lunedì 27 febbraio 2006

"Figli di un dio minore" di Randa Haines (1986)


Classico film d’amore con dei picchi di “saggezza”sparsi qua e là.
Purtroppo questo film è così, un misto tra “Love story” e “L’olio di Lorenzo”.
Nonostante si sia cercato fin dalle prime scene di rendere alto il livello della pellicola, quando (guarda caso proprio a metà film) il lui della situazione si dichiara appassionatamente a lei, sola e muta che ramazza la scuola in cui lui lavora, ecco, da quel momento il tutto prende la solita piega da film romantico strappa lacrime in cui i due già progettano di avere tanti bei bambini e di non tenere in conto i giudizi degli altri.
Tanti i momenti in cui ho pensato “Ecco, ci mancava solo questo!”, uno su tutti: la già citata sequenza in cui lui si dichiara con la solita battuta “Credo… che mi sto… innamorando… DI TE!” (dove ogni puntino di sospensione va soppesato bene per aumentare la suspance), e dove inoltre sempre lui si accascia precipitando nella piscina dove lei sta sguazzando “ignuda”. Dato che lei è già nuda, secondo voi come finisce la sequenza? Ecco, esatto.
L’intreccio risulta essere così troppo prevedibile; ma anche al di là della costruzione artefatta, il film non ha dei momenti che potrebbero essere considerati ben riusciti.
Sarò ripetitiva, ma il tutto è da riassumere in un’unica parola: melenso.
L’attenzione non è focalizzata sulla condizione in cui si trova Sarah, la protagonista femminile, sorda pressoché dalla nascita che tenta in tutti i modi di far capire a chi le sta attorno che non è una persona inutile perché sorda ma che deve essere considerata come qualsiasi altro uomo, invece si concentra sulla relazione che la giovane allaccia con John, il che riduce il tutto alla solita storia d’amore.
Che senso ha, quindi, un film del genere? Ce ne sono già fin troppi.

6½/10

P. S.: Ammetto però che mentre guardavo William Hurt gongolavo. Eh, sì, che ci posso fare? Ho un debole per lui, anche se ho storto il naso quando ho confrontato il lui di “Jane Eyre”, dove aveva quel bel paio di basettoni folti, e il lui di “A history of violence” dove il chirurgo gli ha tirato un po’ troppo le rughe.

sabato 25 febbraio 2006

"L'angelo della vendetta" di Abel Ferrara (1981)


Pensavo di trovarmi di fronte ad una pellicola alla “Taxi driver”, invece qui si seguono le vicende di una giovane sartina che, dopo esser stata violentata due volte nel giro di un’ora, decide di eliminare gli uomini dalla faccia della terra, perché è sicuro che il genere maschile cospira contro di lei.
E’ sicuramente un B-movie, ma curato e con una trama ben delineata, anche se il tutto scade nel grottesco e nell’irreale, strappando anche qualche risata.
Scommetto che le femministe, quando il film uscì, lo mostrarono come monito a tutti gli uomini (che nel film sono immancabilmente dipinti come dei maniaci assetati di sesso), perché i poverini avrebbero potuto fare una delle tante fini che Thana, la protagonista, infligge ai malcapitati.
Ad esempio: dopo aver segato a pezzi uno dei due stupratori, lo surgela nel freezer e poco alla volta se ne sbarazza, o gettandolo nell’immondizia o riducendolo in macinato per gustosi manicaretti destinati al cagnetto della vicina.
E il cagnetto gradisce (no, non erano i testicoli).
Ma la vendetta del titolo si compie fino a un certo punto, perché si sa che i cattivi vanno puniti ma anche Thana ormai deve essere eliminata perché colpevole.
Il finale quindi, che poteva rimanere sul filo dell’ironico, scade nel solito senso religioso cattolico.

6/10

domenica 19 febbraio 2006

"Italiani all'opera" di Pierluigi Panza

Non so ancora come riassumere in una frase quello che penso di questo libro. Forse un semplice “non mi è piaciuto” andrebbe più che bene.
Da Ponte racconta in punto di morte la sua vita, fin qui niente di illeggibile, ma dopo poco meno di dieci pagine la narrazione si focalizza di volta in volta su un personaggio dell’epoca diverso: musicisti, cantanti lirici, nobili e così via. In questo modo, oltre alla vita di Da Ponte, ci vengono raccontate altre noiose storie sottoforma di capitoletti monografici. In questo senso il libro sarebbe utile per un esame di musicologia, o altre materie a vostro piacimento.
A metà libro ne avevo già abbastanza di “giovin signori”, “terga al vento” e “pulzelle birichine”; un miracolo che sia riuscita ad arrivare alla fine.

4/10

P. S.: non vorrei sembrare pedante, ma durante un’intervista all’autore trasmessa in tv, si elogiava l’impaginazione del libro e le graziose immagini d’epoca inserite in ogni capitolo. Ecco, non so se avete aperto a caso questo volume, ma i disegni elogiati sono microscopici e per di più in bianco e nero.

venerdì 17 febbraio 2006

"Orgoglio e pregiudizio" di Joe Wright (2005)


Solitamente gli editori tendono a rilanciare sul mercato un libro, che ormai nessuno legge più da secoli, appena questo è rispolverato per farne un film di successo con un cast adeguato per far slittare alle stelle il botteghino.
In questo caso (almeno per ora) di nuove edizioni cartacee con Keira Knightley in copertina non ne sono state stampate, e non ho nemmeno visto con noia la solita martellante pubblicità riguardo al film su giornali e quant’altro.
Lo stesso cast, a parte la Knightley, Judi Dench e Donald Sutherland, almeno qui in Italia è piuttosto sconosciuto.
Tutto questo, secondo me, sottolinea che non si è voluto fare del film il solito prodotto commerciale destinato a rimanere nei ricordi degli spettatori per quella figona di Keira Knightley ma, anzi, il leggero anonimato con cui è passato sugli schermi italiani (quando l’ho visto io, in sala eravamo sì e no in quindici) l’ha reso un film (quasi) d’elite, o comunque una pellicola per gli amanti del vero cinema.
Ho apprezzato molto la decisione del regista di non “modernizzare” i dialoghi, perché solo in questo modo si possono capire adeguatamente i personaggi e le loro azioni; sotto questo punto di vista il film ha retto egregiamente il confronto con il libro della Austen, rimanendogli il più fedele possibile.
Erroneamente a quanto si dice riguardo al personaggio di Mrs Bennet, non si è voluto dare un tocco di attualità al film modificando il personaggio per renderlo vicino ai nostri tempi, ma l’allegra signora è proprio così anche nel libro.
Non si deve pensare che Jane Austen, avendo scritto il romanzo nei primi dell’Ottocento, non potesse avere “sense of humor”, ma, anzi, ce l’aveva eccome, basta leggere uno qualsiasi dei suoi romanzi per accorgersene.
Un particolare che ho notato con sorpresa è che non c’è nemmeno un bacio, nonostante nasca più di una storia d’amore nel corso del film; questo non è un lato negativo, ma credo invece che sia una scelta giusta ed adeguata, se ce ne fosse stato anche solo uno il tutto avrebbe perso di bellezza e sarebbe precipitato nello scontato, perché non è un bacio che rende romantico un film.
Altri punti a favore del film sono i costumi e tutta la ricostruzione scenografica, davvero bella e di grande effetto, così come la colonna sonora che è un qualcosa di talmente coinvolgente da far emozionare più della stessa bellissima fotografia; se il film vincesse l’Oscar per “Miglior colonna sonora” non mi stupirei affatto (e poi il compositore è un nostro connazionale).
Bravissimi gli attori, anche le più giovani che interpretano le sorelline di Elizabeth e che saltellano con gridolini all’arrivo dei giovani ufficiali, un po’ come farebbero oggi le ragazzine alla vista di Costantino (ma forse lui ormai è già sorpassato).
Se Keira Knightley vincesse l’Oscar come “Miglior attrice protagonista”, a dispetto di quei suoi ghigni e smorfiette che inizialmente mi avevano un po’ infastidito (poi però mi sono ricreduta), non mi stupirei di nuovo.

10/10

(E’ il primo 10 che do in assoluto ad un film, ma questa volta è impossibile dare di meno!)

sabato 11 febbraio 2006

"I segreti di Brokeback Mountain" di Ang Lee (2005)



Questo non è un film sull’amore tra gay ai tempi dei cowboy, ma narra solamente una storia d’amore. Punto.
Quindi non ho ben capito come mai gli omosessuali hanno fatto di questa pellicola il vessillo della loro “diversità”.
Non mi sembra poi che “I segreti di Brokeback Mountain” sia l’unico film di questo genere uscito ultimamente, ad esempio non molto tempo fa era uscito “Reinas” ma chissà perché non è stato preso in considerazione più di tanto. Ma già, il film di Ang Lee è più pregno di significati e quindi più degno per rappresentare i gay.
Secondo me “troppo rumore per nulla”, come si suol dire…
Ma la mia critica non va al film in sé, che infatti è davvero ben confezionato: dalla bravura degli attori principali (anche se ho preferito ancora di più Michelle Williams, la Jen di “Dawson’s Creek”), alla fotografia, alla regia, insomma tutto perfetto, tant’è che la colonna sonora non l’ho neppure sentita, tanto forti e suggestivi erano la storia e le immagini da far scomparire tutto il resto.
Il filo conduttore di tutto il film è l’amore che lega due persone, e il messaggio è “L’amore può durare in eterno?”.
Oltre alla storia d’amore principale tra Ennis e Jack, ci sono anche quelle tra Ennis-Alma e Jack-Lureen. La prima è l’Amore vero, capace di superare qualsiasi ostacolo pur di rimanere vivo; la seconda è un sentimento unidirezionale, da parte di Alma, che cerca di negare fino all’ultimo la verità per cercare di tenere in piedi un rapporto che è solo una farsa; il terzo è l’amore per convenienza. Ma la storia d’amore tra Ennis e Jack, secondo me, la si può paragonare a qualsiasi altra storia che per vari motivi non può essere vissuta alla luce del sole, un esempio (piuttosto fuori luogo) potrebbe essere la storia tra Giulietta e Romeo.
Quindi, ripeto, è un film sull’amore e basta, infatti critico solo l’utilizzo che è stato fatto di questo film.

9/10

venerdì 3 febbraio 2006

"Una donna a Berlino" di autrice anonima

Ho iniziato spavalda a leggere questo romanzo, senza rendermi conto che dopo le prime cinquanta pagine la lettura si fa troppo drammatica per essere presa alla leggera.
La fame, le bombe che fischiano sopra la testa e che cadendo lontano incendiano di bagliori rossi il cielo, il freddo, l’astio verso chiunque cerchi di rubare il cibo dalla bocca altrui e cosa peggiore lo stupro; questo e altro è raccontato nel diario di una donna rimasta sola in una città semi deserta.
Il raccontare le violenze subite dall’autrice ad opera di alcuni soldati russi, è il motivo per cui questo romanzo per anni non è stato rivalutato adeguatamente, perché visto come un documento da nascondere carico di troppe verità.
L’autrice osserva sempre con distacco la gente che la circonda, così come sé stessa, analizzando tutto quello che succede con occhio critico. Ed è questo atteggiamento che non la farà cadere nella disperazione, trovando sempre qualcosa di “positivo” in quello che di più atroce è costretta a subire.
Mi ha comunque stupito la facilità con cui intraprende relazioni sessuali con alcuni dei soldati russi, ovviamente in cambio di cibo e protezione, ma lo fa in modo così naturale che mi ha lasciata perplessa.
La stessa libertà la si ritrova nel suo stile di scrittura, scorrevole e veloce, dove ogni aspetto della sua vita e di ciò che la circonda è raccontato con semplicità e (quasi) noncuranza; l’autrice utilizza lo stesso tono per raccontare del funerale di una giovane ragazza seppellita in un armadietto che fino a pochi giorni prima era utilizzato per riporre le scope, sia per raccontare dei discorsi faceti origliati in fila dal macellaio. E la stessa freddezza la si ritrova nell’assenza di paura per un’eventuale gravidanza, annunciata fra le righe e presa poco in considerazione.
Questo non è comunque un semplice diario, è un’altra testimonianza diretta degli orrori di guerra che si va ad aggiungere alle tante altre accumulate in questi anni.

9/10

P. S.: schiacciato tra due pagine del libro ho trovato un povero moscerino. Sono queste le sorprese che ti riserva un libro preso in prestito e passato di mano in mano attraverso la biblioteca.
Ma chissà di quale “epoca” era quel moscerino…