domenica 30 dicembre 2007

Accattatevillo!

Prima di cominciare vi auguro BUON ANNO NUOVO!!!

Ora vi lascio con le ultime recenZioni libresche che mancavano all’appello di questo fine 2007.

P.S.: oggi pomeriggio sono andata al cineforum a vedere “Ratatouille” e non avendo fatto i conti con: che era domenica pomeriggio, che è festa, che fuori c’erano 2 gradi sotto zero, che quando fa freddo la gente va al centro commerciale o al cinema, che il film è d’animazione, quindi... c’erano un fottio di bambini urlanti e scartanti per due ore consecutive carte di patatine-caramelle-cioccolatini *scric scrach scric scrach scric scrach*. -__-

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Io sono leggenda

Richard Matheson

Collezione immaginario dark, Fanucci, 12.50 €

Ambientato in un immaginifico 1976, in cui una strana epidemia ha mutato tutti gli esseri umani in vampiri, Robert Neville unico immune al virus vive da eremita in quello che fino a pochi mesi prima era il suo piccolo paese fatto di abitudini, una famiglia, un lavoro...

Seguiamo Robert destreggiarsi in quelle che ormai, in quella catastrofica situazione, sono le sue nuove consuetudini giornaliere che si trasformano ogni notte in isolamento totale nella sua casa, rifugio dagli attacchi dei vampiri che - si sa - escono solo al calar del sole.

L’elemento orrorifico non è quindi di quelli nuovi, oltretutto per un romanzo pubblicato nel 1954 quando di questo genere anche il cinema era zeppo; tuttavia la particolarità di questo romanzo sta nel procedere per ellissi nel raccontare l’antefatto della vicenda e nel far scoprire al lettore con brevi e secche informazioni quale e come si svolge l’esistenza dell’ultimo uomo sulla terra.

Approfondita indagine psicologica e suspense per il “non detto” rendono il romanzo molto scorrevole, avvincente e, se vogliamo, molto più fantasioso di un classico libro di fantascienza in cui i diversi sono costantemente il fulcro della storia.

Però, ripensandoci, anche in questo caso la vicenda può essere vista ribaltata, dato che è Robert ad essere il mostro in un mondo popolato dall’orripilante normalità che prevale...

8/10

P. s.: questo libro fa parte di quelli scelti per la “Book to movie challenge”. Clicca.

E se si considera che andavano letti “almeno” tre volumi, allora... ho vinto! Però sto ancora leggendo contemporaneamente gli ultimi due romanzi messi in lista. Ho comunque tempo fino al 1° gennaio (scadenza ufficiale della sfida). Ma figuriamoci se riuscirò a finirli!

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Anna Karènina

Lev N. Tolstoj

Biblioteca economica Newton, Newton & Compton, 7 € [in realtà io ho letto l’edizione in due vol. edita dal quotidiano La Stampa]

Rimando ancora una volta il commento a questo complesso romanzo, dato che andrebbe tassativamente letto almeno due volte prima che al lettore venga concesso di grazia il diritto insindacabile di parlarne liberamente (eh eh eh).

A parte gli scherzi, è davvero un libro elaborato e così vicino alla realtà che fatico davvero a dare un parere di senso compiuto, e soprattutto che possa interessare a terzi.

Avevo già avuto modo di dire come mi sia rispecchiata sorprendentemente nella visione del matrimonio e del rapporto di coppia che Tolstoj ha e che ha ben descritto in “Sonata a Kreutzer”; in “Anna Karènina” il discorso è ancora più complicato e la ripresa e ri-analisi della storia non farebbe che migliorare il mio comprendonio su una vicenda in cui è ancora una volta la realtà, quella vera, ad essere la protagonista.

Termino dicendo però che la mia prima impressione arrivata alla fine delle intricate e cerebrali 822 pagine (tra l’altro scritte a passo 2 - andavano bene per le pulci...) è stata: “bellissimo!”.

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Estremi rimedi

Thomas Hardy

Le porte, Fazi, 19.63 € [pure i 3 centesimi... tzè!]

[attenzione: a leggere qui sotto si fa sera]

Dopo aver letto diversi romanzi di Thomas Hardy, compreso l’ultimo e più pessimista che esista dal titolo “Jude l’oscuro”, posso confermare di essermi fatta un’idea abbastanza definitiva su quella che è la visione esistenziale dello scrittore.

Analizzando in questo caso il romanzo “Desperate remedies” [bacchetterei il traduttore: desperate non vuol dire estremo, ma letteralmente disperato, che butta altra angoscia e più significato sulla storia - ma ci vuole così tanto sforzo per attenersi ai titoli originali???], dicevamo, in questo romanzo che ha dato il via alla produzione letteraria di Hardy si possono notare come i temi a lui usuali siano già ampiamente affrontati nel corso di questo esordio.

Cytherea Graye, la giovane protagonista del romanzo, è vittima del caso che si abbatte funesto sulla sua famiglia: il padre muore, e lei è costretta col fratello maggiore Owen a provvedere ai debiti lasciati dal genitore, a cercarsi una nuova casa e a far fronte alle malelingue di paese.

Contrariamente a quello che capita di solito alle eroine di Hardy, cioè che sono praticamente tutte “emancipate”, Cytherea durante i primi capitoli vive mantenuta dal fratello; è però per lei una condizione molto dura da sopportare e si angoscia per non poter incentivare le esigue finanze famigliari.

Preciso che il termine emancipata è da prendere in senso lato dato che con esso intendo, esclusivamente riguardo ai romanzi di Hardy (perché emancipata lo si collega per ovvi motivi a una indipendenza ben diversa da quella intesa da questo scrittore!), il comportarsi e quindi l’essere a tutti gli effetti le capofamiglia, portando avanti i compiti più importanti e sacrificandosi per dare giovamento ai propri famigliari.

Il fratello intanto lavora come apprendista architetto e non sembra essere - a mio parere - molto preoccupato per la nuova vita che lui e la sorella devono affrontare... anzi, presenta baldanzoso a Cytherea un suo collega, tale Edward Springrove: un trentenne che cerca letteralmente la compagnia coniugale di giovani (e stupidine, aggiungo io) donne, carine, delicate e remissive. Praticamente delle pecore.

Cytherea se ne invaghisce immediatamente e dopo svariati appuntamenti gli concede apertamente il suo cuore, salvo poi scoprire - quando un casto bacio ha ormai mandato in tilt l’ingenua ragazza - che lui nasconde qualcosa...

Purtroppo la giovane è costretta, sul più bello, ad abbandonare i tentativi angosciosi di sapere qualcosa in più sull’innamorato, e a partire alla volta della sua nuova vita come cameriera personale di una donna sola e benestante che vive con l’anziano padre.

Questo è solo il, diciamo così, “prologo” della vicenda. Intricata al massimo, torbida e con l’aggiunta di un altro paio di personaggi fondamentali, la trama è ben condotta e avvincente - salvo qualche descrizione psicologica troppo puntigliosa...

Cytherea successivamente in casa della padrona ha modo di osservare meglio la donna e così anche il narratore onnisciente, che può “sparare a zero” su questa Miss Aldclyffe.

La donna dà subito l’impressione, nel modo in cui è descritta da quest’ultimo e da come gli altri dipendenti ne parlano, di essere contraria all’introduzione in casa di un uomo sottoforma di marito, prediligendo ampiamente il sesso debole.

Questo potrebbe causare una serie di fraintendimenti... che infatti avvengono: durante la prima notte che C. passa in casa della signora, viene apertamente “assalita” in maniera morbosa dalla donna che cerca nella giovane un contatto fisico anche se molto blando, che sfocia in un paio di baci e nell’orripilante disgusto della Miss nel momento in cui scopre che Cytherea aveva già baciato un uomo.

Un episodio che nel corso del romanzo non trova però - a quanto ho potuto notare... - una spiegazione, dato che non avrà seguito se non nelle dicerie degli altri manovali e camerieri che lavorano nella tenuta, e che credono che tra le due ci sia una “certa” intesa dato che passano molto tempo insieme chiuse nelle stanze personali della donna. Ma niente di più sbagliato.

Quindi questo lato del personaggio rimane per me un’incognita.

Forse, essendo il primo romanzo in assoluto di Hardy, questo elemento così inserito getta già le basi per quello che sarà in futuro la caratteristica ricorrente delle successive storie: le figure femminili di Hardy non amano molto il sesso, o comunque un contatto fisico di tipo carnale, maschio. Le relazioni che hanno con il sesso opposto sono quasi sempre o imposte, o condotte in maniera fin troppo sentimentale, in cui raramente c’è posto per l’unione fisica.


L’ultimo personaggio chiave è quello di Mr Manston: un uomo anch’egli sulla trentina che, manco a farlo apposta, nasconde anche lui qualcosa.

Miss Aldclyffe spinge Cytherea verso Mr Manston e pungolandoli uno nelle braccia dell’altro, facendo leva anche sul segreto del fantomatico innamorato Edward (è fidanzato, ma tanto si sapeva!), riesce a convincere Cytherea a guardare con occhi diversi l’uomo, che è anche poi alquanto fascinoso e sornione.

Introdurre tutti i personaggi fondamentali della storia mi è servito per far notare come anche in questo romanzo d’esordio gli uomini di Hardy siano i più brutti che capitino ai piedi delle protagoniste.

Dopo rocamboleschi avvenimenti in cui ci scappa anche il morto, Owen si rivelerà arrivista, avaro e troppo materialista, fino a spingere la sorella a sposare Mr Manston, facendole sempre notare a quanto ammonta la rendita dell’uomo rispetto alla povertà di Edward poi riapparso nella vita della ragazza dopo aver annullato il precedente fidanzamento.

Mr Manston dal canto suo brama soltanto di possedere Cytherea, di farla sua (e si è capito in che tristissimo senso...).

Edward Springrove invece alterna le sue caratteristiche tra positive e negative. Non c’è dubbio che sia innamorato di Cytherea, ma non scordiamoci che inizialmente si è avvicinato alla ragazza in maniera subdola non palesando la sua condizione di uomo impegnato sentimentalmente; tuttavia però aiuterà i Graye nel riuscire a districarsi da una tragica situazione che complica ancora di più la trama e guarda caso anche per colpa dello stesso Owen Graye.

Cytherea e Miss Aldclyffe, insieme a una terza donna di cui non parlerò pena il rivelare praticamente tutta la trama, rappresentano distintamente tre modi di essere del lato femminile che saranno poi, nei romanzi successivi, racchiusi in un’unica persona cioè la protagonista di turno.

Cytherea è troppo mite, troppo debole per imporsi ma lo fa pur sempre con grande forza d’animo e spirito di sacrificio.

Miss Aldclyffe è praticamente l’opposto ma si scoprirà poi che, in fin dei conti, l’odio per il maschio è tutto relativo... anche se però quell’episodio saffico a cui ho accennato non riesco proprio a capire a cosa serva (mah!).

La terza donna, di cui non parlerò, è disgraziata quanto Cytherea e, cosa che la distingue dalla prima, è ancora più debole di lei in quanto si lascerà manipolare in maniera più catastrofica da uno dei personaggi maschili.

Sottomissione, debolezza e grande temperamento nascosto sono le caratteristiche che poi avranno tutte le altre donne di Hardy.

Insomma, le donne nel libro non sono messe bene! Anzi sembrano proprio essere le pecore nere della situazione.

Tuttavia tutti, uomini compresi, saranno costretti ad attuare in egual misura, nessuno escluso o risarcito, dei disperati rimedi (quelli del titolo) per migliorare o scongiurare delle disgrazie cadute sui loro destini.

In questo modo il romanzo non si conclude a favore di nessuno dei due sessi. Le donne sono sfortunate quanto gli uomini, e gli uomini, anche se inizialmente sembravano essere i preferiti di Hardy, alla fine patiranno quanto le protagoniste e, a conti fatti, sono quelli che ne escono più sconfitti.

Oltre a questa interminabile (inconcludente?) mia analisi, in “Desperate remedies” ci sono diversi e concatenati colpi di scena che porteranno a un finale che lieto fine non è (a mio parere), che fanno del libro un po’ romanzo gotico, un po’ romanzo giallo e un po’ romanzo sentimentale con dichiarazioni d’amore e legami infranti. Evidentemente Hardy essendo alle prime armi doveva ancora affinare la tecnica per divenire poi il drammaturgo impegnato in temi e rivendicazioni sociali che fu.

Confermo comunque la mia ammirazione per le storie hardesche (si dice così?), che già da questo esordio potevano far prevedere la grandezza e la complessità che sarebbero arrivate poi con l’esperienza.

9/10

venerdì 21 dicembre 2007

Cof cof

Ho preso l’influenza. -_-‘

Vi lascio con la recenZione di “Chiedi alla polvere”, quello stupendissimo (pfui!) film diretto nel 2006 da Robert Towne.

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Vedere un film tratto da un romanzo che tanto ci è piaciuto è sempre un’incognita, e in questo caso mi sono trovata di fronte allo scempio del libro originale.

Andando con ordine, ci si accorge subito che il personaggio di Arturo Bandini trasposto in pellicola perde tutto ciò che di attrattivo e particolare aveva nel romanzo: il suo modo di essere così contraddittorio, indeciso e allo stesso tempo testardo, sarcastico e pungente - un comportamento che quindi ha bisogno di un grande approfondimento psicologico - nel film si riduce a qualche sporadico episodio che mostra Arturo come un uomo letteralmente sfigato, ingenuo, campagnolo, che fa battute ridicole e stupide (ecco dove sono andati a finire il sarcasmo e l’ironia acuta...!), ma che a metà pellicola fa sfoggio della sua verve di latin lover portandosi a letto Camilla. Particolare quanto mai inventato dato che l’insoddisfazione di Arturo si traduce nella sua incapacità di avere rapporti con le donne...

Nella restante ora e mezza di film si assiste all’inserimento di scene inventate e all’eliminazione di altre (originali) che avrebbero però potuto migliorare un tantino la bruttezza della sceneggiatura altamente rimaneggiata e rimanere aggrappati quanto basta al vero significato del romanzo.

Camilla Lopez può sembrare più vicina alla Camilla di John Fante, sfrontata tra i tavolini della locanda in cui lavora come cameriera, arrogante anche al di fuori, ma poi in quell’ora e mezza già citata il suo ruolo si ribalta completamente mostrando una donna che quasi-quasi si innamora seriamente di Arturo e che diventa oggetto di una sequenza lunghissima e inventatissima in cui addirittura cerca di omologarsi ai cittadini statunitensi studiando per ottenere la cittadinanza americana.

Una donna come Camilla che vuole davvero far parte della nuova America?!? No. Affatto.

Camilla sa già in partenza che non potrà mai lasciare i bassifondi di Los Angeles, sposarsi con un vero americano e morire ricca e felice. Nel libro scappa, da sola, contando solo sulle sue forze - così come ci è presentata nelle prime pagine del libro - e sparisce dalla vita di Arturo che non la rivedrà mai più.

Altro che Camilla che spira di tisi tra le braccia di Bandini e lui che la seppellisce nel deserto dietro casa...

Chi ha amato il romanzo non sarà riuscito come me ad apprezzare minimamente il film; chi invece il libro non l’ha letto si sarà trovato di fronte a una scontatissima e struggente storia d’amore, dalla recitazione zoppicante e da scene di sesso focose.

Non mi stupirei se poi la seconda tipologia di spettatore decidesse un giorno di avvicinarsi al “Chiedi alla polvere” di John Fante e non lo finirebbe neanche di leggere: non si riconosce minimamente quello che ha scritto Fante in quello che ha diretto Towne al cinema.

Perché un libro così non ha bisogno di una trasposizione cinematografica. Non ne ha bisogno perché è impossibile da trasferire in quel formato. E’ già perfetto così, con le sue incertezze, il finale lasciato a metà, la sofferenza che prevale sulla felicità e i personaggi persi in un limbo indefinibile.

Il cinema, in questo caso, non riesce proprio a rendere giustizia allo stile di Fante - che va letto, mica “visto” in carne e ossa.

n. c.

..................

Vi metto anche un paio di foto della Zoe, che nelle ultime settimane è cresciuta a vista d’occhio e ha messo su anche un po’ di ciccetta. ^^

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[qui stava pensando che mettersi in posa è molto divertente, ma...]

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[... che assalire la sottoscritta lo è molto di più! :-P]

Ora torno a svenire sotto al piumone con in cima le mie gatte che mi aspettano.

P.S.: oggi è l’ultimo giorno per la “Creepy autumn challenge”, in cui avevo scelto di leggere “It” di Stephen King. Ecco, mi dichiaro sconfitta.

mercoledì 12 dicembre 2007

Lavori in corso

Gli aggiornamenti del blog si diradano sempre di più, così come i commenti... dove siete finiti tutti?! Qui sembra di essere in una landa desolata, e a me di parlare da sola.

Ma passiamo oltre, va’.

Ho accantonato momentaneamente “It” almeno fino al mese prossimo; in questo modo spero di riuscire a superare le altre tre sfide in corso, ché ho ancora una caterva di volumi scelti da leggere.

Quindi sto seguendo soltanto le vicende di Cytherea, nata dalla penna di Thomas Hardy, e mi chiedo continuamente come noi donne possiamo essere a volte così ingenue e troppo sognatrici...

Chi invece era sognatore in maniera positiva ed è diventato poi in versione filmica un pirla è Arturo Bandini, alter ego di John Fante. Lunedì scorso ho visto il film tratto da “Chiedi alla polvere” che è a dir poco osceno: un miscuglio di rivendicazioni politiche, discorsi a vanvera, episodi inventati di sana pianta e recitazione ai limiti del ridicolo.

La bellezza di quel libro e, soprattutto, del personaggio di Arturo Bandini è sminuita in maniera così catastrofica da far passare tutto l’insieme per una storia d’amore qualunque, in cui lui è uno stupidotto di campagna e lei una donna frivola che si fa le canne.

Ma grazie a Dio amo leggere.

P.s.: il template è ancora in fase di assestamento, però siccome l’anno è quasi finito, non mi conviene re-inserire per ogni titolo di film/libro i link, vero? Poi il 1° gennaio dovrò cancellare tutto, tanto vale lasciarlo così. Scarno.