venerdì 29 febbraio 2008

Olllè!

E’ tornato il mio computer! E venerdì, quando ho scritto nei commenti che avrei pubblicato la recenZione di “Suite francese” nella giornata di domenica, mi ero dimenticata che in serata il mio computer si sarebbe già trovato in negozio per aggiustare un paio di cose (che oca... -_-’).

Nell’ultima ora ho già aggiornato l’altro mio blog, che nel frattempo ha cambiato indirizzo dopo soli due post (la piattaforma di blogspot è allucinante!!) per essere spostato tutto su splinder. So che alla maggior parte di voi non interessa l’altro mio sito, però ho pensato di segnalare lo spostamento anche qui perché non mi sembra che nessuno si sia accorto del cambiamento di indirizzo, ahahahah...!

Qui, nelle prossime 48 ore, non aspettatevi nulla - chiedo ancora scusa alle dirette interessate per la recenZione di “Suite francese” - ora vado a guardare meglio il contenuto del pacco gigantesco arrivato da IBS una mezz’oretta fa (3/4 dei libri che ci son dentro sono di mia sorella, i restanti due - proprio due di numero, eh! - sono miei).

Che cosa sono?

Eccoli:

img120/5374/libriibszt5.jpg

[“Tipping the velvet” di Sarah Waters (in lingua originale) e “Le donne che leggono sono pericolose” di Bollmann e Heidenreich]

P.S.: ah, ormai è chiaro che ho perso le ultime due challenge in corso (“La sfida della seconda possibilità” e “La sfida dei libri non letti” su Reders Challenge-Anobii).

Va beh, non ho vinto, però grazie alla seconda sfida sono riuscita a sbolognarmi via un bel po’ di libri in attesa!

mercoledì 20 febbraio 2008

Al cinema, dormendo...


img149/7461/folliaao4.jpgFollia (Asylum)

David Mackenzie

Gran Bretagna, 2005

Tratto dall’omonimo romanzo di Patrick McGrath (che non ho letto... oooops!) il film, arrivato sugli schermi italiani con due anni di ritardo, ripercorre la discesa nella pazzia di una madre di famiglia, moglie di un medico psichiatra, nella rispettabile media borghesia inglese degli anni ‘50.

Innamoratasi di uno dei degenti dell’ospedale diretto dal consorte, la donna finirà per essere risucchiata nelle fobie e fissazioni dell’amante fino a un tragico epilogo.

Il tutto raccontato in 93 minuti improvvisati sicuramente su un testo originale complesso e troppo articolato da riassumere in poche scene cinematografiche; i personaggi risultano abbozzati, gli attori vagano davanti alla macchina da presa in uno stato catatonico e per nulla convincente, la recitazione è assolutamente svogliata, il nodo centrale di tutta la pellicola (la follia) viene solo analizzato tramite sequenze esplicative di azioni fini a sé stesse e quando c’è bisogno di un’analisi più “parlata” dei cambiamenti della protagonista e dell’uomo, questo non avviene - ci si aspetta che le patologie dell’amante della donna siano elencate con più dettagli, ma avvenendo il contrario non si riescono a capire nemmeno quelle della protagonista che lui condiziona costantemente con le sue fisime: perché lei si innamora di uno psicopatico? perché si lascia irretire da un uomo chiaramente malato? forse perché è insoddisfatta? o perché anche lei, costretta in una vita impeccabile, ha sempre nascosto la sua follia latente, fino a uno scoppio improvviso?

Non l’ho capito, e non viene detto. E sicuramente è perché il film è tratto da un’opera letteraria e non frutto di una sceneggiatura originale e pensata solo per il grande schermo.

In conclusione, la noia impazza.

4/10

img258/9981/milosformandx0.jpgL’ultimo inquisitore (Goya’s ghosts)

Milos Forman

Spagna, 2006

Ispirandosi alle opere del pittore Francisco Goya (che appare anche come personaggio ma purtroppo solo abbozzato e di ruolo secondario), Milos Forman dirige un film sul ventennio che ha visto la Spagna passare dal periodo oscurantista della Santa Inquisizione a quello dell’Illuminismo, con l’arrivo poi delle truppe napoleoniche.

Tra ironia voluta (o involontaria?) e la drammaticità cruda delle torture carcerarie, il film comunque non decolla e passa da una sequenza all’altra trasformandosi nell’ultima parte in un filmone storico romanzato e troppo vicino a una telenovela per gli intrecci ridicoli che ne saltano fuori.

Che dire d’altro? Solo che è un film tutto sommato “ignorabile”.

4/10

domenica 10 febbraio 2008

Letture di sfida



Mattatoio n. 5 (o La crociata dei bambini)

Kurt Vonnegut

Universale Economica Feltrinelli, Feltrinelli, 7 €

Volendo sapere qualcosa di più sul bombardamento di Dresda, sono arrivata per vie traverse a questo romanzo tra i più famosi di Vonnegut.

Purtroppo, nonostante lo stesso autore si dichiari fieramente come uno dei pochissimi sopravvissuti a quell’assurdo bombardamento, e nonostante “Mattatoio n. 5” venga ogni volta ripresentato come uno dei massimi documenti antimilitaristi e di grande pregio commemorativo per quel tragico accadimento bellico, il romanzo in sé contiene ben poche informazioni, ben pochi spunti reali su quel pacifismo così sbandierato, ben poca “serietà” nei confronti dei fatti narrati.

L’avvenimento fulcro del libro è inframmezzato ad altri molto faceti e a volte penosamente ridicoli a carattere fantascientifico e d’avventura; tutto questo sposta l’attenzione su ben altri argomenti tant’è che delle ore cruciali di Dresda se ne racconta davvero poco, mentre per tutto il resto nel racconto c’è fin troppo spazio.

Allo stesso tempo non credo che proprio quei siparietti comici servano all’autore per smorzare gli orrori visti e per sfuggire a una realtà troppo dura e assurda; a mio parere si ha l’effetto contrario: seguire il protagonista nei suoi viaggi interstellari come prigioniero di extraterrestri è assai patetico e insignificante quanto sorbire le sue sfighe famigliari negli anni.

Insomma, Vonnegut voleva scrivere un libro sul bombardamento di Dresda? Sì. E allora perché non l’ha fatto, rifilando ai lettori questo romanzo scritto malissimo in cui c’è di tutto tranne che proprio di quell’incursione aerea?

Altamente sopravvalutato

img113/7002/pennacan3.jpgLa passione secondo Thérèse

Daniel Pennac

Universale Economica Feltrinelli, Feltrinelli, 6.50 €

Mi sto auto flagellando per aver scoperto, proprio adesso!, di aver letto il volume sbagliato *seguono imprecazioni di vario tipo* perché questo è l’ultimo e NON il penultimo della serie come avevo sempre pensato (sbagliando).

Non so dov’era il mio cervello mentre lo pescavo dalla pigna dei libri non letti...

Beh, poco male. Uno in meno!

Anche perché, pur avendo saltato un episodio, la saga non sembra essere andata molto oltre in fatto di intrecci tra i personaggi e accadimenti cruciali. Benjamin è ancora il capo tribù con il cagnaccio con l’alitosi; le sorelle e la fidanzata sono impegnate con nuovi marmocchi nati, opere di carità e litigi di vario tipo; i fratellini piccoli sono lasciati un po’ in disparte (nonostante ormai siano quasi adolescenti, non hanno ancora molta voce in capitolo), e gli amici strambi pescati dai sobborghi parigini infestano ancora casa Malaussène.

Ci scappa un’altra volta qualche morto volutamente ammazzato, e si dà il via alle indagini caserecce per scoprire l’assassino di turno, a cui ovviamente ci si arriverà con il solito happy-end.

Questa volta sono riuscita anche a star dietro al lessico intricato di Pennac e a non perdermi per strada in preda a convulsioni linguistiche incomprensibili.

E sono arrivata anche a formulare un’ipotesi: non sarà mica Benjamin Malaussène a portare sfiga a tutta la famiglia...?

Peggio che La Signora in Giallo!

6/10

I libri sono stati letti rispettivamente per “La sfida dei libri non letti” e “La sfida della seconda possibilità” per il gruppo Readers Challenge.

martedì 5 febbraio 2008

Il matrimonio di Tuya

Il matrimonio di Tuya (Tuya de hun shi)

Quanan Wang

Cina, 2006



Tuya vive con i figli e il marito semiparalitico nella landa desolata della Mongolia rurale.

Sola e senza aiuti famigliari, manda avanti gli impegni quotidiani sobbarcandosi anche il lavoro col bestiame, dato che il marito è impossibilitato a farlo.

Forte e caparbia è lei a portare i pantaloni in casa, pur abitando in un paese come la Cina dove le donne sono ancora oggi alquanto denigrate dal sociale.

Accortasi però che non potrà andare avanti così ancora per molto, prende una dolorosa decisione che ribalterà completamente la sua vita e quella della famiglia: divorzierà dal marito, per potersi risposare con uomo che le darà stabilità economica e un futuro più certo per i figli, a patto però che il marito resti con lei e il nuovo consorte.

Il matrimonio di Tuya riporta quindi la donna “al suo posto”: è costretta cioè a piegarsi a una società che al sesso femminile concede ben poco e che è regolata ancora oggi dall’uomo, senza il quale Tuya non è niente e non può fare niente.

Tra campi lunghi sulle aride e lunari pianure mongole, contrapposti a quelli ravvicinati e frenetici della città moderna, “civilizzata”, in cui Tuya si ritrova smarrita e con la famiglia disgregata; tra un continuo contrapporsi tra tradizione e progresso, si arriva ad un non-finale che sottolinea come, anche tentando di cambiare vita, non si riesca a trovare comunque un rimedio in un ambiente così controllato senza vie di fuga.

Un film lineare, che rasenta quasi la monotonia, ma che è stato accolto al Festival di Berlino con un Orso d’Oro. E a ragione: non ci si aspetta una denuncia così schietta in un paese dove ancora oggi tutto è vigilato.

8/10