lunedì 13 dicembre 2010

[Letture] Dove eravamo rimasti 2

Bright Star. La vita autentica di John Keats
Elido Fazi
Fazi Editore, 15 €

A giugno ho visto il film di Jane Campion, DOPO mi sono informata sulla storia di John Keats. Il film lo dipingeva come un uomo romantico, avvezzo alle disgrazie famigliari e quindi rassegnato, mite, consapevole di non poter far felice la donna della sua vita - Fanny Brown - per mancanza di rendita e nemmeno la possibilità di vivere di sola letteratura; un amore struggente che finisce male, malissimo.
Nel libro invece scopro che in realtà John Keats era un antipatico presuntuoso, che mentre scriveva (vaghe) romantiche lettere a Fanny andava a mignotte giù per la costa inglese, che in una di quelle puntate si era pure beccato la gonorrea, che accortosi materialmente di non riuscire nemmeno, come poeta, a vivere da scapolo aveva tassativamente scartato la possibilità di intraprendere la carriera di farmacista e aveva pure schifato successive proposte di lavoro da amici impietositi dal suo pessimo stato economico perché lui voleva vivere di poesia e lungi da lui distaccarsi da questo nobilissimo intento.
C’è da sottolineare però che al di là della non eccelsa personalità di questo scrittore resta indiscussa la bellezza e la poeticità dei versi da lui scritti; poi che Elido Fazi avrebbe potuto impegnarsi un po’ di più nella resa di questo saggio stiracchiato è tutto un altro discorso...

6½/10




Cacciatori di vampiri
Colleen Gleason
Newton & Compton, 4.90 €

Era da un po' che volevo leggerlo, ad agosto l'ho trovato tra gli economici Newton. Non l’avessi mai fatto...
Nell’Inghilterra di fine Ottocento Victoria Gardella è discendente di una famiglia di cacciatori di vampiri, raggiunti i 19 anni d’età è ora che prenda coscienza dei suo poteri di “ammazza-vampiri” (Buffy...?) e così la zia Eustacia (Eustacchia... che cazzo di nome...) organizza il suo esordio come cacciatrice in concomitanza con il debutto in società della giovIne.
Io ho resistito sì e no fino a pagina 53, ma la mia pazienza era morta da tempo cioè da quando a Victoria viene consegnato l’amuleto che la proteggerà. Uh, madonna, cosa sarà mai??? Niente meno che un piercing all’ombelico che le viene “applicato” durante una tamarrissima scena in cui sembra di essere ad a un rave-party.

BOCCIATO




Anne of Green Gables, vol. 1
Lucy M. Montgomery
Special Collector’s Edition, Starfire, Bantam Books [box con tutti e otto i libri della serie con Anne Shirley]

Classico della letteratura per l’infanzia, io ne conoscevo la trama solo per aver visto da piccola il cartone animato giapponese e sinceramente sono rimasta un po’ stupita nel notare come i toni del racconto originale siano molto più “pesanti” rispetto al mio ricordo di bambina nei riguardi della serie tv. Pesante nel senso che si parla di una bambina maltrattata, a cui è stato tolto il diritto allo studio, che si angoscia per la sua condizione difficile, che però fortunatamente trova nei due anziani Cuthbert (che non ricordavo proprio essere fratelli!) un sostegno emotivo, una famiglia che l’accoglie con affetto e le permette di avere una vita agiata.
Probabilmente anche nel cartone animato si parla anche di questi episodi ed è quindi la mia memoria a fare cilecca... comunque non c’è solo commiserazione, pianti e scene commoventi nel libro (che ricordano moltissimo i racconti di Charles Dickens), ci sono anche tante pagine in cui l’esuberante personalità di Anne entra in scena e il racconto si fa divertente, scanzonato anche quando la ragazzina si trova in momenti di disperazione così plateali da diventare quasi grotteschi.
Lo stesso stile di scrittura dell’autrice è molto ironico, dipinge così una protagonista anticonvenzionale e bizzarra, ma alla fine quello che mi è rimasto impresso di “Anne of Green Gables” è l’atmosfera serena, bucolica, nella quale Anne affronta la vita vedendo sempre e solo il lato migliore di ciò che le accade, nel bene e nel male.


9/10




Uomini che odiano le donne - Millenium Trilogy 1
Stieg Larsson
Farfalle, Marsilio, 19.50 €

Alla fine ho ceduto al boom pazzesco cresciuto intorno a questa trilogia e nella settimana di vacanza ad agosto mi sono portata dietro solo questo libro, quindi... o mi leggevo quello o niente.
Non è stata davvero una cattiva esperienza, nel giro di quattro giorni ero già arrivata a 3/5 del libro, anche se sinceramente c’avevo capito praticamente niente dei vari tipi di barche, motoscafi, catamarani e quant’altro che entrano in scena “così” durante la narrazione, e delle descrizioni dettagliatissime (a parer mio inutili) dei processori super mega potenti utilizzati dal giornalista Mikael Blomkvist e da quella che diventerà poi la sua assistente Lisbeth Salander.
Ma se vogliamo soprassedere su queste due pecche c’è poi solamente una cosa da fare, e cioè complimentarsi con Stieg Larsson per aver creato un personaggio femminile come quello di Lisbeth: una ragazza solitaria e diffidente, violenta, dai legami affettivi quasi inesistenti tanto si è inselvatichita dopo essere uscita da un passato difficile. A Lisbeth non interessa una collocazione nella società, vuole solo essere indipendente e non avere nessuna restrizione né nello stile di vita (ai perbenisti non deve fregare se passa con disinvoltura da una relazione lesbica ad una di solo sesso con un uomo) né nella maniera in cui lavora (e qui avere un capo che la asseconda in tutto e per tutto è un buon vantaggio per lei ma anche, nella realtà di noi lettori, assai improbabile...); questo carattere a tratti sgradevole e anche un po’ nevrotico nasconde però la classica sensibilità femminile, un’ambiguità che è alla base della personalità di questo personaggio e che lo rende estremamente complesso e per questo molto interessante. Le parti in cui è in scena Lisbeth sono state quelle che attendevo mentre leggevo e che seguivo con enorme piacere.
Sì, poi c’era il filone thriller-poliziesco e la ricerca spasmodica del colpevole con curatissime indagini, ma... a me bastava Lisbeth.

7/10 (per la trama)
9/10 (per il personaggio di Lisbeth)

mercoledì 17 novembre 2010

Acciaio


Acciaio
Silvia Avallone
Rizzoli, 18 €

Avevo parlato tempo fa del mio rigetto verso i finalisti/vincitori del Premio Strega, ci risiamo: “Acciaio” è stato il secondo classificato dell’edizione 2010 di questo premio letterario. E non mi è piaciuto.
Ambientato nello squallore di un paese (Piombino) fatto di casermoni popolari e bagnato da un mare che sembra una bagnarola stantia e sul quale incombe, paragonata a un enorme presenza fallica e mostruosa, l’acciaieria Lucchini, il libro ha per protagoniste due adolescenti e il contorno delle loro famiglie, vicini di casa e compagni di scuola.
Tutto nel libro è sfatto, marcio, desolante: i papà di Anna e Francesca sono dei fancazzisti affetti da menefreghismo verso qualsiasi dovere coniugale/famigliare, oppure adorano passare il tempo a ridurre in schiavitù psicologica e fisica le donne di casa mentre raggiungono la libidine nello spiare la propria figlia in costume. Le madri delle due ragazzine passano la vita a mandar giù merda oppresse dai mariti pur avendo capricci da suffragetta/femminista (la mamma di Anna). I ragazzi del quartiere, operai nell’acciaieria, per sopportare i massacranti turni di lavoro ma allo stesso tempo spassarsela in discoteca quattro ore prima dell’inizio del turno in fabbrica, si strafanno di cocaina pensando che la vita è uno schifo, lavorare è uno spreco e che sarebbe meglio metter su un giro di contrabbando di rame rubato e/o diventare spacciatori a tempo pieno; salvo poi ammorbarci con pistolotti etico-morali quando Alessio, fratello di Anna, litiga con il padre che gli propone minimi sforzi (truffe e riciclaggio) e massima resa (un sacco di soldi, belle macchine) e il ragazzo gli risponde che lavorare è bello, spaccarsi la schiena in acciaieria e sentirsi stanchi è bello e guadagnarsi da vivere decorosamente è lo scopo della sua vita, quando invece fino a quel momento si bombava di coca per affrontare meglio (!) le 40 ore settimanali in acciaieria...
Il complesso edilizio in cui si svolge la storia è un immondezzaio in cui c’è gente che urla e litiga col vicino tutti i giorni, gli inquilini sono smorti e ciabattano perennemente, i bambini pisciano giù per le scale e la sporcizia appiccica tutto.
Anna e Francesca sono invece l’unica cosa coerente in tutto il libro: bambine provocanti e curiose di conoscere l’altro sesso, con aspirazioni da velina, consapevoli di essere spiate dai vecchi bavosi del palazzo di fronte, fingono di sentirsi grandi senza capire inizialmente che l’attrazione verso l’altra è amore e non solo un gioco per fare esperienza. Oggi praticamente il 90% delle tredicenni è superficiale e ostenta una maturità pressoché inesistente, che diventa poi strafottenza. Proprio come Anna e Francesca e il contorno di amiche. Poi che le due protagoniste scoprano l’omosessualità è un elemento poco rilevante, dato che dal modo di trattare l’argomento mi è parso più un’occasione di mettere in scena situazioni erotiche che al contrario un momento per riflettere su un argomento di tanta portata, visto anche che le persone in oggetto hanno SOLO tredici anni.
Aggiungiamoci poi che il libro passa anche per l’estate del 2001 ed immancabile è il capitolo dedicato all’attacco alle Torri Gemelle e che siccome il titolo del romanzo è “Acciaio” allora: fabbrica-forza lavoro-macchinari e dove si arriva? a un operaio morto sul posto di lavoro.
Poi si scivola verso un finale sbrigativo che chiude un libro veramente pieno di stereotipi, il cui stile di scrittura è banale e piatto - per leggerlo ho impiegato due sere, di certo di spessore lessicale non ce n’è... - e di gran lunga sopravvalutato.

4/10

sabato 30 ottobre 2010

Letture - dove eravamo rimasti

Il blog negli ultimi mesi è caduto nel dimenticatoio, Anobii invece lo aggiorno con i nuovi caricamenti senza però aggiungere nuove recensioni. Vediamo un po’ se riesco a rimettermi in pari prima che mi passi di nuovo la voglia...

Ho in arretrato libri da commentare che risalgono addirittura a febbraio (!!), il primo è “Tipping the velvet” di Sarah Waters [ed. Reverhead Books]. Quando ho iniziato a seguire questa autrice la Ponte alle Grazie, che pubblica tuttora i suoi libri in Italia, aveva avuto l’assurda idea di iniziare a proporre i suoi romanzi dal secondo in poi, e il primo??? praticamente tralasciato per qualcosa come dieci anni, sino a che, evidentemente stufa di sentire le suppliche dei fans italiani, la P.G. l’ha pubblicato sotto il titolo di “Carezze di velluto” nel 2008. Io però ormai mi ero comprata mesi e mesi prima su IBS.IT l’edizione in lingua originale per poco meno di 5 € (alla faccia dei 18.60 € dell’editore italiano!); poi si sa come siamo fatti noi lettori - accumuli, accumuli e ti perdi in altre nuove letture - così l’ho preso in mano solo l’inverno scorso.
Senza dubbio “Tipping the velvet” è il migliore tra i romanzi della Waters e, ovviamente, siccome questo ha dato il via ai temi ricorrenti della sua carriera letteraria, ha per oggetto l’Inghilterra di fine Ottocento, protagoniste femminili e l’introduzione nel racconto della tematica lesbica nonché erotica, ma a livello di “fascino” è di gran lunga superiore ai successivi.
Diviso in tre parti, il libro ha per protagonista la giovane Nan King e narra delle avventure e dei viaggi della ragazza nell’arco di circa 7/8 anni a partire dal 1888. Proveniente da una normalissima famiglia di ristoratori di Whitstable, Nan non ha certo di fronte a sé un futuro pieno di attrattive se non quello di sposarsi e continuare in eterno a pulire le ostriche per la locanda dei genitori; il suo unico svago è quello di assistere agli spettacoli serali di music-hall nel teatro non molto lontano da casa. Lì si esibisce Kitty Butler, attrice di qualche anno più vecchia di lei che ha la particolarità di presentarsi sul palco travestita da uomo. Le due diventano amiche e ben presto l’intesa tende a trasformarsi, con contorno di dubbi amletici e tentennamenti, in un sentimento molto meno “fraterno” e più sensuale. Kitty, nel frattempo diventata famosissima e richiestissima per i suoi show da drag-king ante litteram, viene ingaggiata addirittura nella grande e caotica Londra e propone a Nan di seguirla.
Da questo momento la narrazione si fa più movimentata e viene inserito anche l’aspetto lesbo-erotico della relazione tra le ragazze, nonché (ma a questo punto ce ne frega poco, ahahahah!) descrizioni molto ben fatte e documentate della Londra sia fastosa che di periferia dell’Inghilterra dell’ultima decade del secolo.
A fronte però di un buon inizio la storia nella seconda parte vede l’introduzione pure di esibizioni sadomaso che secondo me lasciano un po’ il tempo che trovano... e la stessa trasformazione psicologica di Nan, da donna alla ricerca di un posto nel mondo e di una sua sessualità definita - parte, questa, ottimamente scritta e argomentata - a gigolò per ricche carampane (continuano il gioco e lo scambio di ruoli tra lei/lui e i travestimenti), mi è parso un poco ridicolo, mi ha pure annoiato e sono pagine in cui si è voluta inserire fin troppa volgarità e il personaggio della mantenuta non regge proprio.
L’ultima parte vede l’entrata in scena, dato il periodo storico in cui Nan finisce il suo peregrinare, delle immancabili suffragette e di dissertazioni sulle pessime condizioni di vita delle classi meno abbienti dipingendo desolanti quadri economico-sociali, mentre la protagonista giunge finalmente all’accettazione assoluta delle proprie tendenze erotiche.
Quindi in quest’ultimo senso il libro lo si può certo inserire nei romanzi di formazione e può anche ricordare la struttura dei romanzi picareschi: Nan King è oggetto di disgrazie, fortune e colpi di testa, entra a contatto praticamente con tutte le classi sociali dell’Inghilterra Vittoriana, è costretta a prostituirsi, a ingannare e ad essere ingannata a volte dalla gente che incontra fino ad approdare alla serenità spirituale e sessuale tanto agognata. Tutto questo raccontato con classe e sensualità, deliziando con il suo puro intrattenimento (si legge, ahimè!, in breve tempo) pur avendo LA pecca nella quale incappa la maggior parte degli scrittori medi di lingua inglese [come ricorda in un suo post Michele Foschini]: usare cioè a IOSA i verbi “to shrug - to frown - to lean, solitamente allo schienale della sedia - to turn, di solito a guardare qualcuno”... [voto: 8/10]
Altro libro in lingua letto è “A great and terrible beauty” di Libba Bray [ed. Delacorte Press], non mi ricordo nemmeno quanto l’ho pagato su IBS.IT ma spero siano stati pochi euro perché mi sono trovata di fronte a una sciocchezzuola per adolescenti che amano i poteri magici, i regni incantati e le grotte ancestrali ricche di enigmi.
Gemma ne è la protagonista nonché paladina dei diritti della donna (indipendenza, scelte personali, no al matrimonio senza amore, ecc...) in una epoca, anche qui quella Vittoriana, in cui mai ci si sarebbero aspettati ragionamenti di siffatta modernità visto che c’erano sì le suffragette ma non credo avessero 16 anni e frequentassero ancora il collegio.
A fronte di scaramucce tra teen-ager, viaggi intercosmici tra una dimensione e l’altra, ambientazioni mai coerenti con l’epoca trattata - sembra di essere in un qualsiasi periodo storico tranne che quello di fine Ottocento - c’è un ricorrente inserimento di scene (vabbeh, blandamente) erotiche che non trovano praticamente una collocazione in una narrazione in cui non c’è NULLA di maturo.
Il libro è seguito da altri due episodi che ne compongono la trilogia. Oh, uomo avvisato... [voto: 5/10]
E via che si prosegue con un altro libro dall’incomparabile spessore: “Eclipse” di Stephenie Meyer [ed. Atom]; mi piace soffrire così me lo sono letta in lingua originale e giuro che mi sono fatta due coglioni così ad arrivare all’ultima pagina. La 629. Signori - ripeto - 629.
Edward e Jacob si contendono Bella in un susseguirsi di dialoghi e situazioni banali, in cui è un continuo ripetersi di isterismi, pianti, litigi, tentati approcci sessuali (tutti che vanno a vuoto), scazzi del padre di Bella e Bella che non sa decidersi se è meglio il lupo oppure il vampiro. Ma è poi una novità?
Introspezioni psicologiche ancora una volta mediocri, e quando si cerca di inserire un momento di riflessione sui princìpi di una volta persi, si scade nel grottesco con un fastidiosissimo Edward munito di remore da bravo ragazzo (“ti scopo solo se mi sposi”).
E poi, ‘sto ragazzo, non lo trovate ridicolo? ha 104 anni e continua imperterrito a frequentare le lezioni di Biologia, Letteratura Inglese, a fare i compiti (...i compiti!!!) con la sua fidanzatina. Ok che per esigenze fisiche sembra un teen-ager, ma, cazzo, il cervello non gli si evolve??? [voto: 4/10]

venerdì 6 agosto 2010

Filmssssss 2

Mignon è partita
Francesca Archibugi, 1988

Scorcio di un anno sui Forbicioni, una famiglia romana che in quell’arco di tempo ospita Mignon, una cuginetta nata e cresciuta a Parigi.
In questa storia semplicissima e delicata i bambini la fanno da padrone con la loro vitalità, i problemi di cuore, gli screzi, le risate, mentre però assistono in silenzio ai litigi dei genitori e alle difficoltà dei parenti: la madre che piange, casalinga chiusa fra le mura domestiche e il tran-tran quotidiano; il padre assente munito di strambi alibi lavorativi per nascondere (malamente) la relazione extra-coniugale; gli zii che rimpiangono di non aver figli e quelli invece che hanno problemi con la legge.
In sostanza è un film di formazione sul passaggio dall’infanzia all’adolescenza, costruito su una commistione di toni umoristici e di riflessione.
Bravissima Stefania Sandrelli, nel ruolo della madre, e i due giovani attori che interpretano Mignon e il cugino Giorgio, veri protagonisti del film.

8/10


Il mio vicino Totoro
Hayao Miyazaki, 1988

Ci sono voluti venti, e dico VENTI anni perché questo film arrivasse anche sugli schermi italiani... stendiamo un velo pietoso...
Le sorelline Mei e Satsuki si trasferiscono in campagna con il padre per stare più vicini alla mamma ricoverata in ospedale. La casa che andranno ad occupare, circondata da un aura bucolica, si rivelerà già abitata da strani inquilini con cui però le bambine faranno subito amicizia.
Io l’ho trovato semplicemente fa-vo-lo-so, vi si ritrovano praticamente tutti i temi ricorrenti delle opere di Miyazaki - l’infanzia, il volo, i personaggi femminili come protagonisti, il fantastico, il sogno, il rispetto per la natura - in una poeticità tenerissima che tocca le sequenze più irreali fino a quelle in cui si affronta l’angoscia per la malattia materna.
E’ un film lieve, gioioso, buffo (Totoro e il Gattobus in primis!) e devo dire che, messo a confronto con pellicole dello stesso autore più recenti (Il castello errante di Howl), sinceramente Totoro è ancora molto più straordinario nel racconto di una quotidianità fatata di due piccole bambine.

10/10


The village
M. Night Shyamalan, 2004

La prima volta che l’ho visto su Sky era già iniziato e mi ero persa metà del film, sono andata avanti comunque rapita dall’ambientazione di fine ‘800, la solitaria radura circondata da tetri e angoscianti boschi, il male che incombe e tutta la salvezza della comunità rurale appioppata ad una tenace ragazza cieca.
Quella volta ero arrivata ai titoli di coda con un enorme spavento e la certezza di essere di fronte a un film fighissimo e dell’aver perso 2/4 di trama non me ne fregava niente, ero contenta e soddisfatta così.
Qualche settimana dopo l’ho ribeccato sempre su Sky e allora lì sì che me lo sono rivisto ma questa volta dall’inizio.
Ecco, devo dire che il bis non va a favore di un film strutturato come “The village”: l’effetto sorpresa e rivelazione finale si ammoscia e guardarselo foss’anche solo per apprezzare i virtuosismi stilistici non serve. Di stile non c’è praticamente nulla e tutto il film regge sulla costruzione di (questa sì) una riuscitissima trama in cui si spiega come la menzogna possa tornare utile a “costringere” subdolamente i cittadini in un determinato habitat e stile di vita. Teoria applicabile anche ai giorni nostri.

7/10


La nostra vita
Daniele Luchetti, 2010

Claudio perde la moglie mentre sta partorendo il loro terzo figlio. Rimasto solo con tre bambini decide di darsi da fare in qualche modo per dare loro una vita felice, ma lo fa sbagliando di grosso: sostituisce l’affetto e la serenità di un padre con i soldi e le cose materiali e per avere entrambi finisce in un giro di abusivismo e a capo di lavori edilizi in nero.
Un personaggio un po’ scomodo, fastidioso per la sua strafottenza, si riesce a essergli vicini solo nell’elaborazione del lutto - toccante la scena del funerale, con un Elio Germano strabiliante in una introspezione psicologica fortissima - il resto è irritante: il fratello sfigato e zitello, la scena del “Puoi contare su di noi, sulla Famigghia”, la scopata con la locandiera rumena per cercare di superare anche sessualmente la perdita della moglie, ma soprattutto il voler essere un film moralista sugli imbrogli e le debolezze dell’Italia di oggi quando per 3/4 di storia si affonda il dito nella piaga e poi nel finale tutto si aggiusta e vissero sereni e satolli...

5½/10

sabato 19 giugno 2010

Lolita Pille | Agota Kristof | Cormac McCarthy

Hell
Lolita Pille
Fazi, Le vele, 15 €

Lolita Pille (classe 1982) all’uscita del suo romanzo d’esordio, “Hell”, nel 2002 fece scalpore per la tagliente bravura e per l’argomento trattato: le dissoluzioni dei giovani borghesi parigini tra sesso occasionale, droga, alcol e depressione consumati negli ambienti riservatissimi e vippissimi inaccessibili da noi poveri proletari.
Inizialmente può anche incuriosire una protagonista stronzissima e con la puzza sotto al naso, talmente snob da analizzare, criticare e abbattere tutte le classi sociali al disotto dell’alta borghesia perché inutili alla società, e colpisce il modo in cui lei stessa racconti della sua vita priva di qualsiasi emozione tanto da arrivare a ricordarsi dell’appuntamento del giorno dopo per un aborto - il suo - solo mentre cazzeggia con le amiche e parla di idiozie.
Quando però arriva in lontananza il bello e dannato di turno che, sgommando su di un bolide potentissimo e portandosi dietro la fama di maschilista di prima categoria, si insinua nel cervello sfatto di questa adolescente e iniziano le classiche paturnie amorose... meglio cambiare canale.
La stessa trita situazione sentimentale in cui TUTTE le adolescenti, siano esse ricche-famose oppure figlie di famiglie normalissime e senza problemi di droga, cascano immancabilmente quando gli ormoni cominciano a farsi sentire.
Attendo che in biblioteca (io comprarlo MAI) appaia “La città del crepuscolo”, ultimo romanzo della Pille che stavolta tratta il genere thriller e già le si accostano i nomi di Huxley, Dick e Orwell. Oddio.

5/10



Trilogia della città di K. - Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna
Agota Kristof
Einaudi, Super ET, 12 €

Due gemelli senza nome vengono affidati dalla madre alla nonna che vive in campagna, lì non soffriranno le privazioni della guerra che in città distrugge tutto.
Sono gli stessi bambini a raccontare la propria vita nella prima parte (di tre) di questo romanzo, e lo fanno attraverso brevi capitoli strutturati in maniera davvero molto particolare: non si capisce mai chi dei due stia parlando, le personalità dei due fratelli sono intercambiabili tanto è forte il legame simbiotico che li unisce, e i loro racconti iniziano quasi sempre con descrizioni di scenari bucolici, di tranquilla vita di campagna scandita dal passare delle stagioni e dagli impegni quotidiani - tagliare legna, cercare funghi... - ma ecco che di improvviso arriva lo scarto che fa virare tutto verso la paura, l’agghiacciante, la violenza, la cattiveria, la perversione.
Gli stessi fratellini si rivelano presto per essere qualcosa di molto simile alle gemelline di “Shining”, sono inquietanti, subdoli, perfidi. I loro discorsi vanno ben oltre la capacità comune di un bambino di 10/11 anni e il loro cinico spirito di sopravvivenza farà toccare al racconto punte di mostruosità anormale.
Difficile quindi sostenere un racconto simile? No, affatto. Al contrario l’atmosfera nera e angosciante ti risucchia in un gorgo dal quale non si riesce a uscire e si è portati a voler sapere di più e a non interrompere la lettura; lo stesso modo di raccontare con brevi frasi e crudezza persistente fa scivolare via velocemente le prime 137 pagine.
Le parti successive, “La prova” e “La terza menzogna”, vedono i due fratelli ormai cresciuti costretti a separarsi, ma i racconti di entrambi, così divisi, ribaltano continuamente la situazione inizialmente descritta nella prima parte e si è portati a chiedersi insistentemente cosa è vero e cosa è solo frutto di inganno, fantasia malata. Forse nella terza e ultima parte si riescono a riannodare tutti i fili e a scartare i fatti ingannevoli e i personaggi mai esistiti, a capire cosa è realmente successo ai due gemelli.
Sì, ma forse, perché i dubbi rimangono così come la sensazione di essere stati ingannati fin dalla prima pagina.
Ma proprio per questo gioco di rimandi, di annulli, di verità nascoste vi consiglio questo libro vivamente, non esattamente per la seconda e terza parte - che perdono un po’ di verve e malvagità - ma piuttosto per la prima magnetica parte.

9/10



Il buio fuori
Cormac McCarthy
Einaudi, 10 €

Culla e Rinthy sono fratello e sorella, vivono in una piccola e fatiscente catapecchia nel mezzo di una radura immersa nel bosco. Molto lontano, al di là degli alberi, c’è il paese con il suo emporio e la vita del Far West di fine Ottocento, ma loro due sono costretti a restarne ben lontani per un bel po’... o almeno fino a che Rinthy non darà alla luce il frutto del loro incesto.

Dopo il bellissimo “La strada” ecco un’altra atmosfera spiazzante nelle pagine di Cormac McCarthy: un fratello e una sorella incestuosi, il profondo sud americano fatto di agricoltori, venditori ambulanti, sudore e polvere, povera gente che vive di stenti ma pronta a volte ad aiutarsi l’un con l’altra in uno slancio benevolo per farsi forza nelle difficoltà della vita. E oltre c’è il buio dove non ci sono regole, ci si ammazza per gioco seguendo criteri incomprensibili, si fanno inquietanti discorsi che stravolgono il senso del reale e la malvagità e il disfacimento morale persistono senza fine.
Una trama così criptica forse non l’ho capita fino in fondo però il libro, anche se con situazioni assurde e disorientanti, credo proprio descriva cos’è la vera America, quella di periferia, un bel po’ retrograda.
Intorno c’è lo spaventevole racconto di gente finita nell’angoscia di un destino già segnato, senza amore, in un vagabondare infinito in cui si cerca di sopravvivere ma ormai non più di vivere.

8/10

sabato 5 giugno 2010

Libri illustrati e graphic novel


Io aspetto...
Davide Cali e Serge Block
Edizioni EL, se riuscite a trovarlo in libreria (cosa poco probabile, purtroppo) costa 13.50 €

Disegni minimali in bianco e nero e un filo rosso che collega tutte le pagine del libro. Si presenta così “Io aspetto”, storia per immagini di un bambino che cresce, si innamora, si emoziona, ride, soffre, affronta e partecipa ad avvenimenti importanti e pian piano invecchia; è incredibile come basti un po’ di inchiostro e un gomitolo di lana per raccontare la vita e commuovere tanto, ma tanto TANTO.


10/10

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Ariol. Un asinello come me e te | Ariol. Il Cavalier Cavallo
Emmanuel Guibert e Marc Boutavant
Fabbri, 12.50 € entrambi

Ariol è molto famoso in Francia, protagonista di strisce a fumetti in cui il mondo è abitato da animali che vivono, vanno a scuola, fanno la spesa, lavorano, giocano, vanno al cinema come gli umani. Lui è un asinello occhialuto che ha come mito il Cavalier Cavallo, un supereroe equino di cui insieme agli amici imita le gesta; vive con la mamma e il papà in un appartamento arredato Ikea (vedere il fumetto per crederci! XD) e con entrambi affronta, come normale per un bambino, ops, asinello della sua età, qualche piccolo capriccio ma anche momenti di tenerezza.
I due libri sono suddivisi in episodi che anche se letti a caso non influiscono sulla continuità della storia e delle avventure di Ariol, e in ogni capitolo si parla di vita quotidiana in un modo in cui l’insegnamento dell’etica è sempre presente ed è stemperato da ironia e spensieratezza.
Un ottima serie utile anche agli adulti e dal cui successo è nato anche un cartone animato selezionato l’anno scorso per partecipare al Festival Internazionale del Cinema d’Animazione di Annecy.


10/10


Dykes
Alison Bechdel
Bur-Rizzoli, 21 € (rimortacci!)

Alison Bechdel è una grande fumettista americana di cui per fortuna si sono decisi a tradurre in italiano anche le strisce quindicinali “Dykes to watch out for” apparse dal 1983 al 2008 su diverse riviste praticamente improbabili da trovare in Italia.
Il “Dykes” pubblicato da noi però è solamente una selezione dei 527 episodi originali, e la cernita l’ha fatta Francesco Pacifico. Quindi non ho ancora capito se il nostro “Dykes” è uguale a “The essential Dykes to watch out for” di cui questo dovrebbe (?) essere la traduzione italiana.
Boh.
Comunque l’importante è che mi sono potuta immergere nella vita di un gruppo di lesbiche lavoratrici, indipendenti, all’avanguardia e impegnate politicamente nell’America degli ultimi 25 anni, traendoci un certo spassoso interesse nel seguire le loro relazioni sentimentali, gli avanzamenti di carriera, i litigi, i tradimenti, i disguidi con i vicini, le nascite dei figli, i matrimoni e la felicità esistenziale raccontati con ironia e sagacia. Insomma, tutta una vita è racchiusa in questo volume, ed è una summa dello sviluppo e anche dei fallimenti dell’inserimento degli omosessuali nella società contemporanea; qui ovviamente si parla praticamente solo della cerchia delle sofisticate e intellettualissime lesbiche dell’american middle class [gli uomini - se e quando ci sono - sono o gay oppure di passaggio nel gruppo], e ammetto che non di rado i loro contorti discorsi politico-economico-sociali pressati in balloon minuscoli sono stati, ad un primo impatto, di complicata comprensione, poi però ci si abitua e il meccanismo si fa più fluido, la vita quotidiana delle multietniche protagoniste prende maggiore rilievo ed è bello soffermarsi non solo per apprendere meglio quel discorso, ma anche per osservare i disegni che col tempo si fanno più maturi, meno abbozzati, le espressioni, i volti e i corpi diventano molto più realistici (con la pancetta e le imperfezioni dell’età che avanza), e come il tempo passa anche loro - Mo, Jezanna, Lois, Clarice, Sparrow e le altre - maturano e le loro conversazioni, le loro priorità evolvono.
Unica pecca: il costante e ripetitivo volersi ghettizzare delle protagoniste, l’apice si tocca quando a Sydney viene diagnosticato il cancro e la sua compagna Mo le suggerisce di partecipare ad un gruppo di auto aiuto di “Donne Lesbiche Che Hanno Il Cancro”... (sigh!)
Nel complesso però è davvero un ottimo volume che conferma la bravura di questa autrice.

P.s.: sorvoliamo su quell’agghiacciante “invertite” spiaccicato così in copertina, e sulla caterva di errori di battitura in un volume che, visto il non esiguo costo pari a 21 euri, ci si aspetterebbe maggiormente più curato!

10/10


L’albero di Natale
Hans Christian Andersen
Illustrazioni di Marc Boutavant
Rizzoli, 15 €

La storia dell'abete che per tutta la vita non è riuscito ad apprezzare i lati belli della sua esistenza ma solo a lagnarsi e a invidiare gli altri alberi, l'ho trovata deprimentissima (al di là dell'utilissimo messaggio). La cosa che mi aveva attirato di questo libro infatti è un'altra: i disegni. Firmati dall'illustratore francese Marc Buotavant - lo stesso della serie di Ariol l'asinello - hanno un gusto un po' retrò che mi hanno ricordato da subito un libro di fiabe della mia infanzia illustrato con lo stesso stile. Purtroppo non so nemmeno se qui in casa ci sia ancora quel libro, di cui non ricordo nemmeno il titolo; mentre lo cerco almeno ho questo che è un degno sostituto. ;-)
Se vi capita di vederlo in libreria, sfogliatelo. Rimarrete rapiti anche voi dalla bellezza dei disegni!


10/10 per le illustrazioni

giovedì 3 giugno 2010

Cinema 2010 parte 2°

Scrivilo sui muri

Giancarlo Scarchilli, 2007

La borghese Sole, annoiata e trascurata dai genitori, in uno slancio vitale tenta il suicidio gettandosi dal sesto piano del condominio, viene però fermata dal writer Pierpaolo che passava di lì su un tetto.

Già tra i due c’è feeling e al ragazzo balena l’idea di introdurla nel suo gruppo di artisti di strada armati di bomboletta in scorribande notturne.

I writer tutti li odiano, e tanto per far passare questo film un prodotto educativo e di indagine sociale hanno pure inserito la dicotomia (‘mazza che parolone) tra buoni, i writer di cui sopra, e cattivi con la presenza dell’altro gruppo di disegnatori dal nome Zozziamo Tutto, già significativo di suo. Poi però per i buoni “rubare [le bombolette spray] è un fatto di coerenza”...

Il film ammorba e termina pure, nella versione dvd, con un finale alternativo dove ci scappano addirittura pure DUE morti.

4/10

I giorni dell’abbandono

Roberto Faenza, 2005

Margherita (Buy), che t’è successo???

Nella parte della moglie abbandonata e cornificata non eri per niente credibile, con quei monologhi isterici recitati in maniera imbarazzante; a Cannes nel 2005 il pubblico aveva fischiato a più non posso. E a ragione.

A un certo punto nella Torino del film arriva Natale ma siccome avete fatto le riprese ad agosto la neve è impossibile ci sia sugli alberi, vederla sintetica sul marciapiede non è uno scandalo ma che almeno vi foste accorti che nelle carrellate lunghe sulle strade del centro si vedevano in lontananza gli alberi VERDI e a momenti la gente in bermuda passare...

Ma poi perché, Margherita, quelle grottesche scene di sesso anale?

4/10

La febbre del sabato sera (Saturday night fever)

John Badham, 1977

Film generazionale di più di trent’anni fa in cui un gruppo di giovani figli di proletari immigrati cerca il riscatto sociale nella disco-music mettendosi in mostra sulla pista da ballo il fine settimana.

Questo film me l’ero immaginato più stile commedia, invece si parla di stupro-droga-disoccupazione-solitudine-rinunce-alcol-suicidio-violenza.

Favolose le coreografie accompagnate dalle canzoni dei Bee Gees, da vomito il doppiaggio italiano rivisitato e corretto recentemente. Meglio guardarselo in lingua originale (la nonna di Tony Manero parla in italiano!).

E che ridere nel rivedere certi abbigliamenti (un must i pantaloni a zampissima e attillatissimi degli uomini) e ricordarsi che nelle foto di famiglia mamma e papà in quegli anni erano proprio vestiti così.

8/10

The company

Robert Altman, 2003

L’impegno, le fatiche, i successi, l’ansia e gli amori di una compagnia di ballo diretta da un coreografo cinico, insofferente ed eccentrico.

L’essenza del film è tutta qui sopra in poche parole. L’azione è così tanto concentrata sulle coreografie e sulle prove dell’intero corpo di ballo che “The company” risulta essere IL film “corale” per eccellenza. Tanto da far precipitare nell’oblio tutti quei personaggi e le loro storie in meno di due secondi.

6/10

Addio mia concubina (Bàwáng bié jī)

Chen Kaige, 1993

Tre, e dico TRE, ore di tiritera in salsa cinese.

n. c.

Liberi

Gianluca Maria Tavarelli, 2003

Quando il papà di Vince (Elio Germano) perde il lavoro tutta la famiglia entra in crisi. La madre decide di trasferirsi a Pescara e d’estate anche Vince la segue per lavorare in un ristorante. Lì conoscerà Genny.

Si parte come film di denuncia nel mondo del lavoro, si passa al come guarire dalle paturnie psicotiche, si finisce per un filmetto mediocre semi-adolescenziale di scopate in riva al mare e tradimenti di coppia (tra l’altro tutti ad opera femminile).

Elio Germano, bravissimo sempre, qui invece precipita con tutto il contorno di luoghi comuni e che pena la scelta di inserire “I will survive” come commento principale a tutto il film...

4/10

martedì 18 maggio 2010

Cinema 2010

La prima cosa bella

Paolo Virzì, 2010

Storia di Anna costretta dalle circostanze della vita a mandare avanti la famiglia da sola, ma sempre col sorriso sulle labbra e pronta a qualsiasi sacrificio pur di far stare bene e sistemare decorosamente l’unico suo sostegno emotivo: i figli.

Figli che però cresciuti avranno diversi problemi, tristezza cronica, insoddisfazione nella vita di coppia... tutto per via di quell’ingombrante presenza materna che anche ormai vecchia, dopo tanti anni, e sul letto di morte riesce ancora a sorridere radiosamente alla VITA.

Una gran bel personaggio femminile quello di Anna, un’eroina malinconica che tra moltissime difficoltà e nei momenti più duri ha sempre una parola di conforto per chiunque.

A parte la caratterizzazione di questo personaggio e avendo in mente film come “Caterina và in città” oppure “Ovosodo” ammetto però che questo film non mi ha impressionato emotivamente poi molto, le tematiche sono un po’ trite e già viste nei film precedenti di Virzì [disadattamento dell’adolescente, abbandono del padre dal nucleo famigliare, violenza psicologica, insofferenza generale] e la commozione provata dai tanti spettatori in sala a me mi ci ha fatto un baffo...

6½/10

Ricky - Una storia d’amore e libertà [Ricky]

François Ozon, 2009

Kathie vive con la piccola figlia di 7 anni in una non ben identificata periferia francese in un essenziale appartamento situato in un orrido palazzone popolare, è operaia in catena di montaggio in una fabbrica chimica e cresce (anche lei) sola la figlia dopo che anni a dietro il compagno se ne era andato definitivamente di casa.

Un giorno il monotono e ripetitivo tran-tran lavorativo viene scosso dall’arrivo di un nuovo operaio: lo spagnoleggiante e irsutissimo Paco.

Tra Kathie e Paco inizia una storia d’amore e il concepimento del piccolo Ricky stempera all’improvviso i toni deprimentissimi e cupi che la pellicola aveva avuto fino a quel momento.

Un po’ di ironia e qualche risata entrano nella trama per via della strana conformazione fisica del bambino: a Ricky spuntano due alette (di pollo?) che modificheranno inevitabilmente l’equilibrio della famiglia.

Il perché delle ali non l’ho capito e del resto non c’è spiegazione nel film anche se in rete ho scoperto che la sceneggiatura è tratta da un racconto della scrittrice Rose Tremain dove si collegano le ali a una tematica religiosa [libertà, serenità, e tutta quella roba lì]. Ma nel contesto del film non riesco a capire nemmeno così il nesso, comunque dallo spuntare delle ali il film cade nel surreale e nel grottesco un po’ sopra le righe, tuttavia recupera nella commovente ultima sequenza dove tutto si appiana e la favola termina con un lieto fine.

7/10

Mine vaganti

Ferzan Ozpetek, 2010

Due fratelli tengono da tempo nascosta la loro omosessualità, e in concomitanza con il passaggio di proprietà del pastificio di famiglia a entrambi balena l’idea di ammettere finalmente le proprie inclinazioni sessuali a genitori e parenti molto “conservatori”... Si innescheranno così rivalità, incomprensioni, equivoci e rimorsi.

Dopo l’abbattimento per “Il giorno perfetto” uscito nel 2008, Ozpetek si è almeno ripreso un po’ di ritmo e vivacità anche senza discostarsi dai suoi soliti temi; qui si vuole smontare i pregiudizi e i luoghi comuni su omosessualità e rapporti famigliari in maniera molto divertente - soprattutto quando entrano in scena i diversi prototipi di gay e i genitori dei due protagonisti cercano di difendere l’onore della famiglia di fronte allo scontato moralismo del paese.

Il finale introspettivo e lacrimevole è d’uopo.

6½/10


Cosa voglio di più

Silvio Soldini, 2010

Quando si ha un tenero compagno, una casa, un lavoro per il quale si è stimate, la vicinanza di tutta la famiglia di origine... cosa si vuole di più?

Anna invece quando incontra Domenico scopre per la prima volta cos’è la passione vera ed è disposta a mettere tutto in discussione per stare con lui.

Finalmente un film dove i personaggi e le situazioni rispecchiano pienamente la vita di un italiano medio del nuovo secolo: qui non ci sono appartamenti sconfinati dove una colf vaga in divisa con la spazzetta in mano - qui ci sono minuscoli appartamenti che si affacciano su zone periferiche in perenne sviluppo e gru in lontananza; qui non ci sono macchinoni da manager con cui la casalinga disperata va a prendere i figli a scuola - qui le macchine sono delle utilitarie scassatissime e sfrisate, e si va al lavoro in treno da pendolari; qui i lavori di ristrutturazione in casa ci si ingegna per farseli da soli e prendendo il necessario al Castorama; qui se uno ha un’amante non va nella villa di campagna dell’amico, ma sgancia 50€ per le prime quattro ore di sesso in un motel in tangenziale dove all’entrata ti chiedono i documenti; qui alla sera al rientro a casa dopo il lavoro si devono fare i conti con le bollette da pagare e con le spese improvvise che mettono l’angoscia. Ma ecco che (soprattutto per il protagonista maschile) l’occasione di una fugace storia d’amore può sviare dalle preoccupazioni quotidiane e creare una routine a sé dove si è solo con il partner e zero scazzi...

Questo e altro viene raccontato nell’ultimo film di Soldini dove secondo me, aldilà della storia di adulterio, è anche interessante vedere come i personaggi non sono stereotipati e come tutto è credibile fino all’ultimo, comprese le scene di sesso.

8/10

Dear John

Lasse Hallström, 2010

John e Savannah si conoscono per caso nell’estate del 2001, lei è una giovane studentessa appassionata di psicologia e lui un militare in licenza. Nell’arco di due settimane sboccia l’amore ma lui non può fare altro che rimettersi la divisa e ritornare in missione per un anno ancora di reclutamento.

Siamo agli inizi del boom tecnologico quindi - grazie a dio - non ci sono i telefonini e i ragazzini del film si divertono con il Game Boy, la plebe non sa nemmeno cosa siano le video chiamate e di conseguenza John e Savannah durante quell’anno di lontananza si scriveranno delle semplici lettere per tenersi in contatto.

Una tenera, genuina e commovente storia d’amore dove il sentimento novello è però destinato a soccombere al patriottismo americano. Così nella trama si inseriscono anche altri temi: il rapporto con i genitori, la malattia, il divorzio, la morte, la disabilità... uau che allegria... però è tutto talmente toccante, pacato che si rimane immancabilmente coinvolti.

I giovani vi troveranno spunti notevoli come l’avvicinarsi alla religione, l’importanza della coerenza, il donarsi all’altro solo seguendo certi valori morali.

E pensare che se avessi saputo prima che la sceneggiatura è tratta da un libro di Nicholas Sparks al cinema non ci sarei andata manco morta.

8/10

martedì 30 marzo 2010

Smaltire gli arretrati

Gli ultimi film visti nel 2009 (era ora, visto che fra poco è Pasqua... del 2010).

Il giardino di limoni (Lemon tree)

Eran Riklis, 2008

Due donne diversissime per estrazione sociale e soprattutto per nazionalità - una, vedova palestinese, vive del solo sostentamento della sua piantagione di alberi di limoni; l’altra è la moglie del Ministro della Difesa israeliano sempre indaffarata ad organizzare cene e feste lussuose - finiranno per sentirsi empaticamente vicine quando la prima sceglie di andare contro la politica, il potere e i soprusi per evitare che i suoi alberi vengano recisi per decisione del Ministro di cui sopra.

La situazione, già spinosa così, si complicherà ulteriormente quando la vedova inizierà una relazione dai toni melò con l’avvocato che la aiuta nella battaglia.

Alla fine del film non ci sono vincitori, gli uomini (l’avvocato e il ministro) piegano il loro volere alle convenzioni imposte dalla società, al successo e al denaro; le donne, dopo tante giuste lotte, finiscono per essere anche loro vittime dello stesso sistema rimanendo sole come e forse più di prima.

Non c’è proprio pace.

7/10

District 9

Neil Blomkamp, 2009

Gli alieni sono tra noi, vivono dagli anni ’80 a Johannesburg segregati nel Distretto 9 - una favelas, baraccopoli, campo di concentramento tra denutrizione, sporcizia, violenza e mafia aliena - ma ora è arrivato il momento di cacciarli.

Un ricercatore dal cervello un po’ pompato dall’ego finisce per diventare suo malgrado il paladino della rivendicazione dei diritti di quegli alieni maltrattati, e il film diventa così una retorica denuncia nei confronti del razzismo ai danni degli immigrati (impersonificati appunto con gli extra-terrestri) e un’accozzaglia di effetti speciali con sbudellamenti e sparatorie a brucia pelo.

I due generi - etico e fantascientifico - in questo caso non vanno molto d’accordo...

4/10

Woodstock - Tre giorni di pace, amore e musica (Woodstock)

Michael Wadleigh, 1970

Il 21 agosto del 1969 mezzo milione di giovani si riunirono nel terreno di una fattoria nelle vicinanze di Woodstock per celebrare sedici ore di pace, libertà, amore e musica.

Il documentario segue fin dai primi momenti organizzativi la creazione del Festival, dal lavoro dei tecnici e i manovali fino all’arrivo dei primi giovani da tutta America; quando il concerto inizia la folla continua ad arrivare fino ad intasare tutte le strade statali del circondario con conseguente fastidio degli abitanti del posto.

Tra le sequenze che ripropongono i cantanti e le band che si alternarono sul palco di Woodstock si può assistere anche alle paranoie di chi era affetto da sostanze stupefacenti, a Richie Havens senza denti, alla nascita di un paio di bambini, all’acquazzone che rese tutto una montagna di fango, a Joan Baez in attesa di suo figlio, ad interessantissime interviste fatte direttamente agli spettatori da cui emergono i loro intenti di partecipazione all’evento, a scene di vita quotidiana tra un bagno nel lago e la fila per un panino...

Alla fine il documentario si chiude con le decadenti immagini degli ultimi rimasti che vagano fra gli oggetti dimenticati tra poltiglie di rifiuti.

Tutto sommato non era esattamente così che mi sarei aspettata di vedere finire IL documentario per antonomasia su Woodstock, però restano i bellissimi ideali di una generazione votata alla pace, la loro musica e una tecnica di ripresa e montaggio in anticipo sui tempi: ci si trovano tantissimi spunti che verranno poi ripresi nell’arte di “fare video-clip” (come le immagini suddivise contemporaneamente in più riquadri).

9/10

Baarìa

Giuseppe Tornatore, 2009

L’ultimo film di Tornatore è un affresco sulla Sicilia degli ultimi cinquant’anni attraverso il racconto biografico di una famiglia di Bagheria.

Però ricordo con piacere solo i trailer visti in tv - dove la scelta di mostrare in sequenza immagini mute accompagnate solo dalla colonna sonora è stata azzeccatissima - e la stessa colonna sonora firmata da Ennio Morricone; perché purtroppo i 150 minuti di film mi sono sembrati una pubblicità patinata sparata in loop sulla Sicilia di altri tempi.

6/10

Twilight

Catherine Hardwicke, 2008

Eccolo pure nella mia lista di film visti nel 2009: “Twilight” non ha proprio bisogno di introduzioni, tutti sanno cos’è e di cosa parla e della sua relazione diretta con la saga scritta da Stephenie Meyer. Le connessioni però con il bel (sì, lo ri-ammetto) libro originale prendono però al cinema una piega un po’ ridicola, dalla recitazione troppo impostata e ammiccante, ai tagli e alle invenzioni di trama create appositamente, ai capelli di cemento alla Big Jim di Carlisle, alla scena della partita di baseball in cui agli attori era stato detto “Fate i fighi e credeteci! Ciaaaak!”, alla ridicolissima lotta tra James e Bella, ma soprattutto la cosa sorprendente è la totale mancanza di tensione emotiva in Edward che pure sta vivendo una situazione affettiva molto difficile e tentatrice.

Il film quindi è adatto a teen-ager in preda a turbe ormonali che potranno così trovare una “valvola di sfogo” in Robert Pattinson, per tutti gli altri che hanno amato il libro direi di lasciar perdere.

4/10