lunedì 28 agosto 2006

"Happy mania" n. 3-4

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In questi ultimi due numeri la trama si è fatta più delineata, inizialmente infatti le avventure (sessuali) di Shigeta avevano una struttura auto conclusiva, anche se la maggior parte dei protagonisti ritornava tra un seguito e l’altro.
Ci sorbiamo così i vari smaronamenti di Shigeta in maniera più completa, dato che viene dato maggior spazio ai suoi pensieri e abbiamo quindi la possibilità di tentare di capire meglio cosa le passa per la testa, anche se tutto è talmente contraddittorio che, arrivati quasi a metà serie (“Happy mania” conta solo undici numeri), non credo si capirà mai - resta però un personaggio molto diverso dalla sconclusionata Nana Komatsu di “Nana” .
Quello che spinge Shigeta a buttarsi tra le braccia di chiunque si dimostri interessato al suo corpo, è solo una irrefrenabile voglia (una mania) di avere qualcuno al suo fianco che la ami, anche se finisce solo col passare per una poco di buono, confondendo i due ruoli. Infatti, finora, nessuno degli individui incontrati si è mostrato almeno un pochino interessato alla sua anima.
Continua ad esserci però il povero Takahashi, sinceramente innamorato di lei, ma Shigeta lo ignora usandolo solo come ripiego per i momenti in cui non ha nessuno da perseguitare.
Si continua a ridere, ma in maniera diversa, soprattutto dopo aver letto l’ultima vignetta del quarto volume, in cui Shigeta si chiede con orrore se comportarsi in quel modo faccia parte della sua natura, e capisci così che la questione è più complicata e anche lei se ne sta rendendo conto.
Una bella presa di coscienza.

E ora, ringraziamo tutti la Star Comics per aver aumentato, in sordina, il prezzo di copertina di 70 centesimi.

domenica 27 agosto 2006

"Camp attack" di Larry Lisca

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I sognatori approdano alla loro seconda pubblicazione, abbandonando (per il momento?) le atmosfere cupe delle indagini di River Crane e accostandosi ad un genere completamente diverso, alla Stefano Benni (ammetto però di non aver mai letto un libro benniano).

Leggendo il libro di Larry Lisca, ho avuto da subito l’impressione di assistere a una lunga carrellata di tipi (non)umani, una lista che viviseziona con occhio divertito e critico, al tempo stesso, le diverse tipologie umanoidi che infestano i campeggi di tutt’Italia.
Tengo a precisare che non ho mai frequentato campeggi, ma dopo aver letto questo libro mi sono fatta un’idea abbastanza inquietante di questi luoghi di villeggiatura: invasi dai turisti analizzati da Lisca, ormai sono paragonabili a delle piccole botteghe degli orrori dai quali si rischia di non uscirne vivi.
Anche il titolo e la copertina del libro mi hanno subito spinto verso quest’idea, dove una personcina assorta nella lettura di un libro (la cui categoria di “lettore” è oggetto nel testo), sembra stia per essere assalita alle spalle da quella moltitudine di esseri mostruosi pronti, all’attacco, per risucchiargli anche l’ultimo barlume di umanità che il campeggiatore-lettore, e ognuno di noi, porta con sé prima di varcare la soglia del campeggio, ed essere inglobato nel magma della mediocrità, fatto di adolescenti assuefatti dalla tv che dei libri “ne hanno solo sentito parlare”, donne e uomini fin troppo maturi che hanno però il cervello come gli adolescenti di cui sopra, gli onnipresenti maleducati, e così via.
Tante tipologie di campeggiatori che si possono trovare anche finite le vacanze, quando si ritorna in città, ma viste assiepate in un unico ambiente ristretto fanno ancora più paura.
L’unico che sembra non badarci troppo è il “lettore” che, riparato da quell’enorme libro a mo’ di scudo, fa sì che il libro di Lisca non termini senza una sorta di lieto fine dove, abbandonato per un attimo il tono umoristico e spietato, trova maggiore spazio la delicatezza dei toni, nel tratteggiare poeticamente le caratteristiche di questo essere umano.
Se pensate però di avvicinarvi alla lettura di “Camp attack” e trovarvi l’umorismo spicciolo da cabaret (che ha sconfinato anche in libreria con tutti i librucoli dei comici), allora cambiate genere: Larry Lisca combina un’ironia cinica, sostenuta dagli azzeccatissimi disegni di Francesca Santamaria (già autrice della copertina de “L’orologio di cenere” di Aldo Moscatelli), a una sottile e dura critica alla società odierna, celata dietro quelle analisi che hanno sì il compito di divertire il lettore (e molto!) - perché, come già detto, immune da tutti quegli orrori che vede con distacco - ma che lo portano poi a riflettere.
E alla fine non sai se ridere o “piangere”.

Trova di nuovo spazio alla fine del volume l’intervista all’autore, come sempre interessante e utile per capire, nel giro di poche e semplici domande, l’animo dell’autore, al di là di tutte quelle informazioni inutili che i giornalisti si ostinano a voler sapere quando intervistano uno scrittore.

domenica 20 agosto 2006

"L'orologio di cenere" di Aldo Moscatelli

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Il mio blog non è molto visitato, e l’essere inaspettatamente contattata addirittura da una casa editrice che mi propone di leggere uno dei suoi libri per scriverne poi una recensione, beh, mi ha inorgoglita parecchio.
Fra i libri in catalogo de I sognatori, questa casa editrice emergente, al momento ve ne sono solo due: “L’orologio di cenere”, appunto, definito un noir, e “Camp attack” di Larry Lisca, un romanzo umoristico alla Stefano Benni.

Per principio non ho letto né dato “sbirciatine” alle recensioni scritte dai blogger che prima di me hanno letto il libro di Aldo Moscatelli e, una volta ricevuto il libro, non ho nemmeno letto la trama in quarta di copertina; così ho iniziato a leggerlo senza farmi influenzare da giudizi esterni, alla cieca, conoscendo, pagina dopo pagina la storia e, soprattutto, il protagonista River Crane, un investigatore privato con un oscuro passato alle spalle del quale il lettore ne viene solo in parte reso a conoscenza.
Ma è giusto che il personaggio di Crane rimanga un po’ nell’ombra, l’omissione della maggior parte degli aspetti della sua vita (nonostante ci venga data la possibilità di “assistere” ad alcuni suoi incubi notturni), infatti, non fa altro che renderlo un uomo più forte, dal grande impatto sul lettore, che resta affascinato da questa figura misteriosa e ambigua, quasi fosse offuscata e avvolta dal fumo delle sigarette che perennemente fuma.
Anche l’ambientazione del romanzo non è ben delineata, la cittadina in cui si svolge la storia non ha un nome - solo la via in cui abita Crane l’ha - i personaggi si muovono in strade che lo stesso Crane definisce “buie anche di giorno”, deserte, che celano segreti e malattie dei bassifondi. Le descrizioni vere e proprie sono rare e sempre brevi, secche, da non considerare però come aspetto negativo, perché il tutto (o il poco…) sprona il lettore, nel caso ne senta la necessità, a immaginare, creare a suo piacimento un mondo più definito, concreto, aiutato da quelle sintetiche e dirette descrizioni che da sole, però, ripeto, riescono a far immaginare qualsiasi cosa.
E diretto e semplice è anche lo stile di Aldo Moscatelli, fatto di dialoghi che mai ho trovato scontanti, un umorismo a volte cinico che distende adeguatamente la tensione del racconto, una capacità ammaliatrice che, per me non amante di questo genere di libri che ora ho però rivalutato, è riuscita sorprendentemente a tenermi incollata alle pagine che ho letto tutte d’un fiato, con la curiosità di vedere risolto il caso di cui nemmeno a dieci pagine dalla fine sono riuscita a intuire la soluzione lambiccandomi inutilmente, e infine critiche dello stesso protagonista verso una società che, non importa il libro sia ambientato plausibilmente negli Stati Uniti, è comunque da ricondurre a quella di chiunque si avvicini alla lettura di questo romanzo, una società purtroppo permeata dalla malvagità umana, alla quale sono riservate con rabbia le ultime righe del libro.

Un appunto va all’intervista all’autore posta al termine del volume, in cui si amplia la biografia scritta (finalmente!) dallo stesso autore in quarta di copertina, e in cui trovano spazio varie riflessioni sull’editoria odierna e sul ruolo del lettore.
Il “distinguersi” dal gregge, di cui Aldo Moscatelli parla nell’intervista, oltre a riservarti gradevoli - oppure sgradevoli - emozioni (capita che un libro non piaccia, ma questo non significa che da esso non si riesca a trarre almeno un minimo di insegnamento), distinguersi, dicevo, ti permette di venire a conoscenza di piccoli casi editoriali come questo, che premiano i veri amanti dei libri, eliminando a priori, con un contatto diretto col pubblico, tutti coloro che affibbiano a se stessi il termine di Lettore (con la L maiuscola) e che credono, a torto, di esserlo.
Infine un complimento alla copertina, che mi ha da subito ricordato i dipinti di Escher, e che rispecchia e “riassume” pienamente la storia raccontata.

A quando un seguito delle avventure di River Crane?

giovedì 17 agosto 2006

V Festival Internazionale del cinema muto musicato dal vivo

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Non tutti i turisti che passano le vacanze in Valle d’Aosta sanno che ad agosto si tiene “nella splendida cornice del Teatro Romano” (virgolettato perché, se andata su Google, vi accorgerete che non c’è nemmeno un articolo che parla della manifestazione che non esordisce con questa frase…) il Festival Internazionale del cinema muto musicato dal vivo.
O meglio, in molti non lo sanno perché raramente a spettacoli di questo tipo si avvicina un vasto pubblico, soprattutto poi se si tratta di cinema muto: il cinema delle origini è, ed è sempre stato, considerato “di nicchia”, nella giornata del 6 agosto (a cui ho assistito) non c'erano molti spettatori.
Credo che l’unico altro festival dedicato al cinema muto è ancora una volta un festival organizzato in Italia, ed è Le Giornate del Cinema Muto che si svolge a Sacile e Pordenone, arrivato nel 2005 alla 24° edizione.
Il cinema di quegli anni andrebbe rivalutato adeguatamente, perché, come ad eventi del calibro di quelli che si tengono a Cannes e a Venezia che riescono a riunire migliaia di appassionati, il cinema muto possiede lo stesso fascino del cinema contemporaneo.
Harold Lloyd, il regista americano oggetto della retrospettiva di quest’anno ad Aosta, possiede una comicità che a distanza di quasi ottant’anni è ancora esilarante e mai scontata; si crede che ormai al cinema (e in tv) si è già visto di tutto, e che film incartapecoriti come questi non abbiano più nulla da raccontare, invece è proprio grazie a questi film che oggi ci sono attori, registi, ecc… che ci divertono; ma evidentemente la gente che si sganasciava a Saint Vincent per i comici di Zelig, non se ne rende conto o, peggio, non lo sa.
Nella serata del 6 agosto sono stati proiettati i film “Captain Kidd’s kid” e “His royal slyness”, entrambi del 1920 e diretti e interpretati dallo stesso Lloyd.
Sono film che non superano i trenta minuti di pellicola - come si sa, all’epoca erano rari i casi in cui un film durava di più - film che già dalle prime sequenze rendono benissimo l’idea del tipo di comicità a cui Lloyd faceva affidamento, molto vicina a Buster Keaton, con gags rocambolesche e assurde, durante le quali il goffo protagonista ne combina di tutti i colori.
A fare da accompagnamento alle pellicole sono stati due gruppi che, dal vivo, hanno eseguito due partiture originali composte appositamente per i film e che sono state oggetto di un concorso europeo (maggiori informazioni le trovate a questo indirizzo www.stradedelcinema.it ).
Il primo film è stato accompagnato dai Riddle, un quartetto dalle sonorità rock che, con l’uso anche di un sintetizzatore, ha dato vita ad una musica molto divertente e più scanzonata di quella di Rosario Di Leo che, con il suo pianoforte, ha composto per “His royal slyness” una melodia che non mi è sembrata molto adatta ad un film comico: troppo composta nelle scene bizzarre, migliore invece, per ovvi motivi, nelle sequenze d’amore ed idilliache.
Al termine della proiezione ogni spettatore è stato invitato a votare, con un apposito coupon, i due gruppi.
La serata è stata molto piacevole e, come sempre, “fuori dal comune”; consiglio vivamente di partecipare a questa manifestazione, perché si può assaporare dal vivo le (credo…) stesse emozioni che gli spettatori di cent’anni fa provavano andando al cinematografo.
Non quest’anno però, perché il Festival è terminato il 12 agosto, e mi rendo conto di averne scritto troppo tardi…!

[Festival visitato il 6/08/2006]

domenica 13 agosto 2006

"Viaggi di Gulliver in vari paesi lontani del mondo" di Jonathan Swift

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Inizio col dire che non è un romanzo per bambini, ma bensì una critica senza pietà verso la società dell’epoca, che sottolinea inoltre (soprattutto con l’ultima parte del libro, quella in cui Gulliver è ospite degli equini Yuyhnhnm) come dovrebbe in realtà essere un mondo giusto e senza difetti.
Ho faticato a star dietro alle interminabili riflessioni sulla società inglese di Gulliver, perché incomprensibili per una buona parte (ammetto di non saper quasi nulla sulla situazione politica ed economica dell’Inghilterra del ‘700) e, di conseguenza, noiose.
E’ curioso invece come Swift sia riuscito ad inventare diversi fantastici esseri, adeguandoli alle sue esigenze critiche rivolte ai vizi dell’uomo, perché ogni popolo che incontra incarna uno o più svariati difetti umani: il popolo in miniatura di Lilliput (forse il più famoso tra le avventure di Gulliver), e quello dei giganti di Brobdingnag dove, nei capitoli a lui destinato, si parla anche di sgradevoli intoppi sessuali in cui incappa il protagonista (altro motivo per cui questo romanzo non è da considerarsi una candida favola); la terza parte del libro presenta invece i popoli che, secondo me, dimostrano maggiormente la grande invettiva di Swift, soprattutto per quanto riguarda gli inquietanti accademici di Lagado: i loro esperimenti sono secondi solo a quelli del Dottor Mengele…
La quarta e ultima parte è la più cinica: Gulliver è ospite appunto degli Yuyhnhnm, cavalli più intelligenti dell’uomo, che insegneranno al viaggiatore, con la loro saggezza e grandiosità d’animo, come essere un vero uomo; tanto che, al ritorno in patria, Gulliver proverà disgusto per i suoi simili e soprattutto per la sua famiglia, con la quale è “costretto” a vivere a stretto contatto. Per questo aspetto direi che, leggere di Gulliver che sviene al solo pensare ai suoi (secondo lui) stupidi e volgari compatrioti, dimostra quanta spocchia ci sia, alla fine, in Swift stesso.
Il romanzo però è pregevole, anche se i brani in cui si critica la società inglese lo rendono alquanto noioso.
E mi raccomando, non consideratelo più un romanzo per bambini!

7/10

sabato 12 agosto 2006

venerdì 11 agosto 2006

"Maggie: una ragazza di strada" di Stephen Crane

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E’ con la triste e cruda storia di Maggie che questo scrittore, morto di tubercolosi a soli 29 anni nel 1900, esordì nell’ambiente letterario.
Attraverso la storia di Maggie conosciamo anche la vita dei bassifondi di New York nel 1893, e di tutta la sottospecie umana che ne faceva parte, fra violenza, vita di stenti, alcolismo, prostituzione e orrori di ogni sorta mai raccontati prima.
Crane potrebbe essere considerato il Dickens d’oltre oceano: utilizza un’ironia cinica simile a quella dello scrittore inglese, per seguire, quasi con distacco, la vicenda narrata; questa ironia però accentua lo squallore e l’infelicità che schiaccia gli abitanti del Bowery, il quartiere in cui nasce e cresce Maggie.
La povera Maggie, poco più che adolescente, cerca in tutti i modi di sfuggire alle brutture della famiglia e del quartiere malfamato; trova la “salvezza” nella figura di Pete, amico del fratello maggiore, attirato dalla candida e innocente bellezza della giovane ragazza.
Ma la vita con Pete non è rosa e diversa da tutto quello che fin lì Maggie aveva conosciuto, la giovane rimane costretta entro i confini del Bowery e non vedrà mai cosa c’è al di là. Come a dire che non si può cancellare il passato, le proprie origini e non c’è salvezza per nessuno, forse l’unica via è il suicidio.
L’ultimo capitolo che vede come protagonista Maggie, è il più disperato: ormai la ragazza ha perso ogni aspetto che la distingueva dalla plebaglia, solo una certa grazia nei movimenti le è rimasta, ma non viene più nominata per nome, diventando così una ragazza come tante, una ragazza di strada.
E’ un breve romanzo molto toccante, che rimane impresso non solo per l’infelice storia, ma anche per la bravura dello scrittore che con il suo stile di scrittura colpisce profondamente il lettore.

9/10

giovedì 10 agosto 2006

"Brad Barron" n. 15

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Questo fumetto è talmente ripetitivo che ormai non ho più nulla da scrivere a riguardo, per fortuna mancano solo tre numeri alla fine.
State attenti però: la Bonelli recentemente ha fatto sapere che potrebbero esserci ulteriori albi, con uscita ancora da definire, dove si potrà ritrovare il nostro biologo preferito (alla faccia della mini-serie…).
E mi sto ancora chiedendo: ma è proprio vero che “Brad Barron” piace così tanto come Tito Faraci aveva precisato sulle pagine di qualche numero fa?
Io non ne sono poi così tanto sicura.
Soprattutto dopo aver chiuso l’albo ed essermi accorta che in quarta di copertina, fra le anticipazioni, c’è scritto: “Sua moglie e sua figlia sono vive”. Ma come?! Un colpo di scena così tanto atteso da ben 15 soporiferi numeri, me lo spiattelli così come se niente fosse?
No, non ci siamo.
E tutte le sequenze in flash-back, e la brutta copertina, e l’espressione assorta di Brad a pag. 85 quando dice: “Ora capisco perché, mentre Bob ti stringeva il collo, riuscivi lo stesso a parlare. Era un dettaglio che non mi quadrava”, e beh, certo! chi meglio di Brad ha il tempo di elaborare congetture simili mentre due uomini se le danno di santa ragione con gli alieni alle calcagna? Ovviamente solo chi ha “un biologo in lui”.
Sì, ciao Brad, ciao.

mercoledì 9 agosto 2006

"Il metrò assassino", "Il segreto del mago" e "Profumo di delitto" di Elizabeth Howard

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Letti molti anni fa da adolescente, questi libricini destinati ad un pubblico femminile li ho ritrovati molto avvincenti e ben scritti. Nonostante sia passato molto tempo, e io ormai sia quasi una donna, le piacevoli impressioni avute all’epoca della lettura sono state ampiamente riconfermate.
Paris MacKenzie, la sedicenne protagonista della serie che porta il suo nome (“Il mio nome è Paris” composta da tre volumi), nel corso delle avventure e degli intrighi in cui incappa, matura adeguatamente fino a perdere l’iniziale spavalderia che la contraddistingueva, diventando una signorina a tutti gli effetti.
Questa è una caratteristica importante perché la serie è destinata soprattutto ad un pubblico femminile tra i 12 e i 16 anni.
Inoltre, non si deve pensare che essendo romanzi per ragazzine, siano poco “complicati” e di facilissima lettura: hanno tutte le caratteristiche (seppur alleggerite un poco) dei gialli di Agatha Christie - giusto per fare un esempio - con tanto di false piste, colpi di scena e situazioni di stallo da far lambiccare il cervello.
Alcuni punti però della trama portante dei primi due volumi (collegati fra loro e aventi molti personaggi che ritornano più volte sulla scena), non vengono risolti del tutto, tanto che si pensa che nel terzo e ultimo libro ci siano dei risvolti conclusivi anche per i misteri risolti a metà dei primi due episodi; invece nell’ultimo romanzo si cambia completamente scena e ci si ritrova con Paris ospite addirittura nella villa di Monet, escludendo quindi a priori ulteriori spiegazioni sulle avventure precedenti.
Anche lì non mancherà l’ennesimo giallo da risolvere, che darà di nuovo del filo da torcere alla Sherlock Holmes in gonnella, ma viene fatto un quadro generale della personalità di Monet davvero assurdo: Paris ha modo di conoscerlo molto da vicino essendo sua ospite, ma lo descrive come un mezzo pazzo lunatico con seri problemi mentali…
Non so su quali basi l’autore (e non autrice, perché in realtà il suo vero nome è Michael Hardwich) abbia potuto costruire la personalità del famosissimo pittore; resta il fatto che non mi ha dato una buona impressione: è troppo duro e ridicolo nel descrivere un personaggio del calibro di Monet, cosa che mi fa pensare che in realtà siano informazioni distorte e create ad hoc per il romanzo.
A parte questa piccola critica, consiglio la lettura di questa serie non solo alle adolescenti ma, perché no, anche a chi ormai ha passato da molto tempo quell’età.

“Il metrò assassino” 7½/10
“Il segreto del mago” 7½/10
“Profumo di delitto” 6/10