giovedì 29 novembre 2007

Nuova sfida libresca

Tra pochi giorni inizierà una nuova readers challenge ideata da Phoebes e collegata al sito di Anobii Readers Challenge: La sfida della seconda possibilità (1/12/2007 - 29/02/2008). Clicca per saperne di più.

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Ecco cosa ho scelto:

I prima possibilità: l’autore

1) La passione secondo Thérèse - Daniel Pennac

2) Signor Malaussène - Daniel Pennac

Di Pennac ho letto i primi tre volumi della saga della famiglia Malaussène, odiandoli tutti indistintamente. Siccome la serie si conclude con i due volumi segnati qui sopra, e dato che sono una a cui piace soffrire (librescamente parlando...), quest’estate ho comprato anche gli ultimi due titoli, tanto per avere la serie completa (eh, le manie dei bibliofili!), e visto che sono lì da qualche mese a vegetare, beh... leggiamoli.

III possibilità: l’abbandono

1) Le memorie di Barry Lyndon - William M. Thackeray

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, io ho sempre apprezzato in maniera spropositata il film omonimo di Kubrick, mentre il libro non sono mai riuscita a finirlo neanche dopo numerose riletture.

Vedremo questa volta cosa riuscirò a combinare, forse non sarà mai stato il momento giusto.

Riserva per la III possibilità:

1) Fahrenheit 451 - Ray Bradbury

Curioso come non sia mai riuscita a superare la fine del terzo capitolo... ogni volta, arrivata lì, l’ho abbandonato.

Vari aggiornamenti: “It” ha praticamente bloccato tutte le sfide in corso, però sono arrivata a metà della seconda parte. Non male se si pensa che sono stata assalita da numerosi incubi durante il sonno e attacchi cardiaci durante la lettura concitata del romanzo...

Però devo riuscire a superare la sfida: cioè leggere l’intero libro entro il 21 dicembre.

“Estremi rimedi” di Hardy è bloccato nemmeno a metà, sempre per colpa di Penny Wise.

Quindi, per le prossime settimane non aspettavi recensioni di libri (ma poi, qualcuno se le aspetta???).

Finalmente è iniziato il cineforum (parrocchiale) e stasera andrò a vedere “Espiazione” di Wright tratto dall’omonimo romanzo di McEwan, già recensito a suo tempo.

Il cinema mi mancava da un po’, visto che l’ultimo film visto risale a quasi due mesi fa! E a casa, sul divano, non ho tempo per guardare dvd e simili: sono concentrata sulle ultime puntate di “Lost” e su “Dexter” (entrambi trasmessi da Sky), “Una mamma per amica” e altra fuffa che vedo ogni tanto.

A proposito... [spoiler] ma chi è/cos’è secondo voi JACOB??? E loro, sono davvero tutti morti???

Sul fronte manga/fumetti ultimamente non è uscita una mazza. Diciamolo così brutalmente. Spero sabato di trovare qualcosa in fumetteria.

La lettura di “Orpheus” procede speditamente, devo solo scrivere i commenti; mentre “Lone wolf & cub”, “Inu Yasha”, “Jonathan Steele”, “Clover”, “Lady Oscar” (quest’ultimo per i buchi nella collana - quei cinque numeri non sono ancora riuscita a trovarli), and many many more se ne stanno lì ad aspettare che li rilegga tutti daccapo.

domenica 18 novembre 2007

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Emma 7 (e ultimo): ma finisce davvero “Emma” con questo numero? appena ho voltato l’ultima pagina mi sono detta di “no”. Non può finire così una manga talmente bello che per tante lettrici è stata la rivelazione dell’anno; che tutte abbiamo elogiato; che tutte abbiamo analizzato nei suoi elementi perfetti inseriti in una narrazione a dir poco sublime, soprattutto se si tiene conto che è stata scritta da una mangaka e che è totalmente ambientata in Inghilterra un secolo fa.

Delusione è quello che ho provato nel constatare che Kaoru Mori non ha saputo purtroppo chiudere la storia in maniera degna, pur avendo precisato nelle pagine extra come si sia vista costretta ad aumentare le pagine del volume per farci stare dentro tutto quello che si era prefissata di inserire. Anche se tante sono le scene che avrei tagliato per dare più spazio ad alcuni passaggi toccati davvero con tanta superficialità.

Avevamo infatti lasciato Emma in una situazione precaria, rapita e segregata nella stiva di una nave diretta addirittura in America.

La poverina sbarcata sulle coste sconosciute si dispera fino a decidere, durante una bellissima sequenza, di tagliare per sempre i fili che la uniscono a William e a quello che ormai è il suo passato. Il taglio delle tavole, i dettagli, tutto sottolinea ancora come la Mori sia bravissima a condurre la storia.

Purtroppo però nelle pagine successive si arriva con troppa faciloneria, e troppe poche pagine utilizzate, alla risoluzione del rapimento di Emma e al suo ritrovamento: William, aiutato da Hakim, sbarca anch’esso in America e dopo una frazione di secondo avvista Emma tra la folla del porto. Uno svolgimento poco plausibile se si tiene conto che la traversata durava settimane e che, tra lo sbarco di Emma e l’arrivo di William, sarà passato come minimo un mese. Un mese. Cosa ha fatto lei in tutto quel tempo, mentre William la cercava? E oltre tutto, va sottolineato come lo sviluppo della scena faccia pensare che i tempi della partenza di Emma e del suo ricongiungimento con William siano pari a qualche striminzito giorno...

La fuga di Emma nel bosco vicino al porto e l’inseguimento di William fra le sterpaglie, deciso a riprendersi la sua amata con sé, passano in secondo piano di fronte a così scarsa capacità narrativa poco sopra descritta.

Il ricongiungimento definitivo dei due è alternato a diverse sottotrame, alcune delle quali più che superflue: l’arrivo di Monica, anticipato nel penultimo numero, vede lo sbandieramento di urla e strepiti suoi soliti. Se all’epoca della sua prima apparizione nella serie era risultata un po’ sopra le righe, ora le sceneggiate di Monica, saputo dell’annullamento del rapporto tra sua sorella e William, fanno quasi ridere per il fastidio e l’inutilità. Tra l’altro la ragazza è accompagnata dal marito bambascione davvero irritante - anche se dimostrazione di come nella gentry ci furono anche soggetti non del tutto degni di farne parte...

Anche il ritorno di Hakim non serve a nulla se non a sprecare pagine preziose. Il giovane infatti è oggetto di un lungo déjà vu: si comporta e dice cose già viste nei primi numeri della serie, una su tutte il tacchinaggio con bacia mano verso l’allibita Emma.

E ritornando a parlare di lei come non notare che la sua trasformazione definitiva, proprio nelle ultimissime pagine del numero, in donna di società è identica a quella avvenuta nel numero 5 (o giù di lì)? “E’ bellissima, no?”, chiede ancora la mamma di William mentre ammira Emma acconciata e vestita all’ultima moda per partecipare a un ballo tra ricchi. Tutto già visto anche qui. Se non che la prima volta Emma era solo una semplice chaperon, mentre ora, dopo lunghe pagine in cui vediamo la Signora Molder e la (futura) suocera insegnarle gli atteggiamenti giusti, il portamento e l’abbigliamento da prendere in società, ne prende parte come fidanzata ufficiale di William. Ma la sorpresa nel vederla senza occhiali e così vestita, non è la stessa provata la prima volta.

Almeno ci sono sequenze ancora belle, come quella già descritta in cui Emma è appena sbarcata in America; ma anche quella in cui William le regala un paio di occhiali nuovi e lei vede “davvero” per la prima volta il suo innamorato - metafora del cambiamento avvenuto in Emma e del suo passaggio dall’altra parte della società [però non ho capito se alla fine Emma si è fatta montare le lenti con gradazione più forte sulla montatura della signora Stoner, oppure se si è tenuta le lenti vecchie cambiando solo quella scheggiata, andando a casa cecata come prima... aiutatemi voi...]; e ancora, il bacio tra i due all’improvviso, con William trafelato che le chiede di sposarla nel cuore della notte.

Ma dopo queste belle pagine, come si conclude il rapporto sospeso tra William e Eleanor? E tra l’intera famiglia Jones e quella dei Campbell? William in questo numero si presenta effettivamente a casa Campbell, ma dopo aver tirato fuori i coglioni (oh, pardon...) e aver urlato in faccia tutto il suo odio al visconte, la Mori pensa che inserire una pagina in cui tutta l’alta società depenna dalle liste dei ricevimenti il nome “Jones”, sia sufficiente a far capire che quei Jones saranno costretti a cambiare stile di vita, cerchia di amici da frequentare, zone in cui presentarsi a passeggio, ecc... ma il ragionamento non è poi così diretto e quel che più lascia dubbiosi è il fatto che Eleanor e William non avranno mai in tutto il volume un dialogo. In questo modo pare che William sia, sì, un uomo tutto d’un pezzo - per essersi messo definitivamente contro tutti e per aver scelto Emma alla luce del sole - ma anche un po’ codardo per non aver mai incontrato Eleanor che era comunque davvero innamorata di lui.

Tuttavia non credo che se la Mori avesse avuto a disposizione altri quarantasette tankobon, avrebbe inserito una scena esplicativa di quel genere.

Eh sì, l’uomo perfetto non esiste; così come Hans alla fine viene accantonato con cinque, e dico cinque, sole vignette mentre pulisce l’argenteria. Come a dire che arrivati a questo punto della storia pure lui non serve a nulla...?

Come non serviva affatto rivelare l’esistenza di un fidanzato segreto di Grace, visto che poi come così velocemente lo si dice, così velocemente viene dimenticato; idem per la sorte della famiglia Molder, piantata in asso di punto in bianco dopo che la signora ha avuto un così grosso ruolo nella nuova vita di Emma.

Che poi troppo “nuova” non credo lo sarà mai, lei sembra quasi non essersi resa conto dell’evoluzione della sua persona e della sua esistenza, tant’è che pensa ancora a ramazzare per terra piuttosto che fare l’ospite in veste di fidanzata del signorino William in casa della suocera! E quando sarebbe stato interessante vedere il suo debutto ufficiale in società il manga si chiude con sorpresa.

E la copertina del volume, in cui si vedono Emma e William uno di fronte all’altro, mostra lei vestita ancora da... cameriera.

Il fatto è che talmente tante sono le cose lasciate in sospeso, e quella non ancora citata è la più micidiale: il rapimento di Emma - come la mettiamo per il colpevole e i suoi complici??? - che non riesco nemmeno a immaginarmi come possa, fantasticando di molto, proseguire la storia. C’era il matrimonio, il futuro dei due protagonisti insieme e quello di tutti i personaggi a loro vicini, e invece in questo modo tutto rimane fermo nel momento in cui Emma e William ci voltano le spalle ed escono di scena.

Il manga è stato davvero il più bello tra quelli già conclusi da me letti, e si sarebbe davvero meritato un voto complessivo altissimo. Purtroppo questo numero conclusivo ha storpiato le mie aspettative, pur confermando la bravura della Mori che anche qui c’è, ma evidenziando troppe e madornali sbavature.

Lo consiglio comunque, per la sua pregevole fattura, rendendomi però conto che il manga perfetto non ancora esiste.

voto complessivo: /10

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Anatolia Story 2-3: nel primo numero avevamo lasciato la giovane Yuri in fuga dai sicari Ittiti che la vogliono morta come sacrifiZio umano e, forse il male minore, oggetto di erotiche effusioni da parte del suo protettore Kail Mursili.

In questi successivi numeri la carica sessuale (dicesi, in parole povere, arrapamento) del sopraccitato uomo raggiunge picchi astrali, mentre Yuri rischia continuamente la vita e per colpa sua uno dei servi messi a sua disposizione, Tito, viene ucciso.

Ma l’ora di tornare in Giappone è arrivata, quindi saluti-e-baci a tutti, che si aspettano che Yuri se ne esca di scena. MA la compassionevole e amabile fanciulla decide di procrastinare il suo ritorno a casa pronunciando le seguenti parole: “Io... non posso tornare finché non avrò vendicato Tito!”. Cioè ammazzando a sua volta la regina Nakia e il suo adepto che ha commesso l’omicidio.

Se uccidere l’adepto sembra un atto più che fattibile, ammazzare la regina lo sembra molto di meno, cosa che mi fa quindi comprendere per quale motivo la serie si concluda solamente col numero 28.

Lunga è la strada ancora da percorrere per arrivare alla fine, e soprattutto per vedere una bella scena di sesso tra la teen-ager e il tenebroso Kail...

Note per questi due numeri: miglioramento della trama, che vede la presenza di scene truci e squartamenti alla “Berserk”; più azione - ora Yuri è stata addirittura scambiata per la dea della guerra (!!) - e meno chiacchiere a vanvera.

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Mayme Angel 1-2-3 (serie conclusa): dall’autrice di “Georgie” è uscito nel 1979 anche questo manga dalla breve durata che ha come protagonista la giovane Mayme, detta “Mayme Angel” dal padre defunto.

La ragazzina vive con le due sorelle e la madre in un punto imprecisato della valle sconfinata americana; la famigliola tira a campare felicemente quando all’improvviso riceve una lettera da lontani parenti che abitano nel Far West. Il tarlo del partire all’avventura si insinua in ognuna delle quattro donne, ma sarà solo cinque anni dopo, quando Mayme ha all’incirca quattordici anni, che insieme decideranno di partire verso il West. Ciascuna ha motivazioni diverse per lasciarsi tutto alle spalle, ma quella più risoluta (e scassa maroni) è proprio Mayme che cinque anni prima aveva visto partire il suo amato Johnny verso lo stesso Far West.

Dalla seconda metà del primo volume, al terzo e conclusivo seguiamo le rocambolesche peripezie di Mayme e della famiglia dal momento in cui si aggrega ad una carovana di pionieri diretta nel lontano ovest.

Per le quattro donne non sarà facile, tant’è che la madre e le due sorelle abbandoneranno il viaggio appena iniziato per motivi di salute (si mettono in mutua, praticamente...). Ma la giovane e caparbia Mayme non vuole abbandonare il sogno di rivedere e sposare il suo Johnny, prosegue quindi sola insieme però al suo patrigno e al fratellastro - ché la madre intanto si è pure risposata con uno dei pionieri vedovi con prole...

Tra attacchi di indiani, sparatorie, assalti della cavalleria americana che decide di scortare l’intera carovana, morti, feriti, rapimenti, tormente di neve, apparizione di un fantomatico Johnny sotto mentite spoglie di militare e comparsa del cugino del West Armand (quello della lettera) invischiato in intrighi inimmaginabili, Mayme è costretta a crescere e a farsi donna da sola dopo che sfighe varie la vedono sola e abbandonata sui monti che portano al di là nell’ovest.

Combattuta anche tra il sentimento che Armand e Johnny (poi palesatosi definitivamente nella sua vera identità - cosa che noi lettori avevamo già capito da un pezzo) provano per lei, Mayme è pure soggetta a dilemma amoroso, facendo più volte confusione nei tre volumi tra quale dei due ragazzi aveva scelto di sposare cinque anni prima: Johhny o Armand? Lei aveva detto “Johnny per tutta la vita!”, salvo poi, vistasi bidonata dal Johnny, accettare di vivere con Armand (tra l’altro sotto lo stesso tetto pur essendo solo fidanzati, nel 1800 poi!) una volta arrivati nel Far West e ricongiuntasi con l’intera famiglia allargata.

Ma siccome c’erano ancora due pagine disponibili, la Igarashi decide di cambiare nuovamente il finale inserendo uno scontatissimo lieto fine con un colpo di scena che vede il ritorno di Johnny e ovviamente il matrimonio tra i due. E Armand? Eh, Armand “s’attacca”.

Insomma, un manga di scarso valore, dilettantesco e superficiale, pieno di strafalcioni e improbabili rivolgimenti tramici. Adatto alle ragazzine e non a chi si aspettava di leggere un bel manga ambientato nell’Ottocento dei pionieri.

voto complessivo: 4/10

domenica 11 novembre 2007

Libri di noia e libri di punk

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In venticinque parole:

Lei disperata gli chiede “Ci rincontreremo?”, lui noncurante farfuglia. Poi sospirando convolano a nozze. Ma lui tragicamente muore... lei lo bramerà per sempre.

Che palle.

5/10

Angel

Elizabeth Taylor

Neri Pozza, € 16.50

P.S.: questo libro fa parte della lista scelta per la “Book to movie challenge”. Clicca.

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A metà tra un saggio e un romanzo autobiografico, l’autore ripercorre gli anni a cavallo tra il Settanta e l’Ottanta quando il fenomeno punk arrivò in Italia e lui, poco più che adolescente, ne prese parte attivamente.

Marco Philopat cerca di spiegare cosa c’era oltre alle creste di capelli decolorati, alle borchie, ai poghi forsennati e allo stile di vita dissoluto; elementi superficiali che non bastavano a far comprendere, per chi li osservava al di fuori, le vere ragioni e gli ideali culturali-politico-sociali che spingevano i giovani di allora a lasciarsi alle spalle, anche ad un’età davvero troppo giovane (quattordici, quindici anni), i genitori, la scuola, il lavoro e a vivere in comune portando avanti teorie e principi radicali e anche un po’ utopistici.

Lo stesso Philopat, nei primi mesi della sua adesione al punk, sembra ammettere fra le righe che da quindicenne era solo attirato dall’aspetto esteriore del fenomeno; col passare del tempo, crescendo con gente che già da tempo seguiva quello stile di vita, comprende però appieno cosa vuol dire “essere punk” e la sua militanza diviene sempre più partecipe e consapevole, fino a diventare uno dei membri fondatori di tante iniziative della scena milanese.

Il romanzo segue, di conseguenza, anche l’evolversi dallo spaccato musicale punk, ma si dovrebbe specificare che il libro ripercorre quasi esclusivamente la cornice milanese, essendo l’autore nato e cresciuto a Milano, con brevi incursioni sullo scenario di qualche città italiana che in quel periodo stava assistendo alla stessa diffusione.

Davvero interessante è quindi (ri)scoprire i gruppi musicali più importanti che spopolavano a Milano, e che con i loro testi erano estremamente collegati all’attivismo dei collettivi punk, essendone in tutto e per tutto un’estensione.

Peccato che negli ultimi due capitoli la narrazione diventi molto vicina a un elenco sintetico degli avvenimenti della vita di Philopat e dei compagni fino allo sgombero della casa occupata in via Correggio a Milano, centro di tutto il movimento fino al maggio 1984. Resta comunque una parte conclusiva interessante e divertente per i suoi sprazzi di ironia presenti in tutto il testo, ma comunque troppo frammentaria.

Da segnalare il bizzarro e innovativo (bizzarro per noi che negli anni ’80 eravamo ancora troppo piccoli...) metodo di scrittura, spiegato così dallo stesso Philopat: “(...) nella narrazione infatti non vi sono né punti né virgole, come avviene naturalmente nelle conversazioni, un flusso di coscienza spezzettato simile al balbettio di un oratore concitato. (...) Non esistono segni grafici, solo ritmo, pause e intonazioni, spetta a chi ascolta il compito di interpretarle. Un modo, mi auguravo, per dare più importanza alle parole, dove il sangue poteva finalmente scorrere fra le righe.

Aggiungo io poi che questo stile di scrittura era uno dei metodi più utilizzati nelle punkzine dell’epoca [riviste di diffusione culturale punk].

Consigliato a chi vuole approfondire l’argomento, perché magari pensa che i punk sono quelli che ieri pomeriggio a visto in fiera di Sinigallia a Milano... niente di più sbagliato: quelli sono solo una penosa emulazione.

8/10

Costretti a sanguinare. Il romanzo del punk italiano 1977-1984

Marco Philopat

Einaudi stile libero, Einaudi, € 13.50

E tanto per non dimenticarcela: Jo Squillo [che ha sempre frequentato la casa di via Correggio] con “Violentami” nel programma “Azzurro” del 1983.

Potrebbe provocare grasse risate il testo e sfottimento a iosa il modo in cui lei canta (tra l'altro in play-back), ma c’è da precisare che il testo è come non mai attuale, dato che quegli anni avevano visto un aumento spropositato di violenze sulle donne nei mezzi pubblici... poi se lei canta un po’ male e la musica di base ricorda vagamente "Blitzkrieg Bop" dei Ramones, non importa, è il concetto che conta.

Peccato poi Jo Squillo sia finita a fare la show-girl in minigonna...



lunedì 5 novembre 2007

Lucca Comics - 3/11/2007

H7:00 - con gli occhi cisposi siamo già in viaggio da un po’.

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[campagna nella nebbia]

h 8:30 - in tangenziale verso il casello autostradale.

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[il sole sorge...]

Il viaggio prosegue tranquillo con dei lunghi tratti di autostrada deserti: il nulla davanti, il nulla dietro, ma con la bellissima vista delle colline toscane ricoperte d’alberi con le foglie dai classici colori autunnali.

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[una torretta diroccata vista dall’autostrada]

h 10:30 - siamo a Lucca! L’interminabile fila al casello d’uscita già ci fa prevedere la fiumana di gente che avremmo trovato alla fiera e, soprattutto, gli sbattimenti che ci saremmo dovuti sorbire per trovare un buco libero per parcheggiare la macchina.

MA accortici che tutto il traffico si dirigeva seguendo i cartelli della fiera, pensiamo sia meglio arrangiarci a modo nostro e cercare un posteggio dalla parte opposta delle segnalazioni: tempo cinque minuti e - taaaac! - macchina parcheggiata perfettamente, stiamo già zampettando verso il centro storico seguendo le indicazioni di una vecchietta.

La fiera - non so gli altri anni com’era dislocata - quest’anno era divisa in undici padiglioni sistemati in tutto il centro di Lucca, per cui insieme al biglietto ci è stato consegnato un braccialetto giallo da mostrare all’entrata di ogni padiglione (ché da solo il biglietto non valeva!).

Visitiamo per prima cosa il padiglione n. 10 dove abbiamo acquistato i biglietti, talmente strapieno di gente e puzze da far mancare l’aria. Avvistiamo lo stand del disegnatore Ciruelo e quello di una coppia inglese che dipinge soggetti fiabeschi e mitologici - Wendy e Brian Froud, ma la ressa e troppa (e pure le puzze) così attraversiamo di corsa, o meglio, a passo di lumaca tutto il padiglione verso l’uscita decidendo di ritornarci più tardi quando tutti, si presume, stiano mangiando.

Nei padiglioni era impossibile fare foto di qualsiasi tipo: spallate, culate, spintoni e maciullamenti tipo scatola di sardine. Era già tanto avvicinarsi ai banchetti degli stand sempre sgomitando.

Quindi i cosplay visti nei padiglioni non ho potuto immortalarli. Merita menzione, tra quelli visti lì dentro, quello bellissimo di Ren e Nana Osaki: erano identici!!! Con tanto di custodie per chitarre in spalla, chiodo nero e catene.

Abbiamo visto però Luca Enoch, Licia Troisi, Gipi, Toffolo, Vanna Vinci, i già citati Ciruelo e Froud, alcuni disegnatori della Bonelli a noi sconosciuti, più altri che ora non ricordo...

Percorrendo le viuzze tra un padiglione e l’altro, ecco i cosplay più belli:

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[Thrall]

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[Spade lucenti, cavalli al galoppo...]

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[Maria Antonietta!]

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[rievocazione di Star Wars - 1]

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[rievocazione di Star Wars - 2]

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[rievocazione di Star Wars - 3]

Bilancio delle ricerche manghesche/fumettare fatte:

- “Blankets” di Craig Thompson [mia sorella ha l’edizione ridotta edita da La Repubblica, abbiamo così deciso che era il caso di avere quella “vera”...]: è in corso di ristampa, uscirà per dicembre.

- “Monsieur Jean - Felici, anche se non sembra” n. 2 di Berberian e Dupuy [ho il primo e il terzo volume, mi mancava questo]: introvabile. E che chezz...

- “Lady Oscar” di Riyoko Ikeda n. 2-5-7-13-16: E-S-A-U-R-I-T-I. E adesso come faccio a terminare la serie??????

- “Quando non c’era la televisione” di Yvann Pommaux: sapevo che costava più di 20 €, ma visto dal vivo il libro non ne vale poi così tanti.

- “Mayme Angel” n. 1 di Yumiko Igarashi [il fumettaro da cui mi rifornisco non è mai riuscito a trovarlo]: preso!!! Anziché 6 €, allo stand della Star Comics me l’hanno lasciato a 5.

- “Il volo del corvo” n. 1-2 di Gibrat: l’editore non partecipava alla fiera... -__-'

Come avete letto, le ricerche sono state praticamente inutili :-/ a parte l’aver trovato il primo numero di “Mayme Angel”.

Volevo prendere il primo numero di una serie che non conoscevo e che avevo visto allo stand dell’editore di “Elizabeth” di Riyoko Ikeda e Erika Miyamoto: “Casino” illustrato da Leone Frollo - dieci numeri tutt’ora in corso di pubblicazione al prezzo di copertina di 9.50 €. E siccome erano un po’ cari, a costo di fare la figura della taccagna, confesso che non ho preso nemmeno il primo numero (grazie Luca! >:-/)...

I giri per i padiglioni sono stati un tuor de force, alle 15:30 avendo esaurito tutti gli stand da visitare - compresi quelli di gadget e cazzatine varie - abbiamo deciso di gironzolare per la città, che ci è piaciuta così tanto che sicuramente ci torneremo per visitarla con più calma.

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[un micio]

Verso le 17:00 siamo ritornati verso il primo padiglione in cui c’erano Ciruelo e i Froud. Io ho acquistato una stampa di un’illustrazione di Brian Froud (preferisco i suoi disegni, a quelli della moglie Wendy) e ho chiesto - cioè, ha parlato il mio moroso in inglese per me, io mi vergognavo :-P - se potevo farmelo autografare; Luca invece è tornato a casa tutto esaltato con un drago a matita di Ciruelo che glielo ha disegnato sul momento, mentre io con una piccola stampa di un drago nero (con autografo, eh!).

Dopodiché abbiamo deciso di avviarci verso casa.

Visitare la fiera è stato divertente - d’altronde la ressa era normale che ci fosse - così come vedere le vie piene dei cosplay più disparati (c’era anche uno vestito da puffo, penoso... con la tutina di flanella bianca piena di pelucchi... non l’ho fotografato per principio). Peccato il non aver praticamente trovato nulla dei fumetti e dei manga che cercavo, e di non essere riuscita a scattare tutte le foto che mi ero ripromessa di fare, però nel momento in cui mi son vista portare via, schiacciato tra la folla, il braccio con in mano la macchina fotografica (di Luca, poi!), mi sono spaventata abbastanza per decidere di metterla via senza rischiare un’altra volta di romperla. ^^'

P.S.: Arianna, non disperare, ci sarà anche l’anno prossimo la fiera!

P.P.S.: ieri ho compiuto 26 anni. Tristessssa...