qualche paginetta extra sull’episodio taciuto accaduto a Londra fra i due protagonisti...

Se a vita nuova corrispondono nuovi modi di vivere e comportarsi, Emma lo dimostra accettando un tenero ma piuttosto banale scambio epistolare con William. I due, separati da svariati chilometri, si tengono in contatto e approfondiscono la reciproca conoscenza attraverso delle lettere i cui argomenti però non vanno oltre il “signorina mi manca - anche lei mi manca”, perché quasi subito si approda, con una sequenza assolutamente perfetta dall’atmosfera al taglio delle inquadrature, alla decisione di un incontro. Immediato.

Emma letteralmente VOLA fra le braccia di uno spaesato William di fronte a tutta la cricca che lavora con lei e ai datori di lavoro.

Che??? Ho visto bene?!?

Ho dovuto rileggere l’intero volume per una seconda volta perché avevo paura di essermi persa qualche passaggio importante. E invece NO. Emma è davvero cambiata. E’ INNAMORATA. Così tanto che se ne frega di tutto il resto. Però la Mori, che ha tagliato e incollato a suo piacimento *perrrfida* la storia, anche in questo caso mi ha lasciata basita.

Non siamo mica abituati a questi cambiamenti narrativi, prima ci veniva raccontato tutto, tuttalpiù attraverso successivi flash-back, ma ormai gli argomenti narrati portano verso nuove cose e non credo che la Mori ci ritorni su, sarebbe uno spreco di tempo anche perché un nuovo personaggio è entrato in scena: il padre di Eleanor che dispensa mazzate a destra e a manca, molla la mantenuta in carica e quasi sputa in un occhio al padre di William durante la cena ufficiale per decidere del fidanzamento dei rispettivi figli.

Dai, dai, quand’è che esce il n. 6? Muovetevi!

[Cecilia, te l’ho fatto penare questo commento, eh? :-P]

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“Blood Alone” n. 3: con orrore noto che questo numero pullula di ammmore e cuoricini sospiranti.

Di vampiri, sette segrete, pistole e spiriti vaganti non c’è traccia mentre Misaki pensa che scambiarsi di bocca il beccuccio per gonfiare il salvagente con Kuroe è un po’ come “baciarsi indirettamente”.

Poi c’è l’amica poliziotta di Kuroe che soprapensiero cade dal divano, e *rotol rotol* rotola sul pavimento pensando a lui.

Poi ancora, spunta un vestito su cui è appuntato il biglietto “Vestito che ho indossato per il primo appuntamento con Korue” con relativa tragedia per l’accidentale perdita del suddetto.

Cazzarola, pensavo che i tempi di “Piccoli problemi di cuore” fossero passati da un pezzo.

venerdì 7 settembre 2007

The Creepy Autumn Challenge

In attesa di nuove recenZioni, mi sono divertita a partecipare ad un’altra reader challenge.

Questa volta tocca alla Paurosa Sfida Autunnale (23.09.2007 - 21.12.2007) che ha a che fare con i libri de paura.

Sempre sul gruppo di riferimento di Anobii - Readers Challenge potete trovare tutti i dettagli e le regole del gioco.

Dato che sto già partecipando alla Sfida dei Libri non Letti e siccome i giorni durano solo 24 ore -_- ho scelto solamente il Quarto Pericolo con il temutissimo...

“It” di Stephen King

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Guardatelo. Guardate quel amorevole clown colpevole di tutti i miei incubi infantili.

Avevo circa 9 anni, trasmisero per la prima volta in tv il film tratto dal romanzo di King e siccome tutti i miei compagni di classe l’avrebbero visto, pure io non potevo essere da meno. E no.

Così io e mia sorella (stessa età perché siamo gemelle) convincemmo i nostri genitori a farcelo vedere.

Inizia il film. Mia sorella rideva, per me è stata una tragedia.

E’ colpa di quell’uomo se per svariati mesi, quando entravo nella doccia di casa per lavarmi, davo sempre un occhio allo scolo per accertami che non schizzasse fuori del sangue. E’ colpa sua se non mi avvicinavo più ai tombini col terrore di vederlo dentro sorridente a chiedermi se voglio giocare con lui. Ed è ancora colpa sua se sognavo palloncini rossi volare.

Adesso però ho quasi 26 anni e sarebbe ora di esorcizzare queste angosce che, anche se non con quella intensità, ogni tanto ritornano...

Giuro che da allora non sono più riuscita a rivedere quel film, anche se la scorsa estate ho preso in edicola la prima uscita della raccolta di dvd tratti dai romanzi di King, e il primo era proprio “It”. Beh, è là con diciotto chili di polvere, sistemato in modo da non vederne la locandina con la faccia di It in primo piano, ma è stato già un passo avanti.

Ora con il libro devo fare però sul serio.

Già a cercare immagini di It su Google è stata dura, ho scelto la prima e più innocua che ho trovato, comunque ho ancora due settimane di tempo per prepararmi psicologicamente, poi si inizia a leggerlo.

Fatemi un in bocca al lupo. Anzi, in bocca al clown?