venerdì 31 agosto 2007

La sfida dei libri non letti

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Non sapevo dell’esistenza dei “reader challenge” ossia sfide che hanno a che fare coi libri fino a che ieri, tramite alcuni rimandi tra blog, ho letto questo post sul sito di Roberta.

Per maggiori dettagli riporto comunque il testo del post con le regole per partecipare:

“Visitando questo blog in lingua inglese (sycorax pine) ho avuto l’idea di riprendere in italiano l’abitudine dei bloggers americani di lanciare “sfide”. Una challenge (o meglio sfida) consiste nel proporre la lettura di un numero di libri di una certa tipologia in un determinato lasso di tempo.

Ripropongo pari passo la Sfida dei libri non letti. Si tratta di quegli autori che avreste sempre voluto leggere, senza mai riuscirci, vuoi perché intimiditi, o privi del tempo necessario, o anche semplicemente troppo impegnati dai libri dei vostri autori preferiti. Bene, se credete sia giunto il momento di affrontare questa sfida, aderite! Le regole sono queste:

1. La sfida avrà luogo da Settembre a Febbraio (inclusi, per un totale di 6 mesi)
2. Dovete scegliere 6 libri, tutti di autori che non avete mai letto prima (per chi è veloce, ovviamente si possono leggere anche più di sei libri!)
3. I sei libri non devono essere necessariamente di sei autori diversi. Potete scegliere anche solo uno o due autori che non conoscete e leggere più di un libro per ognuno di questi.
4. I libri possono essere romanzi, saggi, fantasy, thriller, horror, graphic novels, testi teatrali, raccolte di racconti o racconti lunghi, insomma possono appartenere a qualsiasi genere.
5. Prima dell’inizio della sfida (aperta ufficialmente il 01.09.2007), scrivete un post nel vostro blog nel quale elencate le vostre scelte. Contemporaneamente, lasciate un commento a questo post con un rimando al vostro elenco. Il vostro elenco potrà essere modificato anche strada facendo, o potete già prevedere delle “alternative” se pensate di non riuscire a trovare dei libri, o che alcuni dei libri scelti potrebbero non piacervi. L’importante è che i libri siano sei, e che siano tutti di autori che non avete mai letto prima!
6. Potete anche esporre il bannerino qui in cima, fatelo come volete dato che io di codici non capisco niente! ;)
7. L’idea della sfida è di organizzare le nostre letture in modo tale da riuscire a dedicare del tempo a libri trascurati da troppo. Nel percorso di questa sfida, aggiornate i lettori del vostro blog sulle vostre letture, pubblicate le vostre considerazioni, e commentate questo post!”.

Nelle ultime ore ci sono stati dei piccoli cambiamenti nelle regole e l'apertura di un gruppo di riferimento su Anobii, per saperne di più leggete qui.

La mia lista dei libri scelti è la seguente (in ordine sparso):

1) W. Somerset Maugham - Il velo dipinto

2) Thomas Hardy - Estremi rimedi

3) Janet Frame - Un angelo alla mia tavola

4) Beppe Fenoglio - Il partigiano Johnny

5) Kurt Vonnegut - Mattatoio n. 5

6) John Steinbeck - Furore

A parte Thomas Hardy, che è uno dei miei autori preferiti, e Janet Frame, di cui avevo tentato di iniziare più volte quello stesso titolo, a gli altri mi avvicino per la prima volta.

Questa è finalmente per me la perfetta “scusa” per cercare di finire di leggere tutti i libri in attesa!

E di voi chi parteciperà? ^^

giovedì 23 agosto 2007

Valle d'Aosta, 4-13 agosto 2007

Attenzione: il post che segue potrà essere un po’ lungo per chi ha fretta - non spaventatevi, non è per i contenuti da leggere a papiro, ce ne sono pochi. ;-)

Così ne avrete un po’ da leggere e guardare per la prossima settimana, perché penso di non riuscire ad aggiornare il blog nei prossimi giorni.

Non è la prima volta che trascorro le vacanze estive in Valle d’Aosta, la mia famiglia ci va ormai da quasi vent’anni, tutti gli anni nello stesso paesino, uno di quelli che si attraversano per arrivare a Cervinia da Saint-Vincent.

Da bambina non ero troppo convinta di passare lì, con mia sorella e le mie nonne, praticamente tutta l’estate dalla fine delle scuole fino ai primi di settembre: non c’erano molti bambini con cui giocare e invidiavo i miei compagni di scuola che passavano insieme le vacanze a casa; in più ad agosto, con l’arrivo dei miei genitori appassionati di trekking, erano previste un serie di scarpinate per le cime della valle. Fate un po’ voi...

Superata la critica fase adolescenziale, la montagna, quella vera, ha cominciato a piacere anche a me e ora che ho quasi ventisei anni posso dire di metterci lo stesso impegno e la stessa passione dei miei genitori quando ci si trova a salire per un sentiero tutti in fila, camminando con passo lento e misurato, pregustando pian piano le meraviglie che solo arrivati in cima si possono vedere. Perché solo così si può vivere pienamente la montagna, non certo arrivando fin dove le macchine ti possono portare praticamente a peso morto (automobili, funivie, seggiovie, ecc.). Non di rado infatti ci è capitato di arrivare in cima e di constatare con sorpresa di essere gli unici e i soli ad essere lì in quello stesso giorno.

[Perdonate la brevità con cui scrivo quello che provo in quei momenti, ma solo l’esserci ti dà la possibilità di capire le emozioni che si possono sentire, sicuramente più forti che vedere un bel quadro o leggere un buon libro. Ed è davvero un privilegio.]

Quest’anno il tempo non è stato molto favorevole alle escursioni, siamo riusciti a farne solo tre, così nei tempi morti causa maltempo ci siamo dati (soggetto: io e il mio moroso) alle gite culturali.

Il 4 agosto, appena arrivati, siamo andati di sera a fare un giretto a Saint Vincent e fra il marasma di gente abbiamo visto arrivare da lontano, nella via principale del paese, una cosa mostruosa che si spostava su ruote accompagnata da musica techno-rock.

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“Ma cos’è ‘sto coso?” ci siamo chiesti, poi mi sono girata e mi sono trovata di fianco lui:

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Dopo un primo sbigottimento, abbiamo capito che era un gruppo di artisti di strada, probabilmente francesi, che usano esibirsi facendo musica su quegli strani mezzi fai-da-te. I costumi di scena devo dire che erano davvero impressionanti e mi ricordavano un misto fra quelli del film “Waterworld” e la saga di “Mad Max” (bellissima!) con Mel Gibson. La resa finale era davvero sorprendente.

Io con le cose che in inglese si definirebbero weird o odd ci vado a nozze e così ho sgambettato dietro al corteo scattando diverse foto. Ne vorrei inserire qualcuna, ma visto che so che il post così diverrebbe ancora più lungo, magari le pubblico un’altra volta - sempre se a qualcuno interessa!

5 agosto, prima gita:

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[salendo...]

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[laghetto affollato di turisti arrivati in seggiovia: superati di gran carriera]

6 agosto, riposo [la pennica letargica durata 24 ore ha ostacolato l’utilizzo della macchina fotografica].

7-8 agosto, pioggia e temperatura scesa di quasi dieci gradi.

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[mmh, che bel tempo - dalla finestra della camera da letto]

9 agosto, di nuovo pioggia e freddo. Intorpiditi dal far niente decidiamo di visitare il Forte di Bard.

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All’interno abbiamo visitato la mostra “In cima alle stelle”. Dislocata in più sale, una erano i sotterranei con le prigioni: celle così strette e altissime che nemmeno io - a occhio e croce - sarei riuscita a distendermi per terra completamente (e sono alta 165 cm, io!).

Per uscire dal forte abbiamo percorso la mulattiera che sul “retro” dell’edificio si snoda per tutta la sua altezza fino a tornare al punto di partenza a valle. Vedere il forte da quell’angolazione è davvero suggestivo, anche perché non si vedono quei cavi e cavetti sospesi che rovinano un po’ la visuale e che servono agli ascensori di vetro che collegano dall’esterno i vari bastioni.

Poi dalla mulattiera si può raggiungere il borgo medievale.

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[parte del bastione inferiore]

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[io. sulla mulattiera]

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[il forte visto dalla mulattiera]

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[il borgo medievale 1 (ho tagliato il lampione...)]

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[il borgo medievale 2 - il caseggiato in alto è una parte del forte]

10 agosto, finalmente gita!

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[marmotta in volo - particolare ingrandito]

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[il laghetto in lontananza è lo stesso che avevamo superato andando in un’altra direzione durante la prima gita]

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[congelamento in corso]

11 agosto, ad Aosta.

In quella giornata tutte le vie del centro erano occupate dalla Fiera dell’Artigianato Valdostano, e capitava di vedere delle opere d’intaglio belle come queste:

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[il forte di Bard]

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Il motivo principale per cui siamo andati ad Aosta era visitare un paio di mostre (vabeh, poi le solite spesucce :-P).

La prima, “A bon droyt - Spade di uomini liberi, cavalieri e santi”, al Museo Archeologico Regionale espone [fino al 4 novembre 2007] quaranta tra le spade più notevoli e meglio conservate dall’età del Bronzo fino al Rinascimento.

Ammetto che non me le immaginavo così grosse le spade... infatti ho poi scoperto, grazie alle spiegazioni del mio fidanzato - molto più ferrato in materia di me - e ai pannelli esplicativi, che quelle utilizzate nei film non c’entrano nulla con le originali, e che in realtà le spade venivano solo usate di punta, mica di taglio; questo perché la lama era troppo fragile per essere usata in quella maniera e con lo sfregamento si spezzava facilmente. Quindi, quando vedete Mel Gibson in “Braveheart” che fa lo spadaccino o che tira fendenti a destra e a manca, ricordatevi che la lama al primo colpo tirato in quel modo gli si sarebbe già dovuta rompere in mano in mille pezzettini...

Non c’erano solo spade, ma anche elmi di varie fogge, speroni, armature, una cotta di maglia - solo una (chissà che ci è morto dentro?) - scudi e lance.

E sapevate che esistevano anche spade per mancini? Mia sorella è stata contenta di saperlo. ;-)

Mi ha poi molto incuriosito vedere la spada appartenuta a Re Renato d’Angiò, la stessa che lo aveva accompagnato in diverse battaglie proprio insieme a Giovanna d’Arco!

L’altra mostra era nei sotterranei della Biblioteca Regionale. In realtà dovevamo dare solo una sbirciatina alla biblioteca più grossa della valle, che in tutti questi anni di villeggiatura non avevo mai visto. Cercando informazioni abbiamo poi saputo che all’interno era stata allestita [fino al 30 settembre 2007] anche la mostra “Espressionismo blu” di Italo Bolano.

I quadri facevano veramente cag... emh, erano veramente brutti, ma è stato molto affascinante camminare in quel dedalo di stanze i cui pavimenti, di vetro, permettevano di vedere la pavimentazione originale. Purtroppo non la si poteva fotografare nemmeno evitando i quadri.

La biblioteca - ce la siamo girata tutta - è davvero ben organizzata e ordinatissima, a parte la moquette verde, a momenti attaccata anche al soffitto, decisamente lisa e un po’ sporca.

C’era anche una fornitissima fonoteca che spaziava da colonne sonore, musica classica, fino al pop più scadente come Albano e le sceneggiate napoletane alla Nino D’Angelo (oh, non me ne vogliano eh!).

La parte riservata ai fumetti era ovviamente ricchissima di bande dessinée e ho trovato anche dei fumetti di alcuni disegnatori francesi ormai introvabili.

Eh sì, questo è il bello dell’essere una regione autonoma.

Usciti dalla biblioteca abbiamo assistito a una rievocazione delle battaglie romane nella piazza della Cattedrale aostana. C’è da dire però che lo spettacolo veniva in realtà sponsorizzato come rievocazione medievale... comunque faceva così caldo che ho connesso le due cose solo a metà rappresentazione mentre mi squagliavo sempre più.

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Alla sera, non contenti, siamo tornati a Saint-Vincent, chissà che magari non facevano qualche spettacolo in strada. E invece, fra le vie deserte attraversate soltanto da qualche gatto col cimurro, l’unica cosa che abbiamo trovato era il seguente avviso: “Le Vibrazioni - concerto del 12 agosto annullato causa indisposizione del cantante”.

Forse aveva le sue cose.

12 agosto, visita ai castelli di:

Ussel...

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a cui ci si arriva con una navetta gratuita che parte dalla stazione del paese; a me è toccato fare il viaggio con dei tedeschi puzzolenti, mentre il mio fidanzato era sulla navetta successiva.

Ai piedi del castello era allestita l’annuale festa celtica “Usseltik”:

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All’interno del castello c’era anche la mostra “Bourgs de la Vallée d’Aoste” [fino al 7 ottobre 2007] in cui sono esposti sessanta pannelli fotografici che riproducono fotografie storiche confrontate con quelle attuali di dodici borghi situati nella parte orientale della regione.

Dall’ultimo piano del castello si poteva accedere poi al cammino di ronda e osservare l’interno delle varie torrette di controllo, che era così:

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[dentro]

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[fuori - ops, ci sono anch’io (e un infiltrato)]

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[questa non so chi sia]

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Verrés...

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[il portone. visto da dentro, che da accesso alla corte - si intravede il ponte, una volta levatoio ora fisso; anche se il piccolo ponte mobile di servizio che affiancava quello principale è ancora sistemato nella sua posizione originale]

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[il ponticello di servizio]

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[il portone da cui si accede alle stanze del castello - ai visitatori, accompagnati in questo caso da una guida, veniva aperto solo quel piccolo portoncino con chiavistello, molto BASSO e stretto. Nello scavalcare il basamento non ho calcolato bene l’altezza dello stipite... e ho preso una tremenda capocciata che ha rimbombato nella sala fra l’ilarità generale. Per fortuna il gruppo di visitatori era composto da sole sette persone, noi due compresi... -_-′]

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[45 minuti dopo: adoro i portoncini, lo si vede ancora dall’espressione e dalla postura un po’ abbacchiata]

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Issogne...

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Le foto che avete appena visto ritraggono la parte esterna e il giardino circostante al castello, che non ha la classica forma, ma sembra più un palazzo con qualche merlatura; questo perché l’edificio veniva usato esclusivamente come dimora dai conti Challant (primi proprietari); a difendere la zona dagli attacchi nemici ci pensava ad esempio il castello di Verrés che in linea d’aria è quasi di fronte a questo d’Issogne. Inoltre il castello non è arroccato su di un picco roccioso, come solito per questi edifici difensivi, ma è situato in una vallata che ha poco di strategico.

Purtroppo non ho di nessun castello delle foto fatte in interni, non era possibile scattarle, soprattutto in quest’ultimo che ha, nella corte interna, le mura e i portici completamente affrescati, e che potrebbero rovinarsi con i flash, ecc...

Devo dire che quello d’Issogne, anche se dall’esterno piuttosto anonimo, è il castello più bello fra quelli visitati in quel giorno. Gli affreschi poi si ritrovano anche all’interno delle stanze e consiglio davvero di vederli (anche qui una guida ci ha accompagnati).

13 agosto, ultima gita che poi alle 17 si torna a casa (con un giorno d’anticipo).

Siccome il tempo in un paio d’ore ha cominciato ha volgere verso il tornado (tuoni, lampi e vento a 548 km orari), siamo riusciti a scattare sì e no due foto prima che arrivasse la pioggia.

Eravamo poco più oltre la metà del percorso e così siamo dovuti letteralmente correre a valle per non rimanere annegati sul sentiero. Peccato non essere arrivati alla meta...

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[Luca, nella fretta, qui ha sbagliato anche a far partire l’autoscatto]

Tornati a casa, dopo esserci sistemati, abbiamo fatto le valigie.

E via verso la pianura padana.

n. b.: non tutte le foto qui pubblicate le ho scattate io.

p.s.: per le gattofile (o gattare che dir si voglia) *come la sottoscritta*, nel post precedente, in fondo, potete vedere una foto della mia gatta. :-)

martedì 21 agosto 2007

Tutto manga e due fumetti - seconda parte con qualche libro

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“Strangers in Paradise” n. 10: ormai si sa, David è vivo anche se abbastanza malconcio; questo però non spiega la reticenza di Katchoo dieci anni dopo quando parla con Francine riguardo David. Che muoia in qualche numero più in là? Spero di no! David, se all’inizio sembrava il terzo incomodo tra Katchoo e Francine, ora con quest’ultimo episodio si avvicina sempre più a una sorta di tramite tra le due ragazze e va ad occupare un posto che da sempre era vuoto, nonostante le due vivessero comunque serenamente insieme anche da sole.

Perfetto il rimando tra le due vignette in cui Katchoo saluta per sempre all’ospedale David - con il primo piano delle loro mani che si slegano - e l’arrivederci (?) tra Francine e David che si svolge nello stesso identico modo che con Katchoo, tanto che David ne rimane sorpreso e Francine non ne capisce il motivo.

La partenza di David mette ancora più in crisi Francine ora rimasta completamente sola, e i ricordi si fanno sempre più prepotenti tanto da mettere quasi a rischio le nozze appena annunciate tra lei e Brad, un ragazzo che aveva già conosciuto per caso qualche numero fa.

Nei prossimi numeri presumibilmente si celebrerà il matrimonio di Francine, poi arriverà la sua prima figlia e poi...?

Con Terry Moore e i suoi continui salti temporali non c’è mai nulla di sicuro e prevedibile. Sa tenere in continuazione sulle spine i suoi lettori.

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“Happy mania” n. 11 (di 11): mi sono spremuta le meningi ma non riesco a cavar fuori un commento utile sul finale di questa serie.

Cacchio, undici numeri. Undici numeri. U-N-D-I-C-I numeri. E questo dovrebbe essere un finale? Finisce come inizia: “Voglio un ragazzo!”, urla Shigeta. E allora perché farci perdere tempo con undici volumi che ripropongono sempre gli stessi identici fatti, con le stesse dinamiche di svolgimento [ricerca-sesso-abbandono-ricerca-sesso-abbandono], quando sarebbe bastata una mini serie di al massimo tre volumi per espletare senza ripetizioni si fatta abnorme varietà di argomenti?

E come se questo non bastasse, all’altare Shigeta ci arriva lo stesso con Takahashi che ha ottenuto il divorzio dalla psicopatica. Ma alla fine Shigeta vuole solo accoppiarsi, e quando dice di volere un ragazzo la richiesta è da prendere in senso lato. Quindi si sposerà oppure no? L’autrice non ce lo dice, lasciando Shigeta in preda al terrore mentre le fanno sapere, da dietro la porta, che la cerimonia sta per iniziare e tutti aspettano solo lei.

La serie potrebbe essere così letta all’infinito dal primo volume all’undicesimo, poi ancora dal primo fino all’ultimo per poi riprende tutto daccapo per il resto dei vostri giorni, tanto è un vortice senza fine. Che poi la storia sarà anche una denuncia nei confronti dell’insoddisfazione generale che invade l’uomo di questi tempi, ma sinceramente... che palle.

voto complessivo: 4/10

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La prosivendola

Daniel Pennac

Universale Economica Feltrinelli, Feltrinelli, 7.50 €

Terzo volume della saga dei Malaussène, incomprensibile quanto gli altri. O meglio, tutto fila liscio fino a circa metà volume poi, immancabilmente, i fatti narrati diventano così contorti e scritti con un linguaggio artificioso che mi perdo e non riesco più a capire nulla.

Di bello c’è che Pennac usa solitamente fare una sorta di riassunto delle puntate precedenti all’inizio di ogni libro, inserendolo nei discorsi tra i vari personaggi: “Ti ricordi l’anno scorso quando, ecc...”.

Probabilmente avrà capito che non tutti hanno il cervello così veloce come il suo.

Mi trovo “costretta” quindi a leggere anche il quarto volume della serie, così da raccapezzarmici un po’ su questo episodio. Poi non capirò nulla del quarto e leggerò così anche il quinto.

Il problema è che arrivata lì, ultimo volume di conseguenza non seguito da un sesto, sarò in grado di capirlo da sola?

...?

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I love shopping a New York - I love shopping in bianco

Sophie Kinsella

Mondadori 6 € - 8.40 €

Quest’anno ho passato, come da abitudine, le vacanze (solo dieci giorni veri, il resto li sto passando a casa) insieme a qualche buon libro e a questi due seguiti delle avventure di Becky Bloomwood. Non che voglia escludere i romanzi di Sophie Kinsella dalla “letteratura”, ma le differenze tra Becky e, chessò io, Micòl de “Il giardino dei Finzi Contini” sono mooolto evidenti...

Dopo averne letti tre devo ammettere che il mio preferito finora rimane “I love shopping”, sono tutti divertenti e assurdi da far ridere per ore, ma il primo ha qualcosa che gli altri due cercano, non dico di copiare, ma di eguagliare e ci riescono purtroppo solo in parte.

“I love shopping a New York” ha dei passaggi esilaranti come quello in cui Becky viene scambiata in un negozio per una fantomatica parente di due tizi che si sono separati da poco; oppure quando ci viene mostrato il risultato dei suoi sforzi da scrittrice di finanza: “La finanza è molto.”; oppure ancora quando cerca di ingegnarsi per potarsi dietro enormi valigie da incastrare in un minuscolo bagagliaio. Il seguito è ugualmente bizzarro e paradossale ma, cosa che già avevo notato nel secondo volume, l’atmosfera tragica che inizia a serpeggiare immancabilmente da metà volume - sembra essere la prassi - in “I love shopping in bianco” è addirittura gonfiata fino a parlare di depressione e crisi d’identità tra madre e figlio.

Io le tragicomiche avventure di Becky Bloomwood le preferisco quando la serietà si presenta e se ne va in fretta e furia come è arrivata, come qualcosa che serve sì a dare un po’ di normalità alla vicenda, per toccare terra quanto basta, ma per poi ritornare alle solite comiche assurdità.

Quello che non funziona, secondo me, in “I love shopping in bianco” è tutta quella parte in cui Luke, il fidanzato di Rebecca, si sbatte per trovare il senso della sua esistenza (dove sto andando? cosa sto facendo?). Un po’ troppo carico di psicologia spicciola...

Comunque anche in questo romanzo ci sono momenti così stupidi da segnalare per la loro perfetta riuscita comica: cito solo ad esempio, come primo in classifica, il personaggio di Tarquin. Così pirla da far tenerezza.

Bene, direi che per finire li consiglio entrambi, anche per sapere come proseguono le sfighe di Becky; tenete presente però che, a dispetto di “I love shopping”, c’è qualche piccolo difetto. Ma comunque la serie resta una buona lettura d’intrattenimento.

7 -

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“Il gatto del rabbino - Il Bar-Mitzvah” di Joann Sfar (ed. Kappa Edizioni, € 13.50): primo volume della serie, in cui ci viene presentato il gatto del rabbino, il protagonista indiscusso che per uno bizzarro motivo riesce ad acquisire la parola e a voler essere, di conseguenza, trattato come un uomo e non come un felino.

Lui è furbo e un po’ perfido, potendo finalmente parlare esterna senza remore tutte le sue osservazioni facendo proprie, insieme alle caratteristiche peculiari dell’animale gatto *che io adoro e di cui sono assolutamente succube*, quelle dell’uomo.

Esigendo attenzione e pretendendo diritti che non può avere (come il suo Bar-Mitzvah, cerimonia che si celebra con il raggiungimento dell’età adulta per i ragazzi ebrei), il gatto ragiona e litiga con il suo padrone rabbino sui grandi temi del mondo rimpiangendo la compagnia della bella padroncina Zlabya - figlia del rabbino - che non può assolutamente più vedere perché, dice il rabbino, lui con le sue teorie potrebbe irretire l’innocenza della ragazza.

Il gatto infatti si contrappone ai ragionamenti del rabbino: il pensiero del primo è decisamente occidentale, quasi ateo e smanioso di mettere tutto in discussione, quello del secondo è profondamente radicato nella tradizione ebraica e ligio all’integralismo.

Alla fine del volume però il gatto, quando ormai, soddisfatto, ha fatto largo uso della parola e conosciuto abbastanza le dinamiche di vita dell’uomo, decide di non parlare più, tenere per sé le sue osservazioni e di ritornare ad essere il micio di sempre. Riabbraccia la sua padrona e pensa che “vale la pena chiudere la bocca per essere felici”.

Una storia impregnata di filosofia e saggezza, disegnata con uno stile curioso, caricaturale, che può anche non piacere; io però lo trovo molto bello e piacevole, soprattutto per la resa del gatto e per la figura del personaggio di Zlabya: occhioni scuri, una cascata di riccioli bruni e qualche lentiggine, su di un corpo morbido e formoso.

Recentemente la Rizzoli ha stampato in un unico volume le prime tre storie del gatto del rabbino. In totale però in Italia ne sono uscite quattro - Il Bar-Mitzvah; Malka dei leoni; L’esodo; Il paradiso terrestre (edite dalla Kappa Edizioni) - alle quali in Francia si è aggiunta da poco una quinta, “Jérusalem d’Afrique”.

La Kappa Edizioni continua invece a stampare le storie in volumi singoli, di grande formato e maggiore resa grafica. L’edizione della Rizzoli è infatti un po’ scarsa se confrontata con la prima, di conveniente c’è solo il prezzo: dai 13.50 ai 15 € per ogni volume della Kappa, contro i 16 € della Rizzoli per tre storie in un unico libro (che però è piccolo, molto piccolo...).

Lei è Minni (senza la “e”!), la mia gatta. Ha da poco compiuto 15 anni.

Minni - 14/08/2007

[a domani (forse...) - vabeh, ormai oggi, vista l’ora! - con Emma n. 5, “Chiedi alla polvere” di Fante e le foto delle vacanze in montagna]

sabato 18 agosto 2007

Tutto manga (o quasi...) prima parte

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“Happy mania” n. 10 (di 11): ci si avvicina al grande finale, per il quale almeno non è previsto il matrimonio tra Shigeta e Takahashi. Il secondo in fatti si è sposato con Takako, la pazzoide che l’ha seguito fin dall’altra parte del Giappone. Non capisco però come mai lui abbia accettato le nozze nonostante gli sia ritornata la memoria e abbia capito che Takako in realtà aveva raccontato un fracco di balle. Ma tant’è...

La migliore amica di Shigeta intanto è ritornata col marito abbandonato durante il pranzone del loro matrimonio, e la nostra protagonista che fa? Si è innamorata di un babbo che lavora alla terme in cui lei si trova per una vacanza.

E’ un circolo vizioso che non fa manco più ridere.

La storia sta andando troppo verso il sentimentale con l’elemento indicativo che le scene di sesso sono scomparse e, a costo di ripetermi, ora assomiglia troppo all’ultima deludente serie di “Sex and the city”.

Tutto già detto, tutto già visto.

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“Berserk Collection” n. 31: numero già recensito nella puntata precedente, ma in versione regolare (n. 61 e 62).

Trovarmi in mano un tankobon dal formato identico a quello che esce in Giappone mi ha fatto sorgere un dubbio: ma i lettori giapponesi a leggersi questa sfilza di 208 pagine in cui non succede NULLA, non si annoiano? Io sì. Tanto che il numero in questione non l’ho nemmeno finito di (ri)leggere.

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“Nana” n. 31: ecco svelati nuovi retroscena sulla famiglia di Nana O. ad opera dei due investigatori privati assoldati dalla rivista Search.

Interessante sapere che, nonostante le mie funeree congetture, Nana O., sparita si presume dopo la nascita della bambina di Hachi, è viva e si nasconde da qualche parte in Gran Bretagna - quindi in questo numero si ritorna per un paio di pagine al presente.

Nel riassunto introduttivo di Max Brighel ho potuto finalmente sapere che Hachi al momento attuale è incinta di cinque mesi e Ai Yazawa si è, alla buon ora, ricordata di disegnare il ventre un po’ arrotondato. *applauso*

Nelle prime pagine ho notato che tutti i componenti dei Blast e dei Trapnest sono un tantino agitati sull’incazzato andante. Dopotutto il tour, la registrazione del nuovo album, gli impegni pubblicitari alla lunga stancano, e ora i Blast si apprestano a terminare un party per i fan, con grande orrore di Misato nel momento in cui apprende che la sorellastra di Nana O. è fra il pubblico.

Diciamo che per il resto il pezzo forte sono le rivelazioni sulla famiglia Osaki, e che l’albo è purtroppo impregnato dei soliti discorsi a vanvera. Il disegno poi in questo numero mi sembra un po’ calato come qualità.

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“Nana” n. 32: per una volta “Nana” si legge a velocità supersonica grazie ai 3/4 di volume occupati dagli inutili siparietti extra (letti solo un paio di volte dall’inizio della serializzazione) e da un racconto con protagonista Nobu.

Il numero in sé è così scarno che potevano benissimo aumentare il formato dell’albo precedente. Non trovate?

Sì, lo so che sono sempre lì a lamentarmi quando si tratta di questo manga, ma è più forte di me!

Comunque per una volta tanto appoggio la presa di posizione di Hachi che parte risoluta alla ricerca della madre di Nana O.

Il racconto che si intitola “Nobu” permette di avere una panoramica sulla situazione relazionale fra i vari membri dei Blast prima del successo, per passare poi all’arrivo di Hachi e l’immancabile ri-presentazione del discorso tra Takumi e lo stesso Nobu riguardo la paternità del bambino di Hachi.

L’insicurezza e la nullità presenti nel personaggio di Nobu sono, in quel frangente, così palesi da essere quasi ridicole. Se ne ha poi la conferma nel momento in cui rivela, progettando il suo futuro, di non sapere nemmeno se riuscirà a mantenere economicamente la sua attuale fidanzata. Bah.

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“La finestra di Orfeo” n. 2: torbido, losco e angoscioso questo bellissimo manga della Ikeda. Come nelle scatole cinesi ogni personaggio con un ruolo attivo nella vicenda è collegato ad un altro da strani e complicati legami nascosti - siano essi puramente sentimentali o ai danni di un terzo, quarto o quinto personaggio della storia.

Insomma, sono tutti in combutta l’uno con l’altro, e in più questo numero vede il palesamento dell’omosessualità di alcuni compagni di classe di Julius. Questo provoca una serie di equivoci che sicuramente complicheranno ancora di più in futuro la vita della protagonista: presentandosi come maschio, non sarà difficile dedurre che sarà proprio lei l’oggetto del desiderio di quei compagni [tanto per infierire ancora di più!]. E anche il bel Klaus, nonostante sia fidanzato con la perfida Arlaune, pare proprio essere fra quelli. Anche perché aveva scorto Julius passare sotto la famosa torre...

Ho notato che, come in “Versailles no bara”, anche in questa storia firmata Ikeda il mio personaggio preferito è un altro disgraziato e tristissimo: la servetta Gertrud. La poverina è segretamente innamorata di Julius e, tentando di emulare le belle damine che frequentano casa Alensmeier (è il cognome di Julius, eh), non fa altro che imbroccare una figuraccia dietro l’altra per finire a pelare patate fino a mezzanotte.

Tuttavia la sorellastra maggiore di Julius ha in serbo qualcosa per lei...

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“Slam Dunk Deluxe” n. 6: grossi cambiamenti in questo nuovo episodio.

La rissa tra Ryota Miyagi e Mitsui, che coinvolge praticamente tutti i presenti nella palestra, non è delle solite viste - qualche calcio, un paio di pugni e qualche battuta per sciogliere la tensione - no, la gang di Mitsui picchia forte e tra testate, calci in bocca e scopettoni spaccati in testa, il sangue sprizza a fiotti e l’odio vero, non quello da competizione classico nello sport, prevale quasi fino alla fine del numero.

Dopo tutto questo marasma, tra l’altro diretto e disegnato come i migliori film d’azione, il basket riprende possesso della storia per raccontare il passato di Mitsui. Ed è proprio in quest’ultima parte che si nota un altro cambiamento, questa volta nel disegno davvero molto migliorato rispetto alle precedenti pagine, meno spigoloso, più fluido. Già si intravede quello che sarà il tratto di “Vagabond”.

Solo un consiglio alla Planet Manga: direi che quelle quattro striminzite e sfocate paginette a colori potrebbero anche essere pubblicate in b/n, tanto non si vedrebbe la differenza. Talmente sono stampate da cani.

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“Bordello delle muse” n. 1-2 di Gradimir Smudja: i lavori di Smudja, illustratore iugoslavo da tempo residente a Lucca, sono una continua scoperta per il lettore. L’autore ripropone in questa serie (di cui per ora sono stati pubblicati solo i primi due volumi) la vita del pittore Henri de Toulouse-Lautrec in un continuo susseguirsi di citazioni pittoriche, situazioni sarcastiche e umoristiche e di vita quotidiana della Francia durante la Belle Epoque.

Se il primo volume è più una panoramica della società “alternativa” frequentata da Toulouse-Lautrec con qualche accenno a gettare le basi di una narrazione più personale e analitica riguardo il protagonista, il secondo volume entra invece nel vivo della narrazione diventando meno frammentario e abbandonando di tanto in tanto il carattere tagliente delle sagge e acute osservazioni di Lautrec per virare più verso il romanticismo e la poesia.

Infatti nel primo volume, “Al Moulin-Rouge”, si trovano in una sorta di suddivisione in capitoli gli artisti più importanti del periodo, descritti e ritratti in apparenza in maniera anonima ma in realtà contornati da piccoli accorgimenti ironici e perfidi a rivelare, a una seconda osservazione, il loro carattere e le loro più bizzarre manie: da Auguste Rodin a Cézanne, da Degas [addirittura ritratto con indosso tutù, calzamaglia e punte!] a Monet, da Gauguin a VanGogh. Questi ultimi sono anche i due accompagnatori di Toulouse-Lautrec durante la narrazione, e che lo seguiranno anche nel capitolo successivo “Mimì & Henri”, dove il pittore si innamora ricambiato della Mimì del titolo, una ragazza di umili origini.

Quest’ultima storia, come già detto, ha una struttura più narrativa e vira sul romanticismo favolistico per intrecciarsi a quella vera di personaggi come Tolstoj - di cui si dice ad esempio che si ispirò alla persona di Mimì per il personaggio di Anna Karénina.

Realtà e finzione quindi percorrono le pagine di questa serie d’autore, le cui tavole sono delle illustrazioni che valgono da sole gli interi volumi. Dipinte interamente a mano, quelle del secondo episodio toccano punte di lirismo suggestivo anche perché accompagnate da testi tanto incantevoli.

“Bordello delle muse” e una vera chicca, sfogliatelo soltanto e ne rimarrete rapiti.

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“Blood alone” n. 2: ottimo seguito per questo manga di nuova pubblicazione. Viene svelata una piccola parte del passato di Kuroe, mentre il rapporto tra il ragazzo e la piccola Misaki si fa più chiaro, con tanto di scenate di gelosia e lievi effusioni romantiche. Malizioso quanto basta a confermare la mia supposizione: tra i due protagonisti ci sarà sicuramente in futuro qualcosa di più “concreto” [e mi ricorda molto il rapporto tra Louis e Claudia nel romanzo “Intervista col vampiro” di Anne Rice], cosa non strana anche perché mi sembra di capire che Kuroe tempo addietro, cioè nel passato appunto svelato, si era già spinto un po’ oltre nei confronti della sorella. Non dico che sia un personaggio pervertito, perché questi elementi lo rendono, a mio parere, una figura ancora più attraente.

Purtroppo devo ammettere di essere rimasta un po’ delusa dalla mancanza o quasi di informazioni che anche questa volta non sono date riguardo la comunità nascosta di vampiri presente in città. Il ritorno in scena di Higure, il ragazzino vampiro, dà sì alcuni chiarimenti ma troppo criptici.

Questo è però sicuramente un punto a favore del manga: troppe rivelazioni farebbero scemare il mio entusiasmo durante la lettura. ;-)

10 e lode alla perfidia di Kuroe nell’ultima pagina che chiude il volume.

Ho notato, cosa che mi era sfuggita nel primo numero, che le pagine hanno una cornice nera quando le tavole illustrano scene notturne, mentre bianche quando la storia si svolge durante il giorno.

P.s.: a breve sarà pubblicato in Italia il n. 3, ma - ORRORE! - in Giappone a giugno è uscito appena il n. 4. Non ditemi che la serie sarà interrotta...!

[A domani con l'ultima parte - Emma 5, Happy Mania 11, Il gatto del rabbino di Sfar e Strangers in Paradise 10]