sabato 27 dicembre 2008

Buone feste (in ritardo!)

The undomestic goddess

Sophie Kinsella

Dell Publishing Company, acquistabile su IBS

[pubblicato in Italia da Mondadori nella collana Oscar bestsellers]


Nuovo personaggio per i libri di Sophie Kinsella: Samantha Sweeting, 29 anni, brillante avvocato la cui unica ragione di vita è... il lavoro.

E oltre a quello non ha nient'altro da fare. Niente fidanzati, niente serate con gli amici, niente pranzi in famiglia.

Questa situazione tetra cambierà completamente per un grave errore lavorativo.

Cosa succederà a Samantha ve lo lascio scoprire da voi.

Certo è che le trame della Kinsella si fanno sempre più bizzarre e anormali e il divertimento non manca, se non fosse che il finale appare scontato già dopo 1/4 del libro (!!) e che l'happy end è d'uopo.

Beh, è un libro un po' banale ma se non altro si tiene in allenamento l’inglese (dico sempre così con i libri della Kinsella...).


[Libro letto per la sfida di San Valentino del gruppo Readers Challenge]


6/10



Nemico, amico, amante...

Alice Munro

Super ET, Einaudi, 11.50 €


Nove racconti di donne che cercano la propria strada, l'indipendenza, l'amore o che si ricordano dei tempi passati.

Racconti femministi da una parte e dall'altra racconti che, analizzando l'animo femminile, affrontano anche temi come la morte, la malattia, il rapporto tra i sessi.

A ciascun racconto corrisponde così una figura di donna che sta vivendo situazioni famigliari non felici e quello che mi è subito balzato agli occhi è che in ogni racconto c’è qualcuno che o si suicida, o viene investito, o scappa dalla propria vita, o muore di malattia.

Squarci di vita famigliare non troppo allegri quindi, ma dai quali la donna ogni volta protagonista ne esce circondata da un’aurea di imbattibilità e voglia di vivere.

Le donne della Munro se la cavano da sole e rivendicano la loro personalità, questo però senza che la stessa autrice dia loro una mano per superare tutte le brutture quotidiane: la Munro infatti racconta in maniera distaccata e clinica quei nove differenti momenti di vita e lascia che le protagoniste piangano, ridano, si disperino senza il conforto di un giudizio da parte dell’autrice.

L’imparzialità per me è stato un ostacolo durante la lettura e avrei preferito almeno un po’ più di coinvolgimento della Munro nel narrare.

Non metto in dubbio comunque che i racconti siano perfetti e calibrati ad ogni termine e virgola, ma non riesco a dargli una votazione alta appunto per la freddezza narrativa.

6½/10


Come procede il vostro periodo di vacanza?? Io quest’anno sotto l’albero non ho trovato nessun libro, dato che è stata una mia esplicita richiesta: con ancora una trentina (o forse più) di libri in attesa sul comodino ho pensato fosse meglio così... altrimenti chi si salva più!

Ancora auguri!

mercoledì 17 dicembre 2008

Come dio comanda - libro/film


Come dio comanda

Niccolò Ammaniti

Scrittori italiani e stranieri, Mondadori, 19 € [me l'hanno prestato]

Come dio comanda

Gabriele Salvatores

Italia, 2008

Il fine settimana appena trascorso l’ho passato ingobbita a leggere-leggere-leggere l’ultimo libro di Ammaniti perché lunedì sera dovevo andare al cinema a vederne il film. E nonostante mi sia fatta venire la gobba e gli occhi strabici ero arrivata a ieri pomeriggio con ancora sul groppone 50 pagine da finire, però ce l’ho fatta.

Dato che il film non differisce molto dall’idea originale di Ammaniti procederei a farne un discorso generale.

Protagonisti sono Rino Zena e suo figlio tredicenne Cristiano, una famiglia tutta al maschile che senza la presenza di una donna a bilanciare i due componenti principali si è vista propendere per una vita fatta di dissolutezza e pochi ideali positivi: Rino, alcolizzato e disoccupato cronico, ha cresciuto da solo suo figlio, la moglie scappata chissà dove, e l’unico insegnamento che ha saputo dargli è stato quello di essere violento e tirare fuori i coglioni ché altrimenti gli altri ti schiacciano.

Ma Cristiano mal si presta alle idee aggressive del padre e, contrapposta alla visione che Rino ha della vita e a come la conduce in pratica – scazzottate, sesso con chi capita, sbornie e scatti d’ira –, il ragazzino cerca di sopravvivere solo e senza amici in una quotidianità fatta di scuola e giri a vuoto in squallidi centri commerciali, con il persistente terrore di essere diviso dal padre e spedito in qualche centro per ragazzi disagiati.

L’unica cosa positiva che infatti Rino ha sempre dimostrato per il figlio è l’amore viscerale che prova per lui, il bisogno più fisico che mentale di saperlo vicino considerandolo una propria appendice; e lo stesso fa Cristiano nei suoi confronti nonostante entrambi stiano sempre lì a recriminarsi l’uno contro l’altro in un continuo rapporto d’amore/odio.

Fanno da contorno alla triste e violenta vicenda di Cristiano e Rino tanti personaggi più o meno miseri quanto loro che nel libro e nel film vengono però trattati in due modi diversi: se Ammaniti dà risalto anche alle storie di contorno ampliando così le sfaccettature di uno stesso mondo, nel film diversi personaggi vengono cancellati per dare più spazio alla sola storia secondaria di Quattro Formaggi, uno degli amici di Rino.

Ma non è un difetto, perché così facendo Salvatores è riuscito comunque a mostrare e raccontare le stesso cose del libro, tagliando e accorciando ma inserendo nel personaggio di Quattro Formaggi e negli altri rimasti un po’ tutto quello che per forza di cose è stato eliminato.

Ero molto curiosa di vedere come Salvatores avrebbe interpretato i numerosi cambi di punti di vista del libro: nel racconto ogni episodio è visto alternativamente con gli occhi di tutti i personaggi che in quel determinato brano appaiono, provocando così a volte un po’ d’ironia nel vedere come ognuno può interpretare diversamente la stessa cosa; Salvatores toglie da subito quel po’ di umorismo e punta tutto sulla colonna sonora che si comporta come diretta espressione delle azioni e dei pensieri dei personaggi, modulandosi soprattutto in base alla rabbia e alle emozioni forti che essi provano, in quanto nel film come nel romanzo non c’è MAI felicità o serenità. E’ in tutto e per tutto una storia di violenza, e la colonna sonora così malinconica e prepotente è davvero la massima espressione di tutti i pensieri e le analisi che Ammaniti dà ai suoi personaggi nella carta e sottolinea, come le parole nel libro, quanto ognuno di loro sia allo stesso tempo buono e cattivo, la duplicità delle loro vite, di come nessuno sia definitivamente innocente e nemmeno totalmente malvagio.

Per me non ci sono mancanze né difetti nell’interpretazione che Salvatores ha dato del libro, quello che mi ero immaginata leggendo è stato ampiamente riprodotto sullo schermo, merito anche di un gruppo di attori bravissimi tra i quali mi ha molto impressionato Elio Germano (Quattro Formaggi) alle prese con un ruolo certo non facile.

L’unica cosa che ho notato con un po’ di disappunto è che Ammaniti pur avendo costruito una storia bellissima e ad averla raccontata in maniera scorrevole e realistica, non si è ancora comunque distaccato dai soliti temi che ha affrontato finora nei suoi libri: quelli cioè di una provincia desolata, di bambini alle prese con eventi troppo grandi per loro, di un agognato riscatto da una vita incolore. E come sempre in un certo senso vira ancora sul lieto fine dato che in questa storia dio decide comunque di mandare un po’ di calma nelle vite disgraziate di Rino e Cristiano.

In sostanza sia il libro che il film sono state delle belle esperienze, il film soprattutto per quanto riguarda l’impatto visivo ed emozionale con la bellissima colonna sonora composta dai Mokadelic [qui potete sentirne alcuni brani], e poi c’era Filippo Timi (Rino).

FILIPPO TIMIIIIIIIIIIIIII...

8/10 a entrambi

venerdì 12 dicembre 2008

Ciak 1

In ritardo siderale arrivano le recensioni dei film visti dalla scorsa primavera.

Ai confini del paradiso (Yasmin kiyisinda)

Fatih Akin

Germania, 2007

Avevo già apprezzato Fatih Akin nel 2005 quando vidi “La sposa turca” al cineforum, quell’anno fu lui il film più bello, e quando la scorsa primavera è stato proposto in cartellone il nuovo film del regista non ho avuto dubbi sull’andarlo a vedere.

Ancora una volta protagonisti sono i turchi di nuova generazione nati, o cresciuti poi, in Germania a metà strada tra la cultura europea e quella tradizionale del loro paese d’origine.

Se ne “La sposa turca” si denunciavano le usanze turche ormai troppo obsolete in fatto di matrimonio e inesistente emancipazione femminile, in questo film invece trova posto quella parte di società turca composta dai giovani dalle idee antigovernative bollati immancabilmente di terrorismo, e la storia di una ragazza così accusata si intreccia a diverse altre in un dedalo di casualità forse a volte un po’ forzate che portano i vari protagonisti a spostarsi alternativamente tra la Germania e la Turchia in cerca di libertà, di sé stessi o di una nuova vita.

Diviso in tre parti il film non annoia soprattutto per le astruse sinapsi da scoprire pian piano tra le varie vicende; inoltre il rapporto tra Turchia e Germania non è il solo argomento trattato: si parla anche di amore, di omosessualità e del vincolo tra genitori e figli.

Bellissima sceneggiatura ma io continuo a preferire “La sposa turca”, una storia d’amore in cui tutti i sentimenti sono portati all’eccesso e dove anche un semplice bacio ti può dare l’impressione di un pugno nello stomaco.

7½/10

Signorinaeffe

Wilma Labate

Italia, 2007

Protagonista indiscussa di tutto il film è la Fiat a cui fa da sfondo la breve e centrifugata (nel senso che è una roba velocissima di una botta e via) relazione tra l’operaio Sergio e l’impiegata Emma nel lontano 1980.

O forse è il contrario? ed è la Fiat a fare da sfondo un po’ impegnato ai due protagonisti per via del riferimento alle lotte sindacali del 1980? Boh. Vabeh.

Per tutto il film c’è di base il detto che “il mondo è piccolo” e che alla Fiat, almeno all’epoca, valeva la regola del “pacco famiglia”: una volta assunto il capofamiglia, va da sé che TUTTA la progenie di quel nucleo famigliare avrebbe lavorato prima o poi in Fiat. E’ il caso di Emma e di tanti personaggi che appaiono nel film.

Per quanto riguarda il primo proverbio invece sembra che in Piemonte nel 1980 esistesse solo la Fiat e che Torino fosse un buco di provincia di appena 200 abitanti: lì si conosco tutti, tutti lavorano in Fiat, ed è così che Emma e Sergio si rivedono per caso dopo essersi incrociati nello stabilimento.

Ragionandoci su però il tutto sarebbe plausibile se letto in chiave di alienamento, vita breve e senza troppe distrazioni: tutti gli operai finiscono per condurre una vita casa-lavoro ed è normale che ci si incontri anche al di fuori della fabbrica negli spazi ristretti di svago. Può essere che sia così ma vorrei sentire le vostre opinioni in merito qualora aveste visto il film.

Comunque, Sergio ed Emma sono i protagonisti del film e la loro brevissima storia d’amore inizia e finisce nell’arco di 35 giorni: quelli che servirono in effetti ai sindacati per trovare un accordo con i dirigenti della Fiat che decisero per un riordino aziendale.

Per spiegare meglio cosa stava succedendo in quel periodo vengono in aiuto anche filmati originali che si intercalano alle vicende dei due, ma quello che non ho capito è se la regista ha voluto fare un documentario sulle agitazioni in Fiat o un film d’amore su due che tanto non si potranno amare perché fanno parte di due ceti sociali diversi – lei già proiettata verso un roseo futuro da laureata, lui che resterà invece in eterno in catena di montaggio pur avendo velleità da sindacalista-megafono – nel dubbio sul vero significato di questo film la certezza che rimane è che Filippo Timi (Sergio) è un figo della madonna e che ogni volta che parlava con quella voce roca lì, io svenivo sulle poltroncine del cinema.

6½/10

Un bacio romantico (My blueberry nights)

Wong Kar Wai

Francia, 2007

Lei (la cantante Norah Jones) viene mollata dal fidanzato e comincia a rompere le palle al gestore di una tavola calda (un improbabile Jude Law) con le sofferenze della sua anima. Poi decide di partire e di cercare sé stessa (un classico...) sulle strade d’America, quindi fa le valigie e inizia un peregrinare continuo mentre il barman la cerca e riceve da lei solo cartoline senza il mittente.

Lento, con dialoghi minimalisti, con inquadrature fastidiosissime tutte a mezzo busto o in primo piano, con personaggi da periferia malfamata – lo psicopatico alcolista, la donna sola, la giocatrice d’azzardo – con una colonna sonora quasi inesistente se non fosse per il bel brano di Cat Power “The greatest” con quell’aria moscia da piano bar ma che va bene lo stesso, in definitiva una noia assoluta durante la cui durata totale sono entrata in catalessi.

E’ il primo film di Wong Kar Wai che vedo e già l’ho bocciato.

4/10

sabato 6 dicembre 2008

La felicità difficile

La felicità difficile – Il mio viaggio nell’inferno della depressione e ritorno

Elizabeth Wurtzel

Rizzoli, fuori catalogo (si trova solo nelle biblioteche)

Fino a un mese fa non conoscevo Elizabeth Wurtzel, “La felicità difficile” è il suo romanzo d’esordio e siccome gli editori italiani hanno la tendenza ad inventarsi i titoli per le versioni tradotte va detto che il libro in realtà si intitola “Prozac nation: young and depressed in America” ed è l’analisi autobiografica e saggistica della vita della stessa Elizabeth che dall’età di undici anni ha sofferto perennemente di depressione.

Nata nel 1967 a New York, i suoi genitori divorziano quando ancora lei è piccolissima e comincia una vita travagliata per lei che dovrà dividere i dispiaceri e i sacrifici quotidiani con una madre infelice ma allo stesso tempo ossessiva. Questa situazione precaria non le escluderà però una carriera scolastica brillante e da perfetta bambina prodigio: Elizabeth alle elementari già scrive pièce teatrali e approda diciannovenne ad Harvard con una borsa di studio.

In fondo Elizabeth conduce una vita “normale”, i flirt adolescenziali, le prime esperienze sessuali, le feste, le amicizie durature, i successi scolatici e i primi impieghi da giornalista appena ventenne per aver vinto uno stage presso il quotidiano della città di Dallas... Eppure una sensazione di disagio e impotenza la perseguita: passa giornate chiusa nella sua stanza a piangere, ad autolesionarsi, a pensare che la vita è una schifo.

Già adolescente scopre gli psicofarmaci e a ventanni fa già uso della Fluoxetina, cioè quello che diventerà famoso poi con il nome di Prozac. I farmaci però non sono gli unici compagni che l’aiutano a vivere, ci sono anche l’alcol e le droghe; solo così riesce a portare avanti una vita di successo, passando sempre però sul lettino dello psicologo, da un ricovero all’altro negli istituti specializzati in casi mentali, ad attacchi isterici in pubblico...

Alla fine ce la farà a guarire, o meglio, a convivere con la sua malattia cronica Elizabeth? Sì, dopotutto sì.

Riassunta così la sua storia è assolutamente riduttiva e superficiale, ma è colpa mia dato che il libro è talmente approfondito che per analizzare la vicenda di Elizabeth ci vorrebbero ORE.

Lei è bravissima e estremamente colta nello scrivere, nel raccontare la sua storia personale riesce anche a dare un quadro della psicologia di chi soffre di depressione e arriva a concludere che dalla depressione si può guarire soprattutto contando su sé stessi e sulle proprie capacità di reagire senza l’aiuto esterno di farmaci e stupefacenti; Elizabeth condanna l’utilizzo di queste droghe e nel raccontare la propria esperienza non lesina nel mettere in luce cosa queste sostanze provocavano sulla sua coscienza e sul suo fisico cioè, detto in parole povere, un totale rimbambimento e la distorsione della percezione della realtà.

Spesso mi hanno detto che ho la tendenza a leggere libri deprimenti, questo però mi sento di consigliarlo. Intanto perché lo stile di Elizabeth Wurtzel non manca di ironia e cinismo dissacrante, quindi ogni tanto si sghignazza, poi perché nel trattare un argomento così pesante in un libro a metà strada tra un romanzo e un saggio non è mai noiosa e sempre disinvolta, naturale.

In ultimo una curiosità: nel 2004 è stato tratto un film da questo libro dal titolo “Prozac nation” con nei panni di Elizabeth Wurtzel Christina Ricci.

Va da sé che il film non è MAI uscito nelle sale italiane.

8/10

mercoledì 26 novembre 2008

Aggiornamento di libri (il cinema arriverà...)

Il dardo e la rosa

Jacqueline Carey

Tea Due [regalo!]

Dopo aver letto diversi commenti positivi riguardo questo primo episodio di una trilogia in corso di pubblicazione, avevo chiesto a Babbo Natale (cioè al moroso) di farmelo trovare sotto l’albero e il 25 dicembre di un anno fa era proprio fra i regali.

Ma la mole di libri in attesa ha preso il sopravvento e ho potuto immergermi nelle avventure dell’eroina Phèdre, protagonista e narratrice della vicenda, solo quest’estate.

Ho impiegato quasi tre mesi per finirlo, infatti è eternamente lungo e se ci aggiungiamo che non è esattamente sempre avvincente e “mozzafiatante”... beh, i periodi in cui l’ho lasciato a impolverarsi sul comodino sono stati davvero tanti.

Detto questo, come si potrebbe riassumere “Il dardo e la rosa”? E’ un magma di citazioni e riferimenti alla cultura greca, alla religione cristiana, alla mitologia scandinava, alle tattiche belliche dei romani (infiniti i combattimenti e le strategie adottate dai vari personaggi per districarsi da situazioni impervie), agli intrighi a corte dell'epoca medievale (omicidi, veleni, segreti e combutte) e, ultimo ma non meno importante, al kamasutra.

Sì, perché Phèdre è una prostituta dalle caratteristiche atipiche: cresciuta e istruita all’arte del sesso per volere del suo padrone, si ritroverà a svolgere il duplice impiego di prostituta e spia agli ordini di non meno chiari reali e nobili della terra in cui vive - Terre d’Ange.

Sinceramente, per stare al passo dei complotti, dei legami di sangue fra le infinite casate nobili, dei litigi e delle maledizioni sulle stirpi future, non è che c’abbia capito molto... ho fatto davvero fatica e l’enorme quantità di nomi sciorinata durante le 888 pagine ha il difetto di mandare in confusione il lettore. E anche di annoiarlo un po’.

Tuttavia la storia è avvincente, tolti però (ecco un altro aspetto negativo!) i cali di tensione e ritmo dovuti a una ripetitività degli eventi nei passaggi descrittivi dei pellegrinaggi e delle avventure di Phèdre e del gruppo da lei capitanato.

Poi se vogliamo dirla tutta non è che i personaggi siano così ben caratterizzati, anche se la scarsità di descrizioni psicologiche la si può abbonare almeno per il braccio destro di Phèdre: Jocelyn, che con i suoi salti mortali, le prodezze marziali e l’ambiguità del voto di castità lo fanno apprezzare alquanto alle lettrici donne, me compresa...

Ultimo appunto: le scene di sesso esplicito e un po’ piccanti inseriscono il romanzo esclusivamente fra la letteratura per adulti e, visti i pochissimi riferimenti al genere fantasy – per intenderci simil Marion Zimmer Bradley citata, a torto, in quarta di copertina – escluderei il libro anche dalla cerchia fantasy.

7/10

E le stelle stanno a guardare

Archibald J. Cronin

I grandi tascabili, Bompiani [regalo!]

In questo romanzo di Cronin vince l'arrivismo e chi cerca di vivere seguendo valori saldi e positivi viene sconfitto in partenza.

Di nuovo protagonisti sono i soprusi e le bruttezze del mondo operaio ma, mentre nel bellissimo “La cittadella” a vincere erano “i buoni”, in questo romanzo bisogna solo prendere atto che gli imbroglioni riusciranno nella vita meglio di chiunque altro mentre chi cerca di vivere dignitosamente accettando di lavorare duramente per guadagnarsi un futuro decoroso resterà infangato nella tristezza, nella miseria, nei compromessi avvilenti.

E le stelle? e le stelle stanno a guardare, e in fondo che ci vogliamo fare?

Un libro pessimista e deprimente.

P.s.: qualcuno dica alla Bompiani che se un libro viene definito "tradotto in italiano" allora nel testo non ci devono essere espressioni dialettali in lingua originale! E poi che i nomi dei personaggi o si traducono tutti oppure si lasciano in inglese. Senza contare la marea di errori ortografici sparsi nell'intero volume.

4/10

L’età dell’innocenza

Edith Wharton

Biblioteca Economica Newton, 4 €

E’ ormai chiaro che non ho più interesse nel recensire questo libro finito ormai da alcuni mesi (e letto per il Circolo del Mercoledì). Non mi è piaciuto.

I personaggi sono altezzosamente snob così impacchettati nelle buone maniere della società americana di fine Ottocento, e la storia d’amore proibita tra Newland e la contessa Olenska è tutto tranne che passionale e romantica. Al contrario a me ha suscitato solo indifferenza.

Tenterò di rileggerlo tra qualche anno.

n.c.

Nelle prossime puntate il pezzo forte del momento (lo sarà stato anche per me???): “Twilight” di Stephenie Meyer

mercoledì 19 novembre 2008

Ex Libris

Il 4 novembre scorso ho compiuto gli anni e oggi è arrivato il regalo da parte del mio moroso.

[cliccate sulle foto per ingrandirle]

Sono contentissima! Luca mi aveva lasciato carta bianca sul disegno, il carattere delle lettere, ecc... insomma, su tutto. E secondo voi potevo non scegliere come soggetto un micino??? no, infatti. ;-)

L’inchiostro è rosso semplicemente perché se l’avessi scelto nero credo si sarebbe uniformato troppo con il resto della pagina.

Oggi pomeriggio ho testato il timbro sui miei libri di bambina, pian piano marcherò tutti gli altri.

Per chi fosse interessato ad avere il proprio ex libris personalizzato, la ditta a cui ci siamo rivolti è la Q. Conti scoperta tramite Pattybruce.


mercoledì 15 ottobre 2008

Estate 2008, le foto

A momenti è Natale e io non ho ancora dedicato un post alle fotografie delle vacanze in Valle d'Aosta. Quest'anno le ho trascorse oltre che con il moroso anche con mia sorella e il suo fidanzato.

Eccovi le più belle (o passabili, dipende dai punti di vista) in ordine cronologico [se ci cliccate sopra potete vederle in formato più grande].

[Ri-visita al castello di Ussel in un pomeriggio ventoso]

[sò io...]

[io e Luca]

[belvedere ai piedi del castello]

[prima gita:tempo non eccezionale ma il posto era bellissimo]

[arrivati nei pressi di una baita abbiamo fatto conoscenza con questo micino, talmente socievole che si è fatto felicemente spupazzare da tutti e in special modo da me e mia sorella, gattare maniache]

[gita a Courmayeur: paese tristissimo zeppo solo di negozi d’alta moda e di turisti finti amanti della montagna… no, non mi è piaciuta la visita, non foss’altro per l’atmosfera del paese e la splendida vista delle montagne vicine…]

[seconda gita: partiti tardissimo dato che la maggioranza ha voluto fermarsi a far colazione al bar -__- a metà strada ha cominciato a far caldo e ad essere afoso. Ecco perché…]

[…qui avevo ‘sta faccia]

[però guardate che posto!! - foto gentilmente concessa dalla sorella]

[la meta della gita: Falegnon, un paesino abbandonato un po’ spettrale]

[ultimo giorno di vacanza: visitina a Saint Vincent, dove c’è questa casina disabitata; non è bellissima???]

Bene, il viaggio è finito. Vi ho risparmiato gli aneddoti, le curiosità e gli acquisti fatti ad Aosta e per i mercatini ;-) [chi fosse interessato a questi ultimi può andare nell’altro mio sito, quello di cucito, dove a settembre avevo fatto un post specifico].

Intanto ho finito di leggere “E le stelle stanno a guardare” di Cronin – e non sono più sicura di inserirlo tra i miei autori preferiti in assoluto insieme a Carlo Cassola e Thomas Hardy, poi vi spiegherò perché – e proseguo con la lettura dei quattro libri delle Piccole Donne (attualmente ho appena iniziato il secondo volume, di questo passo finirò nel 2010 -_-). La Carey invece prende polvere.

A presto!

giovedì 25 settembre 2008

Leggere Lolita a Teheran

img140/1255/nafisixs6.jpgLeggere Lolita a Teheran

Azar Nafisi

Adelphi, 10 €

Attraverso un continuo rapportarsi con la letteratura occidentale, i suoi autori e i suoi personaggi femminili - talvolta maschili - di carta, Azar Nafisi analizza e confronta la condizione della donna iraniana negli anni della Rivoluzione spiegandoci che cosa accumuna quelle donne, lei stessa compresa, a Lolita, Daisy Miller e Gatsby (questi alcuni dei personaggi presi in esame insieme ai loro romanzi di riferimento).

Ne nasce più che un romanzo un saggio molto approfondito ed estremamente interessante; d’altronde l’autrice era già avvezza a testi di questo genere, essendo stata in Iran una fra le intellettuali e docenti universitarie donne più promettenti.

In questo libro la Nafisi non fa altro che rivolgersi ai lettori come ai suoi studenti iraniani di una volta, quando teneva per loro corsi di letteratura occidentale. Il suo amore per i libri, lo studio e la conoscenza la spinsero, quando la situazione di proibizionismo e dittatura nel suo paese d’origine era diventata assolutamente insostenibile, a fondare un seminario di lettura segreto in casa propria a cui parteciparono alcune tra le sue migliori studentesse.

Un corso d’approfondimento in cui i maschi erano banditi e in cui si sarebbe parlato solo di donne nella letteratura; e l’intento originario, discutere cioè delle diversità tra Occidente e cultura Islamica, venne “soppiantato” a poco a poco dai racconti e dalle domande esistenziali delle ragazze, dai loro dolorosi “perché?”, dalle loro speranze e dalla voglia e rivendicazione di vivere in una società che costringe in quattro mura le donne e punta il dito contro quelle istruite e che vogliono conoscere e sapere.

Ognuna delle ragazze del libro, e l’autrice stessa, finirono per essere in parte influenzate dai discorsi di democrazia ed emancipazione tenutisi durante il seminario: la maggior parte di loro cambiò radicalmente il proprio futuro, come la Nafisi che decise di trasferirsi definitivamente in America con la propria famiglia dove riprese ad insegnare ad altri studenti, questa volta occidentali, e a cui cerca tuttora di trasmettere l’amore per la letteratura.

Alla fine “Leggere Lolita a Teheran” è proprio questo: un inno alla letteratura, ai libri con le sue figure e storie, e contemporaneamente un inno alla femminilità e alla libertà in tutti i campi e saperi di vita.

Attenzione però: per chi cercasse un romanzo scorrevole e poco impegnativo direi che questo libro non fa al caso suo, io stessa consapevole della sua veste “saggistica” ho fatto non poca fatica a seguirlo.

9/10

P.s.: libro letto per la sfida di San Valentino.

mercoledì 10 settembre 2008

Libri con la pallosite acuta

Sono tornata da quasi due settimane dalla Valle d’Aosta [le foto, per chi fosse interessato, stanno arrivando], vogliamo subito passare a parlare degli ultimi libri letti?

Uno più brutto dell’altro. Eccoveli in ordine sparso (di bruttezza):

Comincerei con “Liberazione” di Sándor Márai [Adelphi, 16.50 €, regalo!] che, sfogliatolo il libreria mi aveva affascinata in maniera esagerata per un incipit che reputerei fra i più belli finora letti:

La diciottesima notte dopo capodanno - il ventiquattresimo giorno dell'assedio di Budapest -, una giovane donna decise di abbandonare il rifugio in un grande edificio accerchiato nel cuore della città, di attraversare la strada trasformata in campo di battaglia e di raggiungere, in ogni modo e a qualsiasi costo, l'uomo che quattro settimane prima era stato murato, insieme a cinque compagni, in un angusto scantinato dell'edificio di fronte. Quell'uomo era sua padre (...)”.

Purtroppo le 161 pagine successive proseguono per concetti ripetuti più e più volte con le stesse parole e che vanno a formare sostanzialmente più un’analisi quasi saggistica alquanto noiosa della condizione psicologica dei prigionieri, delle vittime di guerra e dei carnefici stessi, che un romanzo storico basato sul racconto di due vite tra le tante trovatesi a sopravvivere fra brutalità disumane.

Leggerlo è stato, anche se veloce per la brevità del testo, più una forzatura che un piacere: non volevo lasciarlo a metà e già solo l’accenno a quel padre murato vivo mi aveva invogliato a terminare la lettura, non foss’altro per sapere almeno se fosse sopravvissuto o meno.

E con sorpresa sono stata ripagata dalle ultime venti-venticinque pagine in cui tutta la scarsità d’azione e la monotonia precedente vengono sostituite da un colpo di scena che ormai non mi aspettavo più.

Tuttavia non credo “Liberazione” sia un bel libro, anche se scritto molto bene e con profonda lucidità per dei fatti narrati quasi in presa diretta (Márai terminò il romanzo nell’estate del 1945), e anche a distanza di alcune settimane dal termine della lettura non trovo altre parole diverse da “noioso/poco stimolante” per definirlo.

A questo punto non credo leggerò altri libri dell’autore.

Il fine settimana appena trascorso mi ha vista invece tutta intrippata iniziare a leggereLa solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano [Mondadori, 18 €, me l’hanno prestato]. Osannato dalla critica che gli ha fatto vincere il Premio Strega 2008, deriso invece da una parte dei lettori è la storia incrociata di due persone sole dall’infanzia all’età adulta, fino a quando non si incontrano per caso ma siccome sono come due numeri primi che non si trovano mai vicini l’uno all’altro finiscono a essere come le rette che non si incontrano mai quando sono parallele, come i binari del treno e come probabilmente il mio interesse per Paolo Giordano, cioè nullo, ché il libro è partito gasatissimo con una prima parte bellissima ma poi si è perso verso le cagate da letteratura per adolescenti con lui che si picchia da solo perché e depresso e lei che non mangia perché è depressa e così tutti sono depressi. Insomma, che due palle. E per fortuna che me l’hanno prestato.

Altro libro e altra noia assicurata è “Vita” di Melania G. Mazzucco [Libri Oro, Rizzoli, 6 €, anche questo imprestatomi] letto per la Sfida delle donne autrici e che, guarda caso!, pure lui ha vinto il Premio Strega nel 2003. Sarò forse allergica ai libri che vincono quel concorso??? E’ un tentativo mal riuscito di biografia famigliare: la Mazzucco, basandosi sui racconti del padre, ha intrapreso un lungo percorso di ricerca e documentazione da cui è saltato fuori questo libro, appunto. Peccato che l’autrice abbia ritenuto opportuno intervallare la storia vera e propria a resoconti stile Lonely Planet delle sue ricerche tra archivi, escursioni sui luoghi, interviste, ecc... che sono di una noia abominevole. In più la storia degli antenati Mazzucco emigrati in America all’inizio del Novecento è completamente rimaneggiata da passaggi di fantasia a cui si aggiunge pure la presenza del soprannaturale e forse di E.T. che perseguitano il personaggio che dà il titolo al libro, e lo stile della narrazione lascia pure un po’ a desiderare così scialbo e inconcludente.

Così “Vita” poteva essere un bel libro sulla condizione degli emigrati all’inizio del Novecento ma purtroppo è solo un romanzo romanzato di una storia che “poteva” essere vera.

Dovrei parlarvi anche di “L’ètà dell’innocenza” di Edith Wharton, a cui spetterebbe la palma d’oro per la pallosità assoluta, ma direi di rimandare perché per oggi penso sia sufficiente così.

5/10 a tutti

sabato 23 agosto 2008

In partenza

Anche quest’anno tre settimane di vacanza a casa a far la muffa [ma ho letto più libri dell’anno scorso - sììììì, che goduria - e se va avanti così comincerò ad assomigliare ad un incrocio tra una talpa e un topo da biblioteca], e una soltanto fuori casa.

Stasera parto per la Valle d’Aosta e vengono con me "Liberazione" di Sándor Márai e "Vita" di Melania Mazzucco.

Sarò di ritorno il 31 agosto.

Un saluto a tutti!!!

Vi lascio con la recenZione dell’ultimo libro letto per la sfida delle scrittrici donne su Readers Challenge.

img93/7333/cmaygr1.jpgLa storia di Chicago May

Nuala O’Faolain (letto: Nolu Ofoulin)

Biblioteca della Fenice, Guanda, [regalo!]

Spinta da un impulso maniaco da Esselunga mesi fa avevo arraffato nel reparto edicola questo volume, accortami però del suo non esattamente esiguo prezzo di copertina l’avevo abbandonato al suo triste destino.

Poi però me lo sono visto arrivare in regalo. ;-B

E’ la vera storia di May Duignan, diciannovenne irlandese che nel 1890 si imbarca per gli Stati Uniti in cerca di fortuna.

Dopo varie peregrinazioni approda senza fissa dimora a Chicago, diventa la famigerata Chicago May e si mantiene vivendo di furti, truffe e prostituzione legandosi periodicamente a uomini balordi e maneschi con i quali scorrazza per mezzo mondo, isole comprese.

Seguendo le rocambolesche avventure di May basate sull’autobiografia scritta di proprio pugno nel 1928 e recuperata, rivisitata e approfondita dalla scrittrice Nuala O’Faolain, ci viene anche dato un quadro generale delle esistenze di chi, a cavallo dei due secoli, viveva ai margini della società.

La O’Faolain infatti alterna le vicissitudini di May a spiegazioni e aneddoti storici di quel periodo, facendo conoscere al lettore numerose altre esistenze di donne e uomini simili a Chicago May: tra i più famosi Etta Place, Eddie Guerin e Constance Gore-Booth.

In totale quarant’anni di vita sulla strada di May corrispondono a quarant’anni di trasformazioni di usi e costumi, curiosità e cronache dell’America dei bassifondi tra il 1890 e il 1928.

Nel libro sono anche illustrate le “funzionalità” delle carceri statunitensi, europee e delle colonie francesi: la stessa Chicago May finirà per spendere in totale quindici anni della sua vita in cella, di cui dieci tutti di fila in un carcere inglese in cui le condizioni di vita erano abominevoli tra sporcizia, malattie e possibilità di morire di inedia.

Uscita dal carcere e rispedita negli Stati Uniti il suo passato e quindi le possibilità del suo futuro vengono commentati così dall’autrice: “Non è più giovane, eppure con il passare degli anni non ha costruito niente”.

Non c’è dubbio che vivere un’esistenza come quella di May, fatta di alti e bassi tra ricchezza sfrenata e povertà desolante, amori emozionanti fatti anche di botte, viaggi per il mondo e conoscenze anche altolocate, sia stato appassionante e stupefacente; soppesando però i lati negativi di tutto questo - a mio parere, purtroppo, di gran lungaLa copertina dell'edizione americana - moooolto più bella maggiori rispetto a quelli positivi - non so se sia valsa la pena vivere così... anche perché la vita di May non finisce all’uscita dal carcere inglese ma prosegue ancora e ancora. Non dico cosa le capiterà di nuovo fino alla sua morte, ma leggerlo è stato avvilente.

D’altronde però mi capita sempre di pensare così, combattuta tra commenti esaltanti e altri invece più razionali, delle storie come quella di May Duignan.

Ne consiglio la lettura a chi si è appassionato a “Il petalo cremisi e il bianco” di Faber: vi ritroverà tutta quella ricostruzione storica approfondita, con l’aggiunta di stare leggendo una storia vera tra l’altro scritta in maniera molto scorrevole senza però dimenticare sensibilità e classe nel narrarla.

Un’altra donna di cui vi consiglio di leggere l’autobiografia è Bertha Thompson. Il suo libro si intitola “Box-car Bertha” ed inizia quando le memorie di Chicago May finiscono, e si protraggono fino alla prima metà degli anni ’30. Qui la mia vecchia recenZione.

8/10