sabato 23 agosto 2008

In partenza

Anche quest’anno tre settimane di vacanza a casa a far la muffa [ma ho letto più libri dell’anno scorso - sììììì, che goduria - e se va avanti così comincerò ad assomigliare ad un incrocio tra una talpa e un topo da biblioteca], e una soltanto fuori casa.

Stasera parto per la Valle d’Aosta e vengono con me "Liberazione" di Sándor Márai e "Vita" di Melania Mazzucco.

Sarò di ritorno il 31 agosto.

Un saluto a tutti!!!

Vi lascio con la recenZione dell’ultimo libro letto per la sfida delle scrittrici donne su Readers Challenge.

img93/7333/cmaygr1.jpgLa storia di Chicago May

Nuala O’Faolain (letto: Nolu Ofoulin)

Biblioteca della Fenice, Guanda, [regalo!]

Spinta da un impulso maniaco da Esselunga mesi fa avevo arraffato nel reparto edicola questo volume, accortami però del suo non esattamente esiguo prezzo di copertina l’avevo abbandonato al suo triste destino.

Poi però me lo sono visto arrivare in regalo. ;-B

E’ la vera storia di May Duignan, diciannovenne irlandese che nel 1890 si imbarca per gli Stati Uniti in cerca di fortuna.

Dopo varie peregrinazioni approda senza fissa dimora a Chicago, diventa la famigerata Chicago May e si mantiene vivendo di furti, truffe e prostituzione legandosi periodicamente a uomini balordi e maneschi con i quali scorrazza per mezzo mondo, isole comprese.

Seguendo le rocambolesche avventure di May basate sull’autobiografia scritta di proprio pugno nel 1928 e recuperata, rivisitata e approfondita dalla scrittrice Nuala O’Faolain, ci viene anche dato un quadro generale delle esistenze di chi, a cavallo dei due secoli, viveva ai margini della società.

La O’Faolain infatti alterna le vicissitudini di May a spiegazioni e aneddoti storici di quel periodo, facendo conoscere al lettore numerose altre esistenze di donne e uomini simili a Chicago May: tra i più famosi Etta Place, Eddie Guerin e Constance Gore-Booth.

In totale quarant’anni di vita sulla strada di May corrispondono a quarant’anni di trasformazioni di usi e costumi, curiosità e cronache dell’America dei bassifondi tra il 1890 e il 1928.

Nel libro sono anche illustrate le “funzionalità” delle carceri statunitensi, europee e delle colonie francesi: la stessa Chicago May finirà per spendere in totale quindici anni della sua vita in cella, di cui dieci tutti di fila in un carcere inglese in cui le condizioni di vita erano abominevoli tra sporcizia, malattie e possibilità di morire di inedia.

Uscita dal carcere e rispedita negli Stati Uniti il suo passato e quindi le possibilità del suo futuro vengono commentati così dall’autrice: “Non è più giovane, eppure con il passare degli anni non ha costruito niente”.

Non c’è dubbio che vivere un’esistenza come quella di May, fatta di alti e bassi tra ricchezza sfrenata e povertà desolante, amori emozionanti fatti anche di botte, viaggi per il mondo e conoscenze anche altolocate, sia stato appassionante e stupefacente; soppesando però i lati negativi di tutto questo - a mio parere, purtroppo, di gran lungaLa copertina dell'edizione americana - moooolto più bella maggiori rispetto a quelli positivi - non so se sia valsa la pena vivere così... anche perché la vita di May non finisce all’uscita dal carcere inglese ma prosegue ancora e ancora. Non dico cosa le capiterà di nuovo fino alla sua morte, ma leggerlo è stato avvilente.

D’altronde però mi capita sempre di pensare così, combattuta tra commenti esaltanti e altri invece più razionali, delle storie come quella di May Duignan.

Ne consiglio la lettura a chi si è appassionato a “Il petalo cremisi e il bianco” di Faber: vi ritroverà tutta quella ricostruzione storica approfondita, con l’aggiunta di stare leggendo una storia vera tra l’altro scritta in maniera molto scorrevole senza però dimenticare sensibilità e classe nel narrarla.

Un’altra donna di cui vi consiglio di leggere l’autobiografia è Bertha Thompson. Il suo libro si intitola “Box-car Bertha” ed inizia quando le memorie di Chicago May finiscono, e si protraggono fino alla prima metà degli anni ’30. Qui la mia vecchia recenZione.

8/10

domenica 17 agosto 2008

Memorie d'una ragazza perbene

img128/590/memorieragazzaxl2.jpgMemorie d’una ragazza perbene

Simone de Beauvoir

Einaudi Tascabili Scrittori, Einaudi [regalo!]

Primo approccio con questa scrittrice di fama mondiale per le sue teorie filosofico-femministe.

Avrei voluto iniziare a conoscerla partendo da “Il secondo sesso”, ma siccome mi è arrivato (in regalo) prima questo ho iniziato così dalla prima parte [di tre] dell’autobiografia della scrittrice.

Il volume tocca dall’infanzia ai vent’anni dell’autrice, trascorsi a cavallo della Prima Guerra Mondiale quando una donna doveva sottostare a rigidi canoni comportamentali ed etici: credere in Dio, aspirare ad una vita come moglie e madre, limitare pensieri propri e studi sconvenienti, frequentare solo determinate persone e, in pratica, assoggettarsi in tutto e per tutto al volere e agli ordini dei genitori, anche quando si ha ormai un proprio lavoro e deciso personalmente del proprio futuro.

A Simone tutto questo stava stretto e già da acerba adolescente si poneva quesiti e formulava opinioni molto d’ ”avanguardia”, sia per la giovane età sia per il periodo in cui cresceva.

Avida di sapere, di letture (incredibile la quantità di libri letti in soli vent’anni) e di novità riesce a convincere i genitori a permetterle di proseguire gli studi fino all’università e ad approfondire le conoscenze in campo filosofico, sua grande passione. Tutto questo però la porterà ad avere enormi e dolorose incomprensioni con entrambi i genitori, verso i quali sente di avere poca considerazione così come verso tutti i parenti e famigliari. Simone è diversa e troppo smaniosa di emancipazione per essere benvoluta e lei stessa si accorge di non rappresentare per la famiglia null’altro che un penoso fastidio.

Il rapporto conflittuale con i genitori condizionerà la sua crescita, nonostante Simone riesca a proseguire verso i suoi sogni; tutti gli anni dell’adolescenza e della prima maturità saranno segnati da profonde crisi e continui attacchi di malinconia e solitudine.

I suoi studi però proseguono brillantemente e il suo stile di scrittura è saldamente unito all’introspezione psicologica e ai concetti filosofici studiati ed elaborati da lei stessa.

L’autobiografia è così molto approfondita e nulla viene lasciato alla semplice memoria descrittiva: ogni passaggio ed avvenimento dell’esistenza della de Beauvoir è analizzato e ricondotto alla razionalità, allo scrutare i cambiamenti psicologici e alla crescita personale e spirituale della stessa.

Difficile quindi prendere questa autobiografia alla leggera, non è certo una lettura facile e di banale reminescenza, alla base c’è tutto quello che passava nella mente della de Beauvoir da giovane e il lettore non può tralasciare nulla. Altrimenti non capirebbe l’essenza di questa scrittrice.

“Ma i libri mi rassicuravano: parlavano, non dissimulavano niente; in mia assenza, tacevano; quando li aprivo dicevano esattamente ciò che dicevano (...)” - pag. 53.

8/10

[libro letto per la sfida delle autrici donne in Readers Challenge]