giovedì 31 gennaio 2008

Reader challenge e fumetti

Sono in ritardo di tre giorni ma ci tenevo comunque a dedicare un post a una reader challenge iniziata il 27 gennaio e organizzata insieme a Cecilia ed Arianna [non ha quindi a che fare col gruppo di Anobii Readers Challenge].

Oggetto della sfida è il romanzo “Suite francese” di Irène Nèmirovsky, e la scelta del titolo e della data di inizio non sono state casuali: il 27 gennaio è il Giorno della Memoria e, per chi non conoscesse la storia personale della scrittrice, anche Irène Némirovsky fu deportata prima nel campo di Pithivier e uccisa poi ad Auschwitz, lasciando incompiuta quella che sarebbe stata un’opera monumentale in cinque parti che doveva raccontare i cambiamenti della Francia sotto il dominio nazista, e di cui riuscì a scrivere solo i primi due romanzi - “Suite francese” appunto.

Questa ci è sembrata una maniera decorosa per commemorare le migliaia di vittime della Shoa.

P.S.: ringrazio la Cecilia che su mia richiesta ha “prodotto” il banner che vedete sopra!

Altro avviso: è finalmente pronto il mio secondo blog! Non tutti ne erano al corrente, quindi non stupitevi se non capite di cosa sto parlando. :-P

Lo trovate ici.

Ora passerei alla prima parte di recensioni degli ultimi fumetti letti. Niente manga questa volta.

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“Notte putrescente” di Suehiro Maruo: lui viene definito il De Sade del Sol Levante, ed effettivamente il ribrezzo che provo a leggere lo scrittore francese è lo stesso che ho provato nell’osservare le tavole di questo fumettista giapponese.

La differenza è che le situazioni disegnate da Maruo sono per lo più legate alla sfera onirica; niente sembra avere un senso nei racconti brevi che compongono il volume, dove gente comune - per lo più bambini - è sorpresa in atti lussuriosi o sadomasochisti, dedita a coprofagia, sevizie, omicidi, voyeurismo, stupro, con un continuo accento su menomazioni fisiche e infermità (quasi tutti i personaggi sono affetti da malattie veneree o mentali, e spesso si ritrovano guerci o addirittura senza un arto).

La quotidianità surreale è accompagnata a volte da brevi discorsi dei protagonisti e descrizioni assolutamente insensati, che accentuano maggiormente l’assurdità dei racconti.

Non si può però fare a meno di rimanere quasi affascinati dalle tavole di Maruo, dal suo stile che si rifà a quello degli anni ’50 dai disegni puliti e belli da vedere; purtroppo l’orrore del contesto rovina un po’ la bravura dell’autore e alla fine del volume si è anche un po’ schifati da tutto quella decadenza angosciante.

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“I coniglietti suicidi” vol. 1-2 di Andy Riley: una mandria di conigli che non vogliono più vivere è la protagonista di queste strisce umoristiche. I quadrupedi si ingegnano in tutti i modi per morire nelle maniere più atroci e/o assurde facendoci scappare qualche risata e/o rimanere “un po’ così” per il metodo scelto con riferimenti storici tutt’altro che divertenti (nazisti, Saddam Hussein, i militari sbarcati in Normandia, ecc...).

Per soli (si fa per dire) 20 € vi portate a casa entrambi i volumi, ma dato che sono i classici libricini telegrafici che ti porti in bagno quando soffri di stitichezza [Arianna, ti ricorda qualcosa? ;-P], leggeteveli direttamente in negozio, va’.

P.S.: io li ho presi in biblioteca.

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“Il cancro mi ha reso più frivola” di Miriam Engelberg: come sorridere sulle drammatiche conseguenze della scoperta di avere un cancro al seno.

Miriam Engelberg, americana, è riuscita in questo volume a descrivere con leggerezza e ironia le fasi della malattia, il rapporto con il proprio partner e la vita sessuale destinati a cambiare, il ruolo degli amici con tutte le falsità del caso che ne derivano, il rapporto coi medici e soprattutto con il proprio corpo, con l’essere donna.

Ogni argomento è affrontato in brevi e semplici capitoli, dove anche lo stile a volte un po’ infantile dell’autrice (che di strisce a fumetti si è sempre occupata per lavoro, ma per le quali ha sempre e solo curato i testi) ti porta a vedere tutto con più serenità e a ridere delle battute su argomenti, che nella realtà, sono alquanto deprimenti.

Un fumetto di cui consiglio davvero la lettura, e che sarà capace di aiutare tutti, sia chi (purtroppo) è malato che chi no, a vedere la vita in maniera diversa, a non essere pessimisti, a prendere le cose così come vengono con più spensieratezza.

Questo per me è IL libro che sarebbe bello vedere distribuito negli ospedali, al contrario di “Cancer Vixen” di cui parlerò più sotto.

Purtroppo Miriam è morta alla fine del 2006...

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“Monsieur Jean” vol. 1-2-3 (Non è mai troppo tardi - Felici, anche se non sembra - Come se piovesse) di Dupuy e Berberian: letti mentre ero in stato comatoso da influenza prima dell’arrivo delle vacanze natalizie, mi hanno aiutato a passare in maniera divertente e con un po’ di malinconia un paio di pomeriggi da ammalata.

I tre volumi seguono i cambiamenti della vita di Jean, giovane trentenne di Parigi che ha appena scritto un libro di grande successo.

Nel primo episodio il duo di disegnatori francesi ci presenta Jean, la banda di amici che lo tartassa e qualche sua sporadica conquista sentimentale, sempre però passeggera: perché in fondo “non è mai troppo tardi” per continuare ad essere “giovani” e perseverare nella vita da single tra situazioni divertenti e spesso assurde.

Tuttavia Jean frequentemente cade vittima dello spleen: ad esempio quando vede i suoi amici portare avanti più o meno seriamente una relazione con una donna o quando il lavoro di scrittore subisce degli arresti improvvisi. E il fumetto lì prende una sfumatura malinconica e riflessiva tra ricordi nostalgici di amori passati e d’infanzia perduta.

Nel secondo episodio avviene uno scarto decisamente non poco importante: via via tutti gli amici di Jean finiscono per mettere la testa a posto e c’è chi aspetta un bambino, chi si sposa e chi si ritrova completamente solo con un figlio non suo da mantenere.

Lo stesso Jean quindi è posto di fronte alla realtà, e ancora una volta tra ricordi e introspezione psicologica si arriverà a un finale a sorpresa.

Nell’ultimo volume pubblicato in Italia Jean ha completamente stravolto la sua vita, ma non dirò di più, svelare la trama non è proprio utile!

Dirò soltanto che dopo aver accettato di buon grado la sua nuova vita, Jean ogni tanto si farà prendere dal panico e... riuscirà a superare la crisi d’identità del trentenne che ormai si è accorto di essere adulto?

Oltre a questa serie regolare, è stato pubblicato anche un libricino extra dal titolo “La teoria dei single” che teoricamente andrebbe posto tra il secondo e il terzo volume italiani. Io non l’ho letto, ma prima o poi lo farò. ;-)

Intanto in Francia la serie continua e presto in Italia potremo seguire anche noi le nuove sfighe dell’antieroe Monsieur Jean.

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“Otto, nove, dieci” di Arne Bellstorf: Christoph Bachmann è stato bocciato in terza liceo, gli toccherà passare l’estate risucchiato in un vortice deprimente tra una madre assente, nessun amico con cui passare le giornate estive e lo spauracchio della bocciatura.

Sprecherà quindi metà delle vacanze a giocare ai videogiochi, a mangiarsi una pizza in solitudine e a farsi qualche sega apatica nella sua cameretta; ma all’improvviso farà amicizia con una compagna di scuola vista sempre a distanza, e il mondo sembrerà sorridergli: appuntamenti al chiaro di luna, la prima volta e l’amore. Se non che l’estate finirà e lei tornerà ad essere la solita irraggiungibile...

‘Sto fumetto è una pippa mentale assurda.

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“Cancer Vixen” di Maria Acocella Marchetto: un altro fumetto sulla lotta al cancro al seno. Di nuovo è una fumettista americana a raccontare la sua tragica esperienza di donna colpita dal cancro, solo che qui Marisa Acocella ha un bagaglio very professional nel campo del disegno e racconta la sua vita prima e dopo la scoperta della malattia con un uso spropositato di bravura stilistica.

Purtroppo ci infila la solita rottura di coglioni sulla strage dell’11 settembre: “Ho il cancro. E’ sicuramente colpa di Bin Laden”, “Stamattina ho un’unghia incarnita. E’ colpa di Bin Laden”, “Ho tamponato un’auto in sosta. Bin Laden mi ha manomesso i freni!”.

Gli americani dovrebbero finirla con questo vittimismo...

Comunque.

Stavamo dicendo che la Acocella è brava e anche nel raccontare una parte così dolorosa della sua vita lo sa fare davvero con classe e professionalità.

Purtroppo (ancora...?!) mette troppo l’accento sul suo stile di vita di donna fashion & glamour della Grande Mela, con un fidanzato italiano veramente troppo terrone [ma davvero gli americani pensano che noi italiani andiamo in giro con le infradito a dicembre e indossando tutti gli ori di famiglia sul mignolo destro?], e mai una volta critica il sistema americano per il quale ogni cittadino privo di assicurazione medica è praticamente pari a una nullità. Cosa che è capitata alla stessa autrice, ma di cui ne parla solo in termini di sfinimento psicologico burocratico (l’enorme quantità di moduli da compilare, l’attesa infinita per una visita, ecc...), ma MAI si azzarda a dire che la legge americana andrebbe cambiata.

Comunque il fumetto è stato considerato utile e istruttivo ed è stato distribuito a tutte le donne affette da cancro, a cui sicuramente sarà venuto un colpo apoplettico nel leggere che l’utilizzo di vari medicinali per la cura post-operatoria causa la menopausa precoce e che le donne vicine ai 40 avranno un rischio pari al 90% di non riuscire più a diventare madri.

Non so voi, ma a me è venuta su un’angoscia che non vi dico.

Il fumetto sarà presto trasposto al cinema con protagonista Cate Blanchett nei panni della fumettista che è poi riuscita a guarire e a tornare a condurre una vita normale.

giovedì 24 gennaio 2008

Telegraficamente: gli ultimi film visti nel 2007

E mettiamoci una pietra sopra.

Tiè.

“Ratatouille” di Brad Bird (2007): un sorcetto con la passione per la cucina è uno spunto buffo per affrontare temi abbastanza compassati e non di solo divertimento.

La rivincita delle donne in un mondo (quello dei gourmet, in questo caso) fatto e controllato quasi esclusivamente da uomini; la brama per il successo negativa; il piacere per le piccole cose; l’affermazione di sé stessi per quello che si è; l’amicizia e l’amore.

Bellissima e commovente la sequenza evocativa con il critico Anton Ego mentre assapora una forchettata di ratatouille (e tra l’altro il critico sembra uscito da un film di Tim Burton!).

Tutto sommato un film “pelosamente” divertente.

7/10

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“Azur e Asmar” di Michel Ocelot (2004): una favola delicata quanto “Stardust” di Neil Gaiman, se non fosse che alla fine le due coppie che si andranno a formare saranno immancabilmente classiche: Azur e Asmar finiranno per sposare ognuno una ragazza della loro stessa “etnia”.

L’applauso di tutti i bambini presenti in sala è scattato lo stesso, ma i grandi avrebbero preferito vedere Michel Ocelot osare un po’ di più... anche perché ci ha tenuti incollati alle poltrone per un’ora e mezza destreggiandosi in una storia composta da dualismi - a partire dagli stessi Azur e Asmar, cioè il bianco e il nero - mostrandoci sempre il lato negativo del dividere tutto in due fazioni, e alla fine sul più bello è precipitato nella retorica.

Particolare l’utilizzo dell’animazione grafica che, pur facendo largo uso delle tecniche più moderne, si ricollega ancora una volta allo stile pulito e dai riferimenti Liberty della passata produzione del regista.

7/10

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“Kirikú e la strega Karabà” di Michel Ocelot (1999): Kirikú è un bambino piccolissimo, sia d’età che di statura, ma che in confronto ai bambini e, addirittura, agli adulti della sua tribù ha forza e saggezza da vendere.

Nei vari episodi che compongono il film Kirikú insegnerà a tutti loro cos’è il bene e che cos’è il male, a reagire ai soprusi e a non aver terrore della cattiveria altrui perché, forse, il primo ad avere più paura degli altri è proprio colui che si comporta malignamente, intimorito dalla felicità degli altri.

Una fiaba che prende spunto dalle leggende africane e che deriva dall’esperienza dello stesso regista vissuto per diversi anni in Guinea; ancora una volta un film utile per i bambini per via della brevità di ciascun episodio e per la semplicità minimale dei disegni (qui rigorosamente fatti a mano).

Nel 2005 Ocelot ha diretto e creato il seguito di quest’avventura: “Kirikú e gli animali selvaggi”.

7/10

sabato 19 gennaio 2008

Niente voti questa volta

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L’ammazzatoio

Émile Zola

contenuto nel volume “Nanà e l’ammazzatoio”, Newton & Compton, 1.90 € [era mooolto scontato]

Settimo tomo della saga dei Rougon-Macquart (io, con questo, ne ho solo letti tre, e pensare che in totale sono VENTI); pubblicato nel 1877, una decina d’anni prima di “Germinal” in cui è raccontata la vita dei minatori francesi in un susseguirsi di catastrofi concatenate fino alla tragedia finale, ne “L’ammazzatoio” è la classe operaia parigina ad essere la protagonista.

Gervaise viene abbandonata dal compagno, da cui ha avuto due figli, dopo che questo ha scialacquato tutta l’eredità avuta da una parente morta di vecchiaia.

La giovane, trovatasi completamente allo sbaraglio con due figli piccoli, si rimbocca le maniche e riesce nell’arco di vent’anni a toccare la cima della rispettabilità più che decorosa, della ricchezza e della felicità famigliare sposando l’operaio Copeau.

Purtroppo però il destino beffardo, che si abbatte sempre e comunque sui personaggi di Zola [anche se io al destino non ci credo - e l’avrò ripetuto cento volte...], non lesina disgrazie nemmeno alla povera Gervaise.

Nella miseria degli operai della grande metropoli, anche lei pian piano verrà risucchiata nella stessa melma e se ne andranno così in fumo tutti i sacrifici fatti e tutta la buona volontà di vivere felici.

“L’ammazzatoio” ripercorre tutte le tappe di una famiglia qualunque, partita dal nulla e arrivata poi al benessere nella grande Parigi operaia; lo scorrere della vita della famiglia Copeau è però confinato entro le vie dei quartieri popolari, in cui la miseria si ritrova ovunque e la gente più povera vive peggio che i topi.

Gli stessi Copeau, dopo una serenità economica sbandierata, finiranno a marcire nei vicoli putridi della Parigi suburbana tra alcol, violenza, lussuria e sporcizia.

La degradazione totale, in una città come quella centro del racconto, piena di tentazioni - fra le quali spicca il locale “L’ammazzatoio”, dove gli operai sperperano la paga settimanale in alcol puro - è all’ordine del giorno e prima o poi tutti finiranno per cadere nel sottile baratro che separa una vita dignitosa da una disseminata di bruttezze di ogni tipo.

Un libro angosciante e opprimente che di certo non rileggerò...

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[Nanà - Edouard Manet, 1877]

Nanà

Émile Zola

contenuto sempre nel volume “Nanà e l’ammazzatoio” edito da Newton & Compton, 1.90 €

Anche questo volume fa parte della saga dei Rougon-Macquart ed è il seguito, a distanza di qualche anno di narrazione, de “L’ammazzatoio”; protagonista della vicenda è Anna, detta Nanà, figlia di Gervaise e Coupeau.

Dopo un paio d’anni di vita vagabonda e, ovviamente, anche di prostituzione, avevamo lasciato Nanà, alla fine de “L’ammazzatoio”, in preda alla frenesia di ricchezza e alla dissolutezza più totale, rinnegando anche la famiglia - ma dopotutto, con dei genitori così cosa sarebbe mai potuto uscire di buono dai figli?

Nanà quindi, dopo esser scappata di casa a più riprese, come abbiamo appunto visto ne “L’ammazzatoio”, è finita ora, a 18 anni d’età, come mantenuta di un paio di ricchi uomini tra lo sfarzo di un appartamento non suo, portandosi dietro la sciatteria e la trascuratezza degli anni trascorsi per strada facendo la spola a casa da mamma e papà alcolizzati e indebitati fino al collo.

Ha un bambino, di circa tre anni. Ma troppo pigra per prendersene cura, ha riallacciato i rapporti con una vecchia zia che ha preso quindi con sé il figlioletto allevandolo non si sa bene sotto quali principi.

Presa dallo spirito “creativo” si è anche presentata davanti ad un impresario teatrale dicendosi disposta a diventare attrice e cantante, sfondando quindi nel mondo dello spettacolo frequentato dall’alta borghesia.

Ma siccome le sue doti fanno letteralmente pena, il finanziatore degli spettacoli ha ben deciso di presentarla sul palco nuda, coperta solamente da uno straccetto trasparente, che così almeno alle stecche non ci bada nessuno.

Dopo aver occupato queste prime pagine mostrandoci Nanà com’è ora, cosa fa e come vive, Zola si perde in noiose pagine incentrate sulle banali e ridicole conversazioni dei signorotti dell’epoca; nelle descrizioni di pranzi sontuosi, sì, ma sonnolenti in maniera catastrofica e nella cronaca della monotona vita di Nanà che, approdata definitivamente tra i ricchi, è diventata noiosa pure lei.

Non sono riuscita davvero a finire il romanzo, e non so quindi quale sia la conclusione della vita di Nanà, ma credo non serva saperlo; sicuramente morirà con la gonorrea, o di parto, o ancora nella povertà più schifosa come i genitori.

Quello che è certo è che Zola non è mai paterno nei confronti delle sue creature letterarie, quindi aspettiamoci la cosa più brutta che ci sia al mondo per la sorte della misera Nanà...

P.s.: sia “L’ammazzatoio” che “Nanà” erano nella lista dei libri da leggere per la sfida “Book to movie challenge” (ormai scaduta all’inizio di gennaio). Qui.

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Il delta di Venere

Anaïs Nin

I grandi tascabili, Bompiani [il prezzo di copertina non lo so, è stato un regalo di Natale ;-)]

Non sapevo che “Il delta di Venere” fosse una raccolta di racconti, e leggendo i primi che compongono il libro già mi stavo convincendo che era meglio lasciar perdere: primo, perché non amo i racconti (finiscono troppo presto, e invece io dei personaggi voglio sapere tutto, soprattutto della loro psicologia, che in un racconto ha inevitabilmente poco spazio); secondo, perché racconti come “Matilde” o “L’avventuriero inglese” sono proprio brutti! Presentano i classici cliché erotici in cui non manca mai l’uomo adulto che si diverte con le bambine, l’incesto o ancora il collegio (sia esso maschile o femminile) che di notte si trasforma in un covo orgiastico.

Dopo qualche ricerca ho scoperto però che proprio quei primi racconti non sono di Anaïs Nin, ma bensì di Henry Miller. Cosa che nella prefazione non è specificata, o meglio, è sì riportato che la stesura a pagamento dei racconti de “Il delta di Venere” era stata commissionata inizialmente a Miller e che, poi stufo, aveva appioppato tutto il lavoro ad Anaïs, ma letto così uno dà per scontato che TUTTI i racconti della raccolta siano quindi della sola Nin. E invece, a quanto pare, si è deciso di pubblicarla interamente senza eliminare gli scritti di Miller che, ripeto, sono bruttissimi...

Nel proseguire con la lettura devo dire che questo è un particolare però piuttosto trascurabile, grazie alla bellezza e alla ricchezza linguistica dei racconti successivi.

Tutto si potrebbe racchiudere a emblema nel racconto “Elena”, che occupa la parte centrale del libro e che ci presenta diversi personaggi che diventeranno, soprattutto tra quelli secondari e di passaggio, via via i protagonisti delle narrazioni successive della raccolta.

La giovane Elena è il fulcro di una storia raffinata e voluttuosa, in cui la sua crescita sensuale ed erotica è mostrata ed analizzata senza mai porre l’accento sul lato carnale e strettamente provocatorio del contesto narrativo. Le sue esperienze sessuali non servono solo a far scattare nel lettore la scintilla del piacere, ma anche (e secondo me, soprattutto) ad indagare l’animo femminile che, anche nel momento dell’unione fisica, segue determinati percorsi inscindibili dalla sfera affettiva. Elena infatti non agisce mai secondo gli istinti più bassi, ma lo fa esclusivamente per approfondire e scoprire nuovi lati del rapporto che ha con l’uomo che ama o, se si unisce con altri partner, per sperimentare una determinata situazione che la riporterà poi - più matura, più donna - dal suo compagno.

Il tutto descritto ed esaminato attraverso un lessico ricercato e di classe, mai volgare nemmeno durante le descrizioni esplicite di atti sessuali; anche in quei casi l’attenzione è posta su quello che le due persone che si uniscono provano e sentono l’una verso l’altra.

Niente a confronto con lo stile di Henry Miller: sciatto, sgraziato che mentre lo leggi hai proprio l’impressione di seguire i racconti porno d’osteria.

Un consiglio: uomini, leggetelo! imparerete sicuramente a capire un pochino meglio noi donne...

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Stardust

Neil Gaiman

Mondadori, 15.00 € [io l’ho preso in biblioteca, però c’è anche l’edizione economica nella collana Bestsellers a 8.80 € o, meglio ancora, quella bellissima illustrata da Charles Vess’ edita da Vertigo in lingua originale]

In una fredda sera di ottobre una stella cadente attraversa il cielo e il giovane TristRan (sì, con la R!), per conquistare la bellissima Victoria, promette di andarla a prendere...

Una delicata favola per noi adulti in cui magia, amore e avventura ci riporteranno con la mente alla nostra infanzia quando eravamo piccoli e ascoltavamo incantati le fiabe che i nostri genitori ci raccontavano.

Un piccolo romanzo che si legge in un soffio in un pomeriggio uggioso costretti a passarlo in casa, dove ci dimenticheremo del rumore della pioggia sui vetri.

Una poetica fiaba da ricordarsi quando guarderemo con i nostri bambini le stelle cadenti cadere d’estate...

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Se non posso averti

Maria Elisabetta Scavia

Mondadori, 17 € [D-I-C-I-A-S-S-E-T-T-E euro!!! per fortuna esistono le biblioteche]

Nell’Inghilterra di fine Settecento, lui ha sessant’anni e lei quattordici. Riusciranno ad amarsi tranquillamente?

Tutta la carica erotica e sensuale provata con “Il delta di Venere”, leggendo questo libro mi si è ammosciata di brutto.

Tuttavia, criticare l’esordio letterario di una ragazzina di appena quattordici anni (sì, giuro! Maria Elisabetta Scavia è nata nel 1993) è un po’ come sparare sulla croce rossa...

Dire che è zeppo di ripetizioni, carente di descrizioni utili a contestualizzare la narrazione, infantile nello stile che fa automaticamente sembrare grottesca la lunga serie di rapporti sessuali descritti minuziosamente, non mi sembra il caso [anche se, detto così, ormai l’ho criticato comunque!].

E’ un tragico polpettone ambientato tra il 1788 e il 1789 che vede come oggetto l’amore proibito tra un vegliardo sessantenne e una teen-ager di altri tempi, che potrebbe essere riproposto, tagliando e cambiando gli scarsi riferimenti storici, trasformandolo in un semplice colpo di testa del 2008 di un uomo già grande che si invaghisce di una bambinetta capricciosa.

In fondo, lui e lei si incontrano nel bosco o si rubano un bacio tra gli anfratti del maniero feudale di lei, come potrebbero farlo due nel buio di un cinema che proietta “Tre metri sopra il cielo” o in fila da McDonald’s mentre prendono un Happy Meal...

Insomma, è un romanzone un po’ ingenuotto che sa di rimaneggiato nelle parti “spinte” e che ricalca abbastanza fedelmente i classici di Jane Austen. Solo che è targato made in china.

sabato 12 gennaio 2008

"Espiazione" di Joe Wright (2007)


img98/7027/espiazioneii3.jpgEcco cosa succede quando un libro bellissimo viene trasposto sul grande schermo da chi l’opera originale l’ha letta davvero sul serio: ne esce un’opera altrettanto eccellente.

Perché, come già era successo per la sua precedente pellicola tratta da “Orgoglio e pregiudizio” della Austen, Wright sa cosa deve raccontare e soprattutto sa come farlo senza martoriare il romanzo da cui proviene la storia.

Non era facile mettere insieme tutti quei passaggi di punti di vista sui quali l’intero romanzo è basato e sui quali fa leva il concetto di “interpretazione personale”, cioè come un singolo fatto possa essere visto e poi interpretato da più persone che si trovano in uno stesso luogo e nello stesso identico momento, facendo scattare la scintilla del fraintendimento e della suggestione.

Wright ci è riuscito con un paio di stratagemmi davvero azzeccati e fantasiosi, che non stonano affatto con il racconto originale, ma anzi, riescono a trattenere il film il più possibile all’interno dei contorni del romanzo omonimo di Ian McEwan senza cambiarlo di una virgola.

I dialoghi sono esattamente gli stessi, l’atmosfera opprimente della casa in cui si svolge tutta la prima parte del romanzo è quanto mai fedele al testo, i personaggi sono come te li sei sognati mentre scorrevi con gli occhi le pagine del libro e la parte centrale del racconto, in cui seguiamo Robbie cercare invano di tornare in Inghilterra da soldato bloccato sulle coste francesi, è magistralmente riassunta in un piano sequenza decisamente complicato e lungo che esplora e mostra i punti salienti dell’esperienza militare del ragazzo - fra orrore e desolazione umana - riuscendo a far provare allo spettatore le stesse identiche emozioni provate nel leggere quei brani che addirittura ripercorrevano svariate settimane di marcia.

La parte conclusiva del romanzo e del film vanno ancora di pari passo, mostrando la Briony anziana che cerca di rimediare al torto inflitto alla sorella e a Robbie.

Resta ancora la sensazione di una bellissima storia d’amore, ostacolata e tormentata che nessuno riuscirà a riportare indietro, a far rivivere, nemmeno come rimedio per espiare le proprie colpe.

9/10