venerdì 30 giugno 2006

"Happy Mania" n. 2

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Con il susseguirsi delle vicende e lo sviluppo caratteriale dei vari personaggi, Shigeta ricorda vagamente Nana Komatsu, una delle due protagoniste di “Nana” di Ai Yazawa; ci sono però delle differenze sostanziali che mi fanno propendere favorevolmente verso “Happy Mania” piuttosto che verso “Nana”, manga che leggo tuttora seppur con un certo fastidio (quando ne sarà ripresa la pubblicazione spiegherò perché).
Tutte le vicende di Shigeta seguono un'unica direzione: trovare un fidanzato (quante volte Shigeta non ripete questo desiderio?), e la sua mania la porta ad affrontare le più disparate disavventure: comiche, tragiche, surreali, da spanciarsi dal ridere ma anche su cui soffermarsi, perché Shigeta non è così scema come sembra. Il tutto però resta sul surreale, e i gesti più assurdi di Shigeta possono essere così accettati senza troppi perché dai lettori.
Al contrario Nana Komatsu è una cretina, e quando si sforza di essere seria e matura (ad esempio nella gestione del suo nuovo stato di “ragazza in dolce attesa”) non riesce ad esserlo nemmeno vagamente. E l’aspetto che mi fa ogni volta spazientire, è che la storia raccontata in “Nana” è, fin dai primissimi numeri, se non tragica almeno realistica e in cui c’è poco da ridere come dei cretini (appunto…), e il personaggio di Nana K. esula decisamente dalle caratteristiche principali del manga.
In “Happy Mania” tutto è permesso, e quando in questo nuovo numero Shigeta si abbandona alla prima ondata di vera passione mai provata prima, ci si sorprende nel vederla così diversa, sincera, e più vicina alla realtà di quello che di solito invece è.
Questi piccoli cambiamenti nella protagonista rendono la storia davvero bella, nonostante inizialmente le si dia poco peso visto il proliferare di rapporti sessuali occasionali e la protagonista non esattamente portatrice di sani principi, preferendo quindi l’irrazionalità, il grottesco, una lettura spassosa che faccia dimenticare tra le risate ogni tipo di impegno (e i nostri sì che sono reali…).
Da questo numero quindi la trama si fa più complessa (a livello di sentimenti) e meno bizzarra, senza però far perdere punti di gradimento. Si ride uguale, leggete ad esempio l’ultima vignetta di pag. 113 e le seguenti!

martedì 27 giugno 2006

"Super size me" di Morgan Spurlock (2004)



Io gli americani non li capisco; non capisco chi (come uno degli intervistati per il documentario) trangugia in media 57 litri alla settimana di bevande gassate, e che ricorre poi al bypass-gastrico dopo che, per una settimana, gli si è oscurata la vista per l’alto tasso di zuccheri nel sangue (non ti potevi accorgere prima?); non capisco chi (come uno degli intervistati ecc... ecc…) dall’inizio degli anni ’80 mangia per due/tre volte al giorno principalmente Big Mac, asserendo che è il panino più perfetto e succulento mai stato creato dall’uomo; non capisco come facciano a vivere circondati dalla disinformazione, con una concezione di vita totalmente sballata (esempio che non c’entra nulla, però, col documentario: in America è d’uso comune, dopo aver deciso di non avere più figli con il proprio partner di vita, ricorrere alla vasectomia, ci si dà un bel taglio e via! è una cosa che non riesco assolutamente a capire… ma torniamo a parlare del film, ché questa non è la sede per parlare di queste cose).
E non capisco chi, come il regista del documentario, mette a repentaglio la propria salute in nome dell’informazione, della denuncia sociale. E’ solo questo il modo adeguato e utile per avere risultati positivi, per scuotere gli americani che “vivono con i paraocchi”, per far capire loro che il loro stile di vita è sbagliato? A questo punto credo proprio di sì… ed è pazzesco!
Questo documentario in Europa l’hanno fatto passare come un monito verso la vera natura dei fast-food, per metterci in guardia contro i loro cibi insalubri; in America questo film è servito invece, soprattutto, per indirizzare i cittadini verso la voglia di sapere, verso l’informazione, prendendo McDonald’s come la punta dell’ice-berg della falsità americana (“McDonald’s ti dice che mangiare da lui è sano e genuino? non è vero! e io ti mostrerò come, mangiando solo cibi di loro produzione per un mese”).
Sarà servito?
Secondo me no. Perché è lo stesso Spurlock a dire che gli americani non seguono adeguatamente l’informazione e che la loro cultura è un po’ “bassina” (anche se far credere che i bambini americani di otto/nove anni confondono Gesù con Bush, ma sanno tutto su Ronald McDonald, mi sembra eccessivo!); di tutti i cittadini comuni americani non so quanti si siano recati al cinema per veder questo documentario… e l’America è grande.

Mah…

domenica 25 giugno 2006

"Demian" n. 1


Me lo dovevo aspettare che anche questa nuova mini-serie della Bonelli fosse ‘na ciofeca come “Brad Barron”.
Il primo numero di “Demian” l’ho trovato noioso, zeppo di “già visto” e in alcuni passaggi addirittura irreale. Ma analizziamolo pagina per pagina:
1) dopo una prima presentazione a mò di prologo senza troppi guizzi, a pag. 15 le prime due vignette mi hanno lasciata perplessa: le colonne dei due articoli, se guardate attentamente, sono identiche, quando invece è chiaro che dovrebbero essere due articoli diversi.
2) a pag. 16 una vecchina dice che Demian ha convinto suo nipote a tornare a scuola. Scusate, ma ancora adesso rido a più non posso! Vi sembra plausibile che un uomo a petto nudo, statuario, armato di pistola, entri in casa di questa nonnina e dica al nipote “Tu devi studiare!”, e che la nonna non si accasci al suolo in preda ad un infarto e che l’ignorante nipotino non si spaventi?
3) i personaggi parlano una lingua strana: perché insistere con tutti quei mon ami se poi i dialoghi vengono riportati in italiano? L’avevamo già capito che la storia si svolge a Marsiglia, non c’è bisogno di puntualizzare ogni cosa! Anche perché l’effetto complessivo è ridicolo, dato anche che qualcuno si mette a parlare pure di amigos e compadri.
4) la rissa di pag. 23-26 è piena di scemenze: i clienti del bar cominciano a picchiarsi proprio quando arrivano i due co-protagonisti; in un tripudio di cazzotti, nasi rotti e uomini che volano, il barista non fa una piega ma, anzi, continua imperterrito a pulire i bicchieri dietro al bancone. E la rissa finisce come una bella bevuta fra amici.
5) la seconda rissa di pag. 29-39 (ben dieci pagine, che palle…) avviene su un pontile zeppo di barche e barchette. Presumo che una struttura di questo tipo sia vicina ad un porto o comunque ad una zona abbastanza frequentata; detto questo però la rissa avviene senza troppi intoppi e i malviventi/malcapitati sfoggiano, oltre a coltelli e pistole piuttosto “ordinari”, una mitraglietta (!!!) che a pag. 36 spara una scarica udibile fino alle Bahamas. Ma la Gendarmerie resta defilata.
6) a pag. 59 scopriamo che Demian non è così bruto come credevamo: al chiaro di luna, inforca un paio di occhialetti alla Philippe Daverio e a petto ignudo legge “Le fleurs du mal” di Baudelaire. I conati di vomito ritornano per la seconda volta, dopo che a pag. 4 già avevo potuto assaporare l’intelligenza del giustiziere armato appollaiato sopra l’articolo di Maurizio Colombo.
7) Già vi siete annoiati, lo so, e pensare che dobbiamo arrivare a pagina 130 (alla faccia della mini-serie…).
8) a pag. 74 Demian fa vedere ai lettori le sue capacità pelviche. Decisamente inutili vignette di questo tipo.
9) a pag. 90 si parla di scontri a fuoco, inseguimenti, spedizioni punitive e incursioni notturne, tutto questo a conoscenza dei coniugi che hanno salvato Demian e in nome della giustizia??? Mah…
10) pag. 91: altri movimenti pelvici (no, non sono due scogli quelli, ma le cosce di Virginie).
11) da pag. 97 i disegni, già brutti prima, diventano orribili, affrettati; sembrano più degli schizzi per delle bozze che tavole definitive. Insomma, dei disegni così brutti non li avevo mai visti.

Potrei aggiungere altri undici punti, ma questi bastano e avanzano.
Aggiungo solo l’enorme quantità di errori e dimenticanze nelle tavole: braccialetti ai polsi che cambiano posto o scompaiono, bottoni delle camicie che si moltiplicano, orecchini che da oblunghi diventano tondi, pistole che passano dalla mano destra alla sinistra, sandali che diventano scarpe chiuse, ecc… sfogliate e ve ne renderete conto!
E questo dovrebbe essere frutto di un sapiente lavoro durato due anni??? Ma va', va'!
Per me le avventure di Demian si fermano al primo numero.

sabato 24 giugno 2006

"Brad Barron" n. 14


Mah… che dire? A parte gli ottimi disegni di questo numero ad opera di Alessandro Nespolino, la trama non porta (come sempre) nessuna evoluzione alla storia; Brad vagola nel buio in cerca dei suoi famigliari, anche se è da qualche numero che non li tira più in ballo (forse se ne è dimenticato pure lui…), e incontra continuamente strambi esseri umani.
Il mio commento potrebbe finire qua, che tanto è dal numero 6 che continuo a sparare a zero su questo fumetto e di novità orami non ce ne sono più [N.B.: sul blog ho pubblicato solo le recenZioni dal numero 11].
Numero superfluo, quindi, se non fosse, come già detto poco sopra, per i disegni: notevoli nei primi piani sui personaggi e capaci di restare sempre precisi anche nelle scene di massa.

mercoledì 21 giugno 2006

Tutti tranne uno

Ieri sono arrivati i libri che avevo ordinato tramite BOL, mancava però il romanzo di Angelica. Motivo? “Non riusciamo a trovarlo in magazzino”…

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domenica 18 giugno 2006

"Hanayori Dango" n. 47

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Alla fine avevo previsto giusto: un aereo, nelle ultime pagine di questo numero, prende effettivamente il volo, però non a causa del risveglio del Fujiama ma per un inspiegabile putiferio mediatico sorto dopo una dichiarazione di Domyoji. Inspiegabile perché, va bene che Domyoji è il figlio di un importantissimo miliardario giapponese, ma non capisco perché il popolo giapponese debba sempre strapparsi i capelli per ogni cosa…!
Per il resto la Kamio s’è fissata con la riesumazione di personaggi caduti nel dimenticatoio, e secondo me questo modo di procedere resta ancora una volta una chiara tattica per alluuungaaareee il manga. Cosa serve far ritornare personaggi come Ayano e Kin-San? Questo mi fa pensare che la Kamio ha intenzione di far accomiatare Tsukushi da tutti i personaggi incontrati fino ad ora, in una sorta di grande addio col botto.
In questo caso però la situazione sta diventando insopportabile…
E in fatto di addii, finalmente, si è messa una bella croce sulla storia tra Yuki e Nishikado, ma in maniera tale che tutti i buoni propositi ripetuti fino alla raucedine da Yuki sono andati in fumo: ma come??? prima dici che hai iniziato ad amare te stessa e che sei felice così, e poi la dai via come se niente fosse a Nishikado??? No, no, non mi è piaciuto proprio l’epilogo di questo rapporto, anche perché Nishikado, in un tripudio di buoni sentimenti, resta il solito bastardo.
Per il resto, questo numero presenta delle svolte importanti per il rapporto Tsukushi-Domyoji, e l’analisi della loro relazione, lasciata a margine per alcuni numeri, è di nuovo al centro del racconto e davvero commovente [sì, commovente… che ci posso fare… *snif snif*].
Insomma, la Kamio sembra essere rinsavita e ritornata ai fasti di un tempo, se non fosse per quelle piccole pecche…
A questo punto il count down segna - 6 giorni al 48 e ultimo numero della serie.

sabato 17 giugno 2006

"Gridare amore dal centro del mondo" di Kyoichi Katayama

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Sono giovani, si amano, si vogliono sposare, ma lei si ammala.
E muore.
No, non è né “Love story” né “I passi dell’amore”, ma il nuovo romanzo di Kyoichi Katayama che ha spopolato in Giappone e dal quale hanno già tratto un film.
Sai che divertimento.
E che dichiarazioni d’amore macabre che i due protagonisti si scambiano al chiaro di luna…: Sakutaro dice alla sua fidanzatina che gli piacerebbe molto, dopo la di lei morte, cibarsi delle sue ceneri.
E a questa uscita loro due ridono, ridono, ridono.
Classico humor nipponico, nel quale c’è sempre una vena di raccapriccio, che in questo caso non ha nulla di esilarante.
E il libro, valutato complessivamente, pecca anche di carenza passionale, e lo si nota soprattutto dai pensieri di Sakutaro che virano sempre sull’erotico e verso la tipica bramosia sessuale dei teen-agers.
Non ci sono quindi molte emozioni, nonostante l’argomento trattato (la perdita di una persona amata) e i primi capitoli sembrino anticipare, attraverso un lungo flash-back, una storia davvero strappalacrime.
Invece alla fine anche quel poco di sentimento scompare: Sakutaro, dopo molti anni, decide di liberarsi del ricordo della defunta Aki, mentre guarda la sua nuova compagna con le cosce al vento.
Chi muore giace, chi vive si dà pace.
Che bel messaggio.

4/10

P. S.: sulle “o” di Kyoichi e Sakutaro ci sarebbe un trattino ma, anche se digito il simbolo esatto, sulla pagina del blog non si vede…

giovedì 15 giugno 2006

"Io sono Charlotte Simmons" di Tom Wolfe

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La frase “io sono Charlotte Simmons” viene ripetuta come un mantra dalla protagonista del libro, e in 777 pagine assistiamo alla sua maturazione che passa, in successione, da tipica sfigata-perbene a sfigata-stronza per diventare infine la classica donna-arrivista-emancipata.
Oltre agli stratagemmi non troppo ortodossi adottati da Charlotte per far valere la sua persona e la sua bravura nel campus universitario, che la ignora totalmente dove è approdata con una borsa di studio, nel libro vengono presentati diversi comprimari che si dimostrano essere non meno peggiori della protagonista.
Personalmente non mi sono affezionata a nessuno dei personaggi, tanto meno alla candida e virginale Charlotte. L’indifferenza verso i protagonisti è anche accentuata dai lunghissimi flussi di coscienza che scandagliano i loro pensieri più intimi ed espliciti, mostrando così i lati più oscuri e meschini di ognuno di loro, anche della stessa Charlotte, colei che nel terzo capitolo si tappa le orecchie per non sentir pronunciare la parola “cazzo” dalla compagna di stanza e che da pagina 519 invece…
Non entro nei particolari, perché svelarne anche solo uno rovinerebbe tutto il libro, i suoi colpi di scena (non troppo eclatanti ma che mirano comunque a sorprendere il lettore) e soprattutto l’impegno che si deve avere per arrivare alla fine delle 777 pagine.
La mole del libro è comunque relativa, dato che la storia è scorrevole ed è scritta molto bene (nonostante gli sproloqui cervellotici) e l’odio verso l’angelica Charlotte e i suoi “amici” non riduce affatto l’interesse per le loro vicende. State certi che anche il più scettico arriverà fino alla fine del tomo, seppur con un certo fastidio (come è capitato alla sottoscritta).
In molti si sono lamentati per il finale, io invece l’ho trovato molto azzeccato: dopo l’interminabile “percorso spirituale” della nostra Charlotte, non mi sorprende che le sue vicende finiscano così; è un degno finale per una ragazza che si prefissa ogni azione come “conveniente”, ogni sua decisione è atta solo ad accelerare il coronamento dei suoi ambiziosi desideri, e quale ultima e determinante scelta se non quella raccontata nell’ultimo capitolo? E guarda caso la parola “convenienza” (in uno dei suoi derivati) è proprio presente nell’ultima frase che chiude definitivamente il libro.

7/10

martedì 13 giugno 2006

"Brad Barron" n. 13

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L’incubo dei ritornanti” è il titolo del nuovo albo dedicato alle avventure di Brad Barron, che mette già subito in chiaro molte delle caratteristiche di questo episodio: i ritornanti sono i famosi zombi apparsi per la prima volta in “Dylan Dog”, quindi il genere scelto per questo mese è l’horror.
Ma di ritornanti non ci sono solo i morti, ma anche il buonismo di Brad (“Sono il paladino della giustizia!”); la sua pistolina aliena che ammazza chiunque (FWOOOMP!); il medico che è in lui; l’inspiegabile fortuna - per non dire culo - che lo segue come un’ombra (io ad esempio, con tutto quello che gli capita, sarei già morta dodici numeri fa); l’imprecazione “la malora” ripetuta trenta volta; la voglia che ha sempre di non farsi mai gli affari suoi (a pag. 89 il suo cervello esorta con il seguente pensiero: “Io ho ancora qualcuno da trovare. E un conto da chiudere”, ma perché? Brad, ti do un consiglio: chi si fa i fatti suoi campa cent’anni!); il tipico finale nel quale Brad si allontana di spalle mentre fa il punto della situazione per dirigersi verso un’altra ripetitiva avventura.
Ma a questo punto ancora mi chiedo perché classificare questo fumetto come una mini-serie - ciò vuol dire: inizio, svolgimento, fine, tutto attraverso un unico filo conduttore - quando poi questo elemento principale viene dimenticato per dare vita a tanti episodi auto-conclusivi nei quali l’unico collante è il personaggio principale e la presenza degli alieni che hanno invaso la terra, anche se poi, come si è visto in questi ultimi due numeri, dei Morb si parla solo vagamente (ma non stavano dando la caccia al miTTTico Brad per ucciderlo definitivamente?).
Tito Faraci è caduto in un circolo vizioso, e nella prefazione si esalta per gli eccellenti dati di vendita del fumetto.
Io personalmente continuo a comprarlo perché la serie fino ai primi sei/sette numeri aveva un suo fascino, ormai ero arrivata circa alla metà e abbandonarla mi sembrava un peccato, anche perché voglio proprio sapere come andrà a finire.
Però indubbiamente questa serie ha degli aspetti negativi… ed è proprio vero che tutti i lettori di “Brad Barron” sono soddisfatti come sostiene Faraci?
Fatemi sapere cosa ne pensate!

sabato 10 giugno 2006

Fernando Botero - "Arte e felicità"

Concentrata e telegrafica è questa mostra dedicata a Fernando Botero: poco più di venti opere tra nature morte, nudi femminili, soggetti vari e sculture di donne burrose.
E’ la prima volta che entro nella Galleria Tega di Milano, sede della mostra, quindi non so come vengano di solito allestite le esposizioni da loro curate, ma a prima vista questa mostra mi è sembrata senza troppe pretese, in un ambiente così ristretto in cui non era facile apprezzare al meglio i quadri di grandi dimensioni, come quello che ritrae una donna di spalle il cui morbido corpo occupa quasi totalmente la superficie della tela e di cui non so nemmeno il titolo, dato che per nessuna opera o scultura era prevista una targhetta esplicativa (chiara mossa commerciale per indurre gli astanti ad acquistare il catalogo dell’esposizione…?).
La mostra comunque è davvero gradevole, i colori sgargianti dominano i dipinti di Botero e, anche in quelli in cui sono presenti sfondi scuri, quello che emerge non è mai tristezza ma la felicità del titolo della mostra, in cui l’austerità apparente che traspare dalle posture dei soggetti è più buffa che cupa, alleggerita anche da tutta una serie di particolari (un anello, degli orecchini, la trama di un vestito, lo smalto rosso sulle unghie, ecc…); le fette d'anguria delle nature morte sono così tonde, piene, colorate, succose, che si ha quasi il desiderio di addentarle; una caraffa panciuta e prosperosa ha quasi le sembianza di una fila di salsicce appese; una finestra aperta incornicia un cielo terso nel quale passano nuvolette bianche simili a quelle di Magritte che fanno pensare all’infinito, mentre una porta socchiusa svela invece degli ambienti domestici in cui le tipiche donne boteriane sono colte in atteggiamenti intimi (nel bagno mentre si spazzolano i capelli ad esempio) o “casalinghi”.
I soggetti ritratti tendono quasi sempre a rivolgere lo sguardo oltre le nostre spalle, verso un punto indefinito; questo secondo me non indica distacco e sterilità della scena ritratta (come spesso i critici ritengono), ma un modo per eliminare il fattore voyeuristico, la malizia: l’apparente indifferenza dei personaggi evidenzia la tranquillità e la serenità, soprattutto in quadri in cui le donne vengono colte nella loro totale nudità, una nudità che in questo modo diventa una “cosa normale” e non una cosa su cui sghignazzare sotto i baffi data l’opulenza delle figure e le enormi dimensioni di cosce e glutei.
Le sculture, poi, rendono in maniera tridimensionale gli abbondanti corpi femminili; si ha l’impressione di vedere uscire dalla tela e materializzarsi lì davanti a te la stessa donna dipinta, effetto curioso accentuato anche dal fatto che i volti appartengono quasi tutti alla medesima modella.
E’ quindi una mostra davvero interessante, peccato per la sua “telegraficità”: si può benissimo visitare in un’ora scarsa… molto scarsa…

mercoledì 7 giugno 2006

"Il codice da Vinci" di Ron Howard (2006)


Fischiato e deriso dal pubblico in sala che l’aveva visto in anteprima a Cannes, oggetto di scandali associati al libro da cui è tratto, alla fine questo film risulta essere un riassuntone non troppo riuscito del libro di Brown. E non so quale dei due sia il più inutile e brutto.
Troppi i tagli che modificano i numerosi intrecci del libro facendoli diventare davvero poco credibili (esempio con spoiler: Langdon viene avvicinato da Fache durante una conferenza, il primo è circondato da numerosi fans e il poliziotto cosa fa? estrae dal taschino una foto della scena del delitto, da tenere assolutamente all’oscuro dai curiosi, sventolandola sotto il naso di Langdon, vi sembra normale?); i flash-back vengono abusati in ogni parte della pellicola, come se gli spettatori non fossero in grado di seguire il filo logico delle parole dei protagonisti, senza vederlo trasformato ogni volta in una specie di quegli affreschi/dipinti che nel Medioevo venivano utilizzati per raccontare agli analfabeti la storia della Bibbia.
Sono stati inseriti molti episodi non presenti nel libro e altri invece sono stati totalmente omessi (spoiler: i cilindri in realtà erano due), questo però non è servito ad aumentare il ritmo e la tensione, elementi tutt’altro che presenti, e dal secondo tempo il poco entusiasmo presente in sala ha iniziato anche a scemare.
I personaggi in versione celluloide sono molto diversi da quelli originali: Langdon addirittura si dice contrario alle teorie del suo amico inglese (ma quando mai???) e fa emergere un lato del suo cervello che a quanto pare è altamente sviluppato per sciogliere gli enigmi (ma non era Sophie quella esperta?), e Sophie, che nel libro aveva una certa verve, nel film è alquanto moscetta e per nulla sveglia anche se sa guidare la Smart meglio di Schumacher (ma per favore!).
E come se non bastasse, i monaci parlano in latino al cellulare.
E il finale? Tutto inventato e che finisce col prendere le distanze da quel fiume d’inchiostro di Brown; scelta resa evidente anche dal comportamento scettico di Lagdon nei confronti del Baronetto, come a dire: “Io (Ron Howard) non prendo nessuna posizione, e divido il mio film a metà assecondando sia chi crede a queste teorie, sia chi invece vuole rimanere fedele a quanto detto dalla Chiesa”.
Mi rendo conto di aver scritto piuttosto male questa recenZione, ma non ho intenzione di sprecare più tempo per questa cavolata di film.

3/10

P. S.: a Ron, ridamme i soldi!

sabato 3 giugno 2006

"Clover" n. 1


Questo shojo manga è già arrivato al decimo volume ma io l’ho scoperto solo da poco, così ho recuperato tutti gli arretrati.
Le tematiche affrontate da questo manga sono adulte, e le protagoniste hanno circa la mia stessa età; caratteristiche simili a quelle di “Happy Mania”, anche se in questa serie non si tocca l’assurdo e il comico, restando quindi su un filone più impostato e pacato, dove anche le due protagoniste più “emancipate” alla fine risultano essere molto sole e affrante nonostante le relazioni passeggere che sembrano affrontare con spensieratezza. La terza componente del gruppo è invece la classica ragazza per bene che non vede di buon occhio le “liaison” senza sentimento delle amiche, e che ha iniziato da poco una (pseudo)relazione molto tenera con il suo giovane capo.
Il ritmo del racconto è molto sostenuto, i colpi di scena si susseguono velocemente, e sono proprio questi ultimi ad aumentare la curiosità del lettore, che si trova sempre sul filo del rasoio e non aspetta altro che sapere come andranno a finire le avventure delle tre protagoniste.
I disegni sono molto curati, e la cosa che mi ha colpito è come vengono disegnati i nasi.
Noiosetto il racconto autoconclusivo posto alla fine del volume, l’ho letto di sfuggita senza dargli troppa importanza, anche perché ha come oggetto, in una sorta di flash-back, la relazione adolescenziale tra Saya (la protagonista “per bene”) e il suo primo fidanzatino, di cui si parla anche in “Clover”, e dalla quale preferirei tenermi alla larga. Sono stufa di storielle per dodicenni.

P. S.: questo shojo non è da confondersi con quello omonimo disegnato dalle CLAMP, perché l’autrice di questa serie è Toriko Chiya.

venerdì 2 giugno 2006

Cercasi libro disperatamente - epilogo

Ieri pomeriggio ho spulciato mezza biblioteca per cercare i libri di cui avevo parlato il 22 maggio, e li ho trovati. Polverosi e relegati nella parte più bassa di uno scaffale, ma sono loro. Ne manca uno però.
Già li ho cercati su bol.com e internetbookshop.it, sono scontati del 50% e spero di riuscire ad acquistarli entro lunedì con una carta prepagata. Sì, sì, sì.

La foto l'ho fatta io, e si vede...