sabato 27 dicembre 2008

Buone feste (in ritardo!)

The undomestic goddess

Sophie Kinsella

Dell Publishing Company, acquistabile su IBS

[pubblicato in Italia da Mondadori nella collana Oscar bestsellers]


Nuovo personaggio per i libri di Sophie Kinsella: Samantha Sweeting, 29 anni, brillante avvocato la cui unica ragione di vita è... il lavoro.

E oltre a quello non ha nient'altro da fare. Niente fidanzati, niente serate con gli amici, niente pranzi in famiglia.

Questa situazione tetra cambierà completamente per un grave errore lavorativo.

Cosa succederà a Samantha ve lo lascio scoprire da voi.

Certo è che le trame della Kinsella si fanno sempre più bizzarre e anormali e il divertimento non manca, se non fosse che il finale appare scontato già dopo 1/4 del libro (!!) e che l'happy end è d'uopo.

Beh, è un libro un po' banale ma se non altro si tiene in allenamento l’inglese (dico sempre così con i libri della Kinsella...).


[Libro letto per la sfida di San Valentino del gruppo Readers Challenge]


6/10



Nemico, amico, amante...

Alice Munro

Super ET, Einaudi, 11.50 €


Nove racconti di donne che cercano la propria strada, l'indipendenza, l'amore o che si ricordano dei tempi passati.

Racconti femministi da una parte e dall'altra racconti che, analizzando l'animo femminile, affrontano anche temi come la morte, la malattia, il rapporto tra i sessi.

A ciascun racconto corrisponde così una figura di donna che sta vivendo situazioni famigliari non felici e quello che mi è subito balzato agli occhi è che in ogni racconto c’è qualcuno che o si suicida, o viene investito, o scappa dalla propria vita, o muore di malattia.

Squarci di vita famigliare non troppo allegri quindi, ma dai quali la donna ogni volta protagonista ne esce circondata da un’aurea di imbattibilità e voglia di vivere.

Le donne della Munro se la cavano da sole e rivendicano la loro personalità, questo però senza che la stessa autrice dia loro una mano per superare tutte le brutture quotidiane: la Munro infatti racconta in maniera distaccata e clinica quei nove differenti momenti di vita e lascia che le protagoniste piangano, ridano, si disperino senza il conforto di un giudizio da parte dell’autrice.

L’imparzialità per me è stato un ostacolo durante la lettura e avrei preferito almeno un po’ più di coinvolgimento della Munro nel narrare.

Non metto in dubbio comunque che i racconti siano perfetti e calibrati ad ogni termine e virgola, ma non riesco a dargli una votazione alta appunto per la freddezza narrativa.

6½/10


Come procede il vostro periodo di vacanza?? Io quest’anno sotto l’albero non ho trovato nessun libro, dato che è stata una mia esplicita richiesta: con ancora una trentina (o forse più) di libri in attesa sul comodino ho pensato fosse meglio così... altrimenti chi si salva più!

Ancora auguri!

mercoledì 17 dicembre 2008

Come dio comanda - libro/film


Come dio comanda

Niccolò Ammaniti

Scrittori italiani e stranieri, Mondadori, 19 € [me l'hanno prestato]

Come dio comanda

Gabriele Salvatores

Italia, 2008

Il fine settimana appena trascorso l’ho passato ingobbita a leggere-leggere-leggere l’ultimo libro di Ammaniti perché lunedì sera dovevo andare al cinema a vederne il film. E nonostante mi sia fatta venire la gobba e gli occhi strabici ero arrivata a ieri pomeriggio con ancora sul groppone 50 pagine da finire, però ce l’ho fatta.

Dato che il film non differisce molto dall’idea originale di Ammaniti procederei a farne un discorso generale.

Protagonisti sono Rino Zena e suo figlio tredicenne Cristiano, una famiglia tutta al maschile che senza la presenza di una donna a bilanciare i due componenti principali si è vista propendere per una vita fatta di dissolutezza e pochi ideali positivi: Rino, alcolizzato e disoccupato cronico, ha cresciuto da solo suo figlio, la moglie scappata chissà dove, e l’unico insegnamento che ha saputo dargli è stato quello di essere violento e tirare fuori i coglioni ché altrimenti gli altri ti schiacciano.

Ma Cristiano mal si presta alle idee aggressive del padre e, contrapposta alla visione che Rino ha della vita e a come la conduce in pratica – scazzottate, sesso con chi capita, sbornie e scatti d’ira –, il ragazzino cerca di sopravvivere solo e senza amici in una quotidianità fatta di scuola e giri a vuoto in squallidi centri commerciali, con il persistente terrore di essere diviso dal padre e spedito in qualche centro per ragazzi disagiati.

L’unica cosa positiva che infatti Rino ha sempre dimostrato per il figlio è l’amore viscerale che prova per lui, il bisogno più fisico che mentale di saperlo vicino considerandolo una propria appendice; e lo stesso fa Cristiano nei suoi confronti nonostante entrambi stiano sempre lì a recriminarsi l’uno contro l’altro in un continuo rapporto d’amore/odio.

Fanno da contorno alla triste e violenta vicenda di Cristiano e Rino tanti personaggi più o meno miseri quanto loro che nel libro e nel film vengono però trattati in due modi diversi: se Ammaniti dà risalto anche alle storie di contorno ampliando così le sfaccettature di uno stesso mondo, nel film diversi personaggi vengono cancellati per dare più spazio alla sola storia secondaria di Quattro Formaggi, uno degli amici di Rino.

Ma non è un difetto, perché così facendo Salvatores è riuscito comunque a mostrare e raccontare le stesso cose del libro, tagliando e accorciando ma inserendo nel personaggio di Quattro Formaggi e negli altri rimasti un po’ tutto quello che per forza di cose è stato eliminato.

Ero molto curiosa di vedere come Salvatores avrebbe interpretato i numerosi cambi di punti di vista del libro: nel racconto ogni episodio è visto alternativamente con gli occhi di tutti i personaggi che in quel determinato brano appaiono, provocando così a volte un po’ d’ironia nel vedere come ognuno può interpretare diversamente la stessa cosa; Salvatores toglie da subito quel po’ di umorismo e punta tutto sulla colonna sonora che si comporta come diretta espressione delle azioni e dei pensieri dei personaggi, modulandosi soprattutto in base alla rabbia e alle emozioni forti che essi provano, in quanto nel film come nel romanzo non c’è MAI felicità o serenità. E’ in tutto e per tutto una storia di violenza, e la colonna sonora così malinconica e prepotente è davvero la massima espressione di tutti i pensieri e le analisi che Ammaniti dà ai suoi personaggi nella carta e sottolinea, come le parole nel libro, quanto ognuno di loro sia allo stesso tempo buono e cattivo, la duplicità delle loro vite, di come nessuno sia definitivamente innocente e nemmeno totalmente malvagio.

Per me non ci sono mancanze né difetti nell’interpretazione che Salvatores ha dato del libro, quello che mi ero immaginata leggendo è stato ampiamente riprodotto sullo schermo, merito anche di un gruppo di attori bravissimi tra i quali mi ha molto impressionato Elio Germano (Quattro Formaggi) alle prese con un ruolo certo non facile.

L’unica cosa che ho notato con un po’ di disappunto è che Ammaniti pur avendo costruito una storia bellissima e ad averla raccontata in maniera scorrevole e realistica, non si è ancora comunque distaccato dai soliti temi che ha affrontato finora nei suoi libri: quelli cioè di una provincia desolata, di bambini alle prese con eventi troppo grandi per loro, di un agognato riscatto da una vita incolore. E come sempre in un certo senso vira ancora sul lieto fine dato che in questa storia dio decide comunque di mandare un po’ di calma nelle vite disgraziate di Rino e Cristiano.

In sostanza sia il libro che il film sono state delle belle esperienze, il film soprattutto per quanto riguarda l’impatto visivo ed emozionale con la bellissima colonna sonora composta dai Mokadelic [qui potete sentirne alcuni brani], e poi c’era Filippo Timi (Rino).

FILIPPO TIMIIIIIIIIIIIIII...

8/10 a entrambi

venerdì 12 dicembre 2008

Ciak 1

In ritardo siderale arrivano le recensioni dei film visti dalla scorsa primavera.

Ai confini del paradiso (Yasmin kiyisinda)

Fatih Akin

Germania, 2007

Avevo già apprezzato Fatih Akin nel 2005 quando vidi “La sposa turca” al cineforum, quell’anno fu lui il film più bello, e quando la scorsa primavera è stato proposto in cartellone il nuovo film del regista non ho avuto dubbi sull’andarlo a vedere.

Ancora una volta protagonisti sono i turchi di nuova generazione nati, o cresciuti poi, in Germania a metà strada tra la cultura europea e quella tradizionale del loro paese d’origine.

Se ne “La sposa turca” si denunciavano le usanze turche ormai troppo obsolete in fatto di matrimonio e inesistente emancipazione femminile, in questo film invece trova posto quella parte di società turca composta dai giovani dalle idee antigovernative bollati immancabilmente di terrorismo, e la storia di una ragazza così accusata si intreccia a diverse altre in un dedalo di casualità forse a volte un po’ forzate che portano i vari protagonisti a spostarsi alternativamente tra la Germania e la Turchia in cerca di libertà, di sé stessi o di una nuova vita.

Diviso in tre parti il film non annoia soprattutto per le astruse sinapsi da scoprire pian piano tra le varie vicende; inoltre il rapporto tra Turchia e Germania non è il solo argomento trattato: si parla anche di amore, di omosessualità e del vincolo tra genitori e figli.

Bellissima sceneggiatura ma io continuo a preferire “La sposa turca”, una storia d’amore in cui tutti i sentimenti sono portati all’eccesso e dove anche un semplice bacio ti può dare l’impressione di un pugno nello stomaco.

7½/10

Signorinaeffe

Wilma Labate

Italia, 2007

Protagonista indiscussa di tutto il film è la Fiat a cui fa da sfondo la breve e centrifugata (nel senso che è una roba velocissima di una botta e via) relazione tra l’operaio Sergio e l’impiegata Emma nel lontano 1980.

O forse è il contrario? ed è la Fiat a fare da sfondo un po’ impegnato ai due protagonisti per via del riferimento alle lotte sindacali del 1980? Boh. Vabeh.

Per tutto il film c’è di base il detto che “il mondo è piccolo” e che alla Fiat, almeno all’epoca, valeva la regola del “pacco famiglia”: una volta assunto il capofamiglia, va da sé che TUTTA la progenie di quel nucleo famigliare avrebbe lavorato prima o poi in Fiat. E’ il caso di Emma e di tanti personaggi che appaiono nel film.

Per quanto riguarda il primo proverbio invece sembra che in Piemonte nel 1980 esistesse solo la Fiat e che Torino fosse un buco di provincia di appena 200 abitanti: lì si conosco tutti, tutti lavorano in Fiat, ed è così che Emma e Sergio si rivedono per caso dopo essersi incrociati nello stabilimento.

Ragionandoci su però il tutto sarebbe plausibile se letto in chiave di alienamento, vita breve e senza troppe distrazioni: tutti gli operai finiscono per condurre una vita casa-lavoro ed è normale che ci si incontri anche al di fuori della fabbrica negli spazi ristretti di svago. Può essere che sia così ma vorrei sentire le vostre opinioni in merito qualora aveste visto il film.

Comunque, Sergio ed Emma sono i protagonisti del film e la loro brevissima storia d’amore inizia e finisce nell’arco di 35 giorni: quelli che servirono in effetti ai sindacati per trovare un accordo con i dirigenti della Fiat che decisero per un riordino aziendale.

Per spiegare meglio cosa stava succedendo in quel periodo vengono in aiuto anche filmati originali che si intercalano alle vicende dei due, ma quello che non ho capito è se la regista ha voluto fare un documentario sulle agitazioni in Fiat o un film d’amore su due che tanto non si potranno amare perché fanno parte di due ceti sociali diversi – lei già proiettata verso un roseo futuro da laureata, lui che resterà invece in eterno in catena di montaggio pur avendo velleità da sindacalista-megafono – nel dubbio sul vero significato di questo film la certezza che rimane è che Filippo Timi (Sergio) è un figo della madonna e che ogni volta che parlava con quella voce roca lì, io svenivo sulle poltroncine del cinema.

6½/10

Un bacio romantico (My blueberry nights)

Wong Kar Wai

Francia, 2007

Lei (la cantante Norah Jones) viene mollata dal fidanzato e comincia a rompere le palle al gestore di una tavola calda (un improbabile Jude Law) con le sofferenze della sua anima. Poi decide di partire e di cercare sé stessa (un classico...) sulle strade d’America, quindi fa le valigie e inizia un peregrinare continuo mentre il barman la cerca e riceve da lei solo cartoline senza il mittente.

Lento, con dialoghi minimalisti, con inquadrature fastidiosissime tutte a mezzo busto o in primo piano, con personaggi da periferia malfamata – lo psicopatico alcolista, la donna sola, la giocatrice d’azzardo – con una colonna sonora quasi inesistente se non fosse per il bel brano di Cat Power “The greatest” con quell’aria moscia da piano bar ma che va bene lo stesso, in definitiva una noia assoluta durante la cui durata totale sono entrata in catalessi.

E’ il primo film di Wong Kar Wai che vedo e già l’ho bocciato.

4/10

sabato 6 dicembre 2008

La felicità difficile

La felicità difficile – Il mio viaggio nell’inferno della depressione e ritorno

Elizabeth Wurtzel

Rizzoli, fuori catalogo (si trova solo nelle biblioteche)

Fino a un mese fa non conoscevo Elizabeth Wurtzel, “La felicità difficile” è il suo romanzo d’esordio e siccome gli editori italiani hanno la tendenza ad inventarsi i titoli per le versioni tradotte va detto che il libro in realtà si intitola “Prozac nation: young and depressed in America” ed è l’analisi autobiografica e saggistica della vita della stessa Elizabeth che dall’età di undici anni ha sofferto perennemente di depressione.

Nata nel 1967 a New York, i suoi genitori divorziano quando ancora lei è piccolissima e comincia una vita travagliata per lei che dovrà dividere i dispiaceri e i sacrifici quotidiani con una madre infelice ma allo stesso tempo ossessiva. Questa situazione precaria non le escluderà però una carriera scolastica brillante e da perfetta bambina prodigio: Elizabeth alle elementari già scrive pièce teatrali e approda diciannovenne ad Harvard con una borsa di studio.

In fondo Elizabeth conduce una vita “normale”, i flirt adolescenziali, le prime esperienze sessuali, le feste, le amicizie durature, i successi scolatici e i primi impieghi da giornalista appena ventenne per aver vinto uno stage presso il quotidiano della città di Dallas... Eppure una sensazione di disagio e impotenza la perseguita: passa giornate chiusa nella sua stanza a piangere, ad autolesionarsi, a pensare che la vita è una schifo.

Già adolescente scopre gli psicofarmaci e a ventanni fa già uso della Fluoxetina, cioè quello che diventerà famoso poi con il nome di Prozac. I farmaci però non sono gli unici compagni che l’aiutano a vivere, ci sono anche l’alcol e le droghe; solo così riesce a portare avanti una vita di successo, passando sempre però sul lettino dello psicologo, da un ricovero all’altro negli istituti specializzati in casi mentali, ad attacchi isterici in pubblico...

Alla fine ce la farà a guarire, o meglio, a convivere con la sua malattia cronica Elizabeth? Sì, dopotutto sì.

Riassunta così la sua storia è assolutamente riduttiva e superficiale, ma è colpa mia dato che il libro è talmente approfondito che per analizzare la vicenda di Elizabeth ci vorrebbero ORE.

Lei è bravissima e estremamente colta nello scrivere, nel raccontare la sua storia personale riesce anche a dare un quadro della psicologia di chi soffre di depressione e arriva a concludere che dalla depressione si può guarire soprattutto contando su sé stessi e sulle proprie capacità di reagire senza l’aiuto esterno di farmaci e stupefacenti; Elizabeth condanna l’utilizzo di queste droghe e nel raccontare la propria esperienza non lesina nel mettere in luce cosa queste sostanze provocavano sulla sua coscienza e sul suo fisico cioè, detto in parole povere, un totale rimbambimento e la distorsione della percezione della realtà.

Spesso mi hanno detto che ho la tendenza a leggere libri deprimenti, questo però mi sento di consigliarlo. Intanto perché lo stile di Elizabeth Wurtzel non manca di ironia e cinismo dissacrante, quindi ogni tanto si sghignazza, poi perché nel trattare un argomento così pesante in un libro a metà strada tra un romanzo e un saggio non è mai noiosa e sempre disinvolta, naturale.

In ultimo una curiosità: nel 2004 è stato tratto un film da questo libro dal titolo “Prozac nation” con nei panni di Elizabeth Wurtzel Christina Ricci.

Va da sé che il film non è MAI uscito nelle sale italiane.

8/10