lunedì 31 ottobre 2005

"Claudine a scuola" di Colette


Trama: Francia, Montigny 1900. Claudine ha 15 anni e divide il suo tempo tra le poche compagne di classe che frequentano con lei l’ultimo anno delle medie, lo sprovveduto padre appassionato di lumache, la gattina Fanchette, i prati e i boschi di Montigny e un contrastato amore con la giovane nuova insegnante contesa tra lei e la direttrice.

Alla sua pubblicazione nel 1900 il romanzo, opera prima di Colette e falsamente pubblicato con il nome di Willy, lo scrittore (?) marito di Colette, suscitò scandalo e curiosità per gli scabrosi temi trattati con protagonista un’adolescente maliziosa e impudente.

Il breve romanzo ripercorre, sotto forma di diario scritto dalla stessa Claudine, l’ultimo anno scolastico.

Nel corso del romanzo, definito da molti “rosa”, facciamo la conoscenza di svariati personaggi che Claudine incontra durante il suo cammino verso la vita adulta, fra i quali quelli che impressionarono di più la morale pubblica furono la figura della giovane insegnante Aimée e quella del Signor Dutertre: Aimée poco dopo il suo arrivo nella scuola allaccerà un’ambigua amicizia con Claudine che, con rammarico di quest’ultima, finirà per essere rotta dall’intromissione della direttrice Sergent che occuperà il posto privilegiato nel cuore della giovane insegnante suscitando scandalo in tutto il paese.

Il Signor Dutertre invece, delegato del cantone nonché medico della contea, dispensa ambigue cure nei confronti delle ragazze dell’ultimo anno e di Aimée sollecitata dalla stessa Sergent.

In un ambiente corrotto e immorale Claudine sfoga il suo lato più infantile, ma allo stesso tempo malizioso, prima di lasciare per sempre Montigny per Parigi dove l’aspetta il debutto in società, al contrario delle sue compagne che saranno costrette a seguire le orme dei genitori contadini.

Nonostante l’ambiente e i personaggi non siano degni di rispettabilità a livello morale, Claudine non si lascia corrompere e non accetta le insistenti avance della nuova compagna di classe Luce, sorella di Aimée, anche se inizialmente instaura un’amicizia particolare con la stessa Aimée che rimane però solo platonica.

Grande importanza hanno la gatta Fanchette, descritta in maniera così vera e minuziosa (Colette amava molto i gatti e nei suoi romanzi ne figura sempre qualcuno), e la natura qui associata al paesino di montagna Montigny dal quale Claudine non riesce a staccarsi del tutto neanche nella vita adulta e con il quale ha un rapporto viscerale.

Bellissimo stile di scrittura che renderà Colette una delle scrittrici più importanti del panorama Novecentesco francese, aldilà delle sue scandalose esperienze amorose e culturali (lasciato il dispotico Willy si fidanzerà con la famosa Missy ed intraprenderà una carriera di attrice teatrale poco convincente a livello recitativo ma significativa per il teatro moderno).

8/10

domenica 30 ottobre 2005

"Tokyo blues - Norwegian wood" di Haruki Murakami


Trama: Toru e Naoko, un ragazzo e una ragazza non ancora ventenni, sono legati dal ricordo di una tragedia che li ha segnati profondamente durante l’adolescenza. Ora si ritrovano dopo anni a Tokyo durante il Sessantotto giapponese tra lotte studentesche, passioni culturali, musica e politica.

Non sono riuscita ad andare oltre pagina 98: personaggi anormali o insignificanti si muovono seguendo una storia noiosa e piatta, più che altro un resoconto della vita di uno studente sfigato; per citare un personaggio veramente assurdo farei il nome di Midori, la compagna di Università di Toru, che a pagina 85 inizia il suo sproloquio su reggiseni bagnati, il mangiar bene, “l’attrezzo” per le frittatine, la madre morta e le spese di casa.

La tragedia di cui si parla nella trama e che viene definita “segreto” è il suicidio dell’amico d’infanzia Kizuki, sicuramente decisosi a farla finita più che altro per sbarazzarsi di due amici come Toru e Naoko, il primo il tipico studente che in America definiscono “nerd”, la seconda una ragazza la cui personalità complessata e depressa può essere riassunta con questa frase di pagina 52: «Alla fine (del rapporto sessuale, n.d.I.), stringendomi forte, Naoko lanciò un urlo. Non avevo mai sentito nell’orgasmo un urlo così triste».

Una nota positiva i libri, scrittori, musicisti e canzoni che costellano la vita di Toru e il romanticismo usato da Murakami per descrivere l’amore di Toru per Naoko e la loro prima volta.

2/10

mercoledì 26 ottobre 2005

"La coscienza di Zeno" di Italo Svevo


Trama: Zeno Cosini, sollecitato dal proprio psicanalista, ripercorre le tappe più significative della sua vita scrivendole in un diario per riuscire a liberarsi da quello che sente essere un destino ineluttabile e per riuscire una volta per tutte a smettere di fumare.

Abbandonato a pagina 93 questo “capolavoro della letteratura del Novecento” l’ho trovato inconcludente e noioso. So che la regola fondamentale per avere il diritto di giudicare un’opera è l’averla finita di leggere, ma questa volta non ce l’ho fatta.

Il flusso di coscienza, tecnica utilizzata per far raccontare dallo stesso Zeno la sua vita, è difficile da seguire, soprattutto perché in alcuni punti stenta a seguire un filo logico, e alla fine fa confondere il lettore (o meglio, ha fatto confondere me...).

Il personaggio di Zeno è odioso, con quella smania di fumare e quell’aura da sfigato; per non parlare della moglie che sembra non interessarsi molto della sorte del marito dopo che questi è stato rinchiuso in una sorta di manicomio.

Per sapere se l’internamento di Zeno sia stato breve oppure no leggetevi il libro, che tanto quella storiella è raccontata nelle prime venti pagine e fin lì ci arrivano tutti…

1/10

martedì 25 ottobre 2005

"Le età di Lulù" di Almudena Grandes


Trama: per Lulù l'erotismo ha i caratteri di un'ossessione che la spinge a sperimentare le più estreme forme di trasgressione, conseguenza di una prima esperienza avuta a quindici anni con Pablo, amico di famiglia di dodici anni più vecchio di lei, che anni dopo è diventato anche suo marito. Ma il loro è un rapporto fondato sulla pratica del libertinaggio e la prossima età di Lulù sarà quella della fuga da Pablo e del tentativo di costruire un'esistenza autonoma. Rimane però, irresistibile, l'attrazione per la sessualità più torbida e sfrenata, incarnata nella figura di Ely, il travestito che accompagna la discesa di Lulù nei bassifondi madrileni.

Veramente un brutto libro che oltre agli sfrenati rapporti sessuali e alle orge con compagni occasionali presentati con rara brutalità, ci propina pure lo scontato rapporto incestuoso tra fratello e sorella.

N. C.

"Thérèse e Isabelle" di Violet Leduc


Trama: Francia, anni ’30. Thérèse, costretta a vivere in collegio per volere della madre, stringe una profonda amicizia con Isabelle, una delle allieve della scuola. Ben presto l’amicizia fra le due adolescenti si tramuta in una passione travolgente contraccambiata da entrambe, che durerà però solo il tempo di una stagione.

Pubblicato nel 1954, il romanzo suscitò polemiche e condanne da parte della censura e della morale pubblica rimasta scioccata dal tema trattato nell’opera: l’iniziazione omosessuale della quindicenne Thérèse, in un collegio femminile, spinta e trascinata in un vortice di passione sensuale ed erotico dalla compagna di studi Isabelle.

Quella che inizialmente sembrava una semplice amicizia tra adolescenti, si trasforma rapidamente in una relazione sentimentale in cui la scoperta del proprio corpo e di nuove sensazioni segnano profondamente l’esistenza e il passaggio alla vita adulta delle due giovani che, dopo la partenza di Thérèse dal collegio, si perderanno di vista ma che ricorderanno con affetto e trasporto il breve periodo passato insieme.

Lo stile semplice della Leduc rende il racconto, narrato in prima persona da Thérèse, poetico e sicuramente non volgare, nonostante le lunghe e minuziose descrizioni degli incontri sessuali fra le due ragazze che potrebbero risultare sconce e grossolane, come spesso accade nei romanzi di questo genere; al contrario leggendo quei determinati passi si ha l’impressione di assistere all’incontro carnale tra due persone (non due donne, attenzione!) che si amano e che trovano così il modo di avvicinarsi fino al culmine in cui avranno la sensazione di fondersi l’una nell’altra.

La particolarità dello stile di questa scrittrice è dovuta sicuramente all’elemento autobiografico celato nell’opera: Thérèse è Violette Leduc.

La Leduc infatti ha tratto spesso spunto da vicende personali per creare i suoi scritti.

7/10

domenica 23 ottobre 2005

"La donna di Gilles" di Madeleine Bourdouxhe


Trama: Elisa vorrebbe solo vivere per e attraverso il suo amato Gilles, non essere altro che sua moglie, preparargli la cena, guardarlo mangiare, guardare i suoi occhi, la sua bocca, i suoi capelli. Ma il giorno in cui Elisa capisce che Gilles, suo marito, è diventato l'amante di sua sorella, tutto crolla attorno a lei. Eppure sceglie di tacere e sopportare in silenzio il dolore che prova mentre Gilles diventa sempre più distante e indifferente e il suo ruolo di moglie si trasforma pian piano in quello di confidente che ascolta e consiglia il marito su come comportarsi con l’altra.

Prima opera di questa scrittrice belga pubblicata nel 1937 e poi dimenticata fino al 2004 quando il regista Frédéric Fonteyne decise di trarne un film.

La protagonista del breve romanzo è Elisa la cui esistenza sembra esser stata creata solo ed esclusivamente per Gilles, suo marito.

Elisa vive nell’attesa del ritorno dal lavoro di Gilles, per preparare il pranzo a Gilles, per sistemare la casa in cui vive con Gilles, per rammendare gli abiti indossati da Gilles, per ritrovare nella notte fra le lenzuola il corpo di Gilles.

Elisa ha avuto due figlie da Gilles, ma non sembra provare per loro un vero sentimento materno, più che altro sembra amarle solo perché nate da Gilles, e per questo le vede come un prolungamento di Gilles stesso.

Elisa ha una sorella, Victorine, giovane e bella, nota in paese per la sua avvenenza e la sua semplicità con cui passa da un giovanotto all’altro.

Delle “doti” di Victorine è inevitabile che anche Gilles se ne accorga, e per Elisa, che nel frattempo ha avuto un altro figlio da Gilles, sarà l’inizio di un interminabile, lugubre e angosciante giorno che durerà anni e sarà pieno di dolorosi compromessi, fino al risveglio di Gilles e della rinascita del suo amore per la moglie dimenticata per tanto tempo; ma ormai è tardi ed Elisa non vuole più essere la donna di Gilles.

Attraverso i pensieri e le parole di Elisa, raccontate in terza persona, assistiamo alla fine di un amore che poteva sembrare eterno e perfetto, ma che dal punto di vista del marito, al quale viene data la parola all’inizio della relazione con la cognata e quando la relazione fra i due ormai è finita, questo amore sembra non esser mai stato assoluto (basti leggere il lapidario e cinico pensiero di Gilles in relazione alla richiesta della moglie di raccogliere la neve dai gradini dell’ingresso).

Nel leggere la reazione di Elisa alla scoperta della relazione fra la sorella e il marito, e della conseguente decisione di sopportare tutto in silenzio e, per non spezzare ulteriormente il sottile filo che la lega al marito, di diventarne la confidente, sono rimasta sorpresa e ancora adesso, dopo aver terminato il libro, non riesco a capire come ci si possa ridurre in quel modo: significa perdere la dignità ed annullarsi totalmente per cercare di fare il male minore nei confronti di una persona che non si interessa più minimamente di noi.

Inoltre il scioccante e tetro finale sembra prendersi gioco della stessa protagonista: alla scoperta di essere considerata da una vicina di casa come la “padrona” del marito (“l’uomo di Elisa” dirà la vicina), rivelazione che quindi inverte i ruoli della coppia, la vicenda potrebbe prendere una piega diversa, ma l’autrice decide che niente ormai servirà a cambiare il destino di questa sfortunata donna che fino all’ultimo ha vissuto per un uomo che non la meritava.

La lettura del romanzo è scorrevole, anche se in 134 pagine non sembra succedere molto, se non fosse per un paio di avvenimenti che movimentano la situazione e la precisa analisi psicologica della protagonista e la grande capacità della scrittrice di analizzare con poche e brevi parole la mente di Gilles e quella di Victorine, personaggi secondari come tutte le altre persone che fanno da contorno al triangolo.

Ma l’argomento trattato non è uno dei più felici e l’orribile copertina del libro non aiuta il lettore a togliersi di dosso una pesante angoscia.

4½/10

sabato 22 ottobre 2005

"Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood


Trama: in questo romanzo gli anni ’80 non sono come quelli da noi appena vissuti: gli Stati Uniti sono diventati uno Stato totalitario ed incombe sul paese la devastazione causata dalle radiazioni atomiche. Le donne ancora in grado di procreare vengono rapite e costrette a vivere come Ancelle, l’unico scopo di queste donne è garantire una discendenza alla élite dominante; uniche alternative: il lavoro come detenute nelle Colonie o come prostitute per i ricchi. Pene severe sono previste per chi cerca di contrastare il governo, ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare la possibilità e, forse, il successo di una ribellione.

Questo è stato il primo libro che ho letto della Atwood, pensavo di trovarmi di fronte al solito libro di fantascienza noioso, dagli argomenti ormai fin troppo comuni (alieni, dittatura, annullamento dell’essere umano, colonie su altri pianeti, ecc…) ma questo testo è sì una sorta di libro fantascientifico e tratta circa gli argomenti che ho citato poco sopra, ma nel suo insieme è molto differente dal resto della produzione in questo campo (primo su tutti il noiosissimo P. K. Dick).

Il libro è diviso in due parti, la prima è il romanzo vero e proprio mentre la seconda è una sorta di relazione contenente “fonti storiche” attraverso le quali si cerca di capire chi sia stato a scrivere la prima parte (stesso metodo che troviamo ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni).

La donna che ci racconta nella prima parte del romanzo la sua vita, vive nella Repubblica di Galaad, ciò che prima erano gli Stati Uniti d’America, ed è stata rapita dopo il colpo di stato ad opera di un gruppo di fanatici estremisti di destra che hanno da quel momento instaurato un potere di tipo totalitario: libertà di parola, pensiero, stampa sono assolutamente vietati in modo da annullare l’essere umano e farlo rientrare in certi canoni da loro imposti, la popolazione viene divisa in classi sociali e solo le più alte, capitanate dai Comandanti, hanno agevolazioni e alcuni diritti.

La narratrice, insieme a tutte le altre donne ancora in grado di procreare, viene costretta a vivere in quello che viene definito “Centro Rosso” e a prendere l’identità di Ancella, in questo modo la vita trascorsa prima dell’arrivo nel centro è annullata e lei stessa da molto tempo ormai non ha più notizie del marito e della figlioletta.

Le Ancelle sono un privilegio delle alti classi e vengono utilizzate dalle famiglie sterili per avere dei discendenti.

Lei diventa così “Difred”, la donna di Fred, e una volta finito il suo compito (partorire il bambino e lasciarlo alla famiglia) verrà spedita in un’altra casa e prenderà il nome del nuovo capo famiglia con il quale dovrà, come è successo con il precedente, avere rapporti sessuali sostituendo la moglie sterile per dargli un erede.

Non sapremo mai il suo vero nome, che lei dirà solo a Nick (l’autista della famiglia del Comandante Fred), l’uomo di cui si innamorerà, ricambiata, ma che vedrà sempre come la sostituzione del marito perduto anni prima.

La scrittrice si è ingegnata in tutti i modi pur di non rivelare il vero nome della protagonista, ma se questo fatto può essere trascurato o analizzato per dare i più svariati significati all’opera, avrei preferito che venissero dati più dettagli sulla situazione del nuovo Stato che è diventato l’America e sul resto del mondo (dato che viene esplicitamente detto che ci sono dei turisti giapponesi arrivati in America per un viaggio di piacere e quindi sembrerebbe che nel resto del mondo la vita scorra normalmente), sulle Colonie in cui venivano spediti gli esseri umani inutili (donne sterili, uomini colpevoli di reati, malati, bambini deformi nati dalle Ancelle o prima del colpo di stato, ecc…), sulla diffusione delle radiazioni atomiche che hanno causato la sterilità della maggior parte della popolazione, sulla guerra in atto e su tanti altri aspetti che potevano essere interessanti per il lettore e che invece l’autrice ha omesso nonostante Difred riesca per vie traverse a saperle dal Comandante.

Oltre a questo difetto trovo che la scrittura sia a volte piatta, monotona e pesante da seguire, rende anche gli avvenimenti più straordinari e significativi dei fatti ordinari e che sembrano non influenzeranno lo svolgersi della vicenda, non incute spavento, suspance nel lettore; per questo motivo si rischia di annoiarsi durante la lettura del libro.

La seconda parte è una relazione scritta moltissimi anni dopo da un professore universitario che ha cercato di ricostruire la vita nella Repubblica dopo il colpo di stato, tramite l’analisi del racconto fatto dall’Ancella (ecco il perché del titolo) e inciso su musicassette.

Veniamo così a scoprire e a capire molti aspetti oscuri della vicenda, anche se trovo che quest’ultima parte poteva essere eliminata: ci vengono negate molte informazioni per tutto il corso del libro per poi esserci inutilmente date alla fine.

E’ comunque un’opera di estrema attualità, nella quale possiamo trovare elementi riconducibili ai recenti avvenimenti politici e sociali nel mondo, e vale la pena leggerla una volta sorpassati gli scogli sopraccitati, inoltre è molto differente dai soliti romanzi di fantascienza, che non ho mai apprezzato, e credo che l’unica autrice che si possa associare alla Atwood sia Ursula K. Le Guin.

8½/10

martedì 18 ottobre 2005

"The dreamers" di Gilbert Adair


Trama: Parigi, 1968. Matthew, un diciottenne americano, arriva a Parigi per studiare cinema e nel tempo libero frequenta assiduamente la Cinémathèque Française. Qui conosce una coppia di gemelli diciassettenni, Théo e Isabelle, che lo invitano a trasferirsi nella loro casa. Nella soffocante reclusione di un appartamento tutto per loro, i ragazzi iniziano una morbosa convivenza fatta di discussioni filosofiche, sciarade cinefile e giochi erotici sempre più trasgressivi che metteranno alla prova la confusa identità sessuale di Matthew mentre scopre la relazione incestuosa che unisce i due gemelli. Ma un sasso che rompe un vetro dell'appartamento fa tornare improvvisamente alla realtà i tre ragazzi: è scoppiata la rivolta del Maggio ’68.

Da questo breve romanzo, Bernardo Bertolucci ne ha tratto un film.

È ormai un’abitudine per me mettere a confronto, ogni qualvolta ci sia l’opportunità, il libro e la sua trasposizione cinematografica. Anche in questo caso è stato così, ma se nella maggior parte dei casi ho preferito l’originale, questa volta sono convinta che sia più gradevole la visione del film.

Bertolucci ha saputo rendere più vivi e pieni di sensazioni i personaggi, mentre il racconto di Adair sembra essere più incentrato sulle descrizioni dell’appartamento senza prendere in considerazione i suoi abitanti, visti quindi in modo superficiale.

Isabelle nel film è più femminile, candida nonostante la relazione incestuosa con il fratello che vive in modo naturale anche se si rende conto che i genitori non dovranno mai venirne a conoscenza; nel libro è davvero insopportabile, piena di sé e perfida (basti vedere come tratta il povero Matthew).

Théo nel libro sembra quasi assente e l’unico atto che potrebbe rimanere impresso nel lettore è lo stupro ai danni di Matthew (ancora lui…!), non tanto per la “bellezza” del gesto ma per la pena che suscita la vittima mentre viene sodomizzata e cosparsa di escrementi da Isabelle.

Nel film ci è risparmiata la visione diretta della relazione omosessuale fra i due ragazzi, ma sono fin troppo presenti gli “umori” dei protagonisti (lo sperma maneggiato da Isabelle, il flusso mestruale di quest’ultima che galleggia tra la schiuma nella vasca da bagno, ecc…), sicuramente per far capire allo spettatore lo spirito con il quale, in un periodo di profondi cambiamenti, si cominciavano ad affrontare i tabù dell’epoca. La stessa cosa si può trovare nel libro sottoforma di cattivi odori, vestiti lerci riutilizzati più volte, cibo raccattato tra l’immondizia e la “favolosa” scena in cui i tre ingurgitano del cibo per gatti, che avrà funeste conseguenze per i loro intestini.

Matthew, in entrambi i casi, si rivela essere un ragazzo non ancora maturo, timido e in cerca dell’amicizia che non ha mai trovato, fino all’incontro con i due gemelli verso i quali da subito prova una sorta di affetto e un attaccamento morboso, che verranno interpretati dai due fratelli in modo sfavorevole per il ragazzo: nel momento in cui i due canticchiano a Matthew «Uno di noi! Uno di noi!» non è certo perché vogliono far capire all’amico la loro simpatia, ma al contrario l’hanno fatto diventare una cosa di loro proprietà, della quale possono fare ciò che vogliono, come successe poi a Cleopatra nel film “Freaks” di cui la frase fa il verso.

Il cinema è molto presente nel libro sottoforma di sciarade con le quali i ragazzi passano il tempo rintanati nell’appartamento; a questo proposito il film ha il pregio di poter rendere più comprensibili al pubblico i vari sketch inscenati dai ragazzi.

L’unico aspetto per cui valga la pena leggere il libro è, appunto, la rievocazione di grandi classici del cinema ormai caduti nel dimenticatoio, perché per il resto è solo un libricino che si legge una sola volta per curiosità e poi si riutilizza per pareggiare le gambe di un tavolo dondolante.

3/10

lunedì 17 ottobre 2005

"Angelica alla corte del re" di Anne e Serge Golon



Trama: prostrata dalle avversità, ma fedele al suo sogno di fama e ricchezza, Angelica è risalita con coraggio dall'abisso di miseria e disperazione in cui era precipitata. Ora il suo sogno è di ritornare fiera e a testa alta a Versailles, mentre le sue ricchezze tornano ai fasti di un tempo grazie alla sua ben riuscita impresa che ha lo scopo di diffondere la cioccolata, bevanda ancora sconosciuta all’epoca in Francia (quarto volume della serie).

Proseguono le avventure di Angelica mentre cerca di cancellare il tragico passato per riuscire a farsi riaccettare nell’alta società di Luigi XIV.

Angelica riuscirà a ritornare a corte sorprendendo tutti con il suo nuovo impiego come cioccolataia di gran classe, ma approderà a Versailles solo nelle ultime quattro pagine del romanzo e solo grazie a degli sleali stratagemmi, primo su tutti vendere il suo corpo ad alti funzionari del regno per avere agevolazioni sulle lunghe pratiche che occorrono per avviare il suo commercio di cioccolato.

Da questo punto di vista mi hanno sorpreso e deluso le svariate relazioni sessuali di Angelica, affrontate da quest’ultima e dagli stessi autori con leggerezza, quasi sia normale scendere a questi tipi di compromessi per fare carriera.

Angelica, al termine di ogni incontro con il funzionario di turno, raramente si pente pensando al marito scomparso o ai figli che l’aspettano a casa, anzi, non fa altro che ripetersi, imbellettandosi di cipria il naso davanti allo specchio, che “questo servirà a non far più vivere e penare nella fame e nella miseria i suoi figli”. Un pretesto poco credibile...

Tant’è che corromperà un suo squattrinato cugino, conosciuto molti anni prima, fino a far sì che quest’ultimo accetti di sposarla; questo, infatti, è l’unico modo per Angelica di far ritorno a Versailles a testa alta, dato che appena sposato il cugino essa prenderà l’importante cognome del marito e sarà una buona carta da giocare per essere considerata di nuovo una delle dame più in vista a corte.

Nel frattempo il fantasma di Goffredo fa ritorno sulla scena: varie confidenze permettono ad Angelica di sapere che la morte del marito molto probabilmente fu solo una farsa e che Goffredo si aggira nella dimora che essa è riuscita a riprendersi con il “giuoco” delle carte.

Ma cosa penserà Goffredo, se le rivelazioni sulla sua morte si confermino essere vere, quando verrà a conoscenza dei metodi poco ortodossi della moglie per rifarsi un nome a corte?

Angelica quindi si è rivelata essere una persona estremamente ambiziosa, venale, incurante delle conseguenze pur di raggiungere gli obiettivi prefissatisi e attratta dal sesso in maniera fin troppo eccessiva.

Ma non vedo l’ora di sapere come andranno a finire le sue avventure.

7/10

Recensione "Cime tempestose" di Emily Brontë


Considerato uno dei capolavori dell’Ottocento, il primo e unico romanzo scritto da Emily Brontë presenta certamente elementi innovativi a livello strutturale e stilistico: narrare una storia di odio e rancore portato addosso per decenni, violenza sia psicologica che fisica, è stato inusuale farlo alla metà dell’Ottocento quando i canoni romanzeschi erano tutt’altri e non così scandalosi; inoltre va considerato il bizzarro metodo di narrazione della vicenda dove l’unico narratore in prima persona è la governante Nelly che racconta all’ospite Lockwood la storia delle due famiglie farcendo le sue dirette conoscenze con altri racconti che a loro volta le erano stati riferiti da altri personaggi; non c’è quindi un narratore onnisciente e in questo modo non sapremo mai cosa ha fatto Heathcliff nei suoi tre anni di assenza da “Cime tempestose” e che cosa invece fece Isabel una volta rifugiatasi a Londra.

Ma l’amore che va al di là della morte tanto decantato dai critici non mi è parso poi così evidente.

Cathy è a tutti gli effetti una malata mentale che, come il suo amato (?) Heathcliff, trova sollievo nel tormentare gli altri rendendogli la vita il meno possibile sopportabile facendo uso dei suoi piagnistei, della sua civetteria e della sua ben celata cattiveria.

Heathcliff è un sadico che prova soddisfazione e piacere solo nel vedere gli altri soggiogati a lui e nel maltrattarli fisicamente e, soprattutto, psicologicamente.

L’amore fra questi due personaggi non è certo l’amore da fiaba o da romanzo sentimentale, è al contrario un sentimento talmente viscerale e impulsivo che da l’impressione di essere più che altro un istinto animale.

Anche l’amore tra i due giovani Cathy e Hareton, che fa da seguito a quello dei rispettivi genitori dalla metà del libro in poi, non credo si possa considerare amore vero: Cathy, figlia di Catherine e per questo detentrice di non lodevoli sentimenti (basti pensare al continuo disobbedire alle regole paterne per poi correre al capezzale del padre in cerca di perdono quando ormai l’irreparabile è accaduto), cerca un contatto con il cugino solo dopo aver saputo da quest’ultimo del suo struggente amore per lei, quasi come divertimento e diversivo alle noiose giornate dalle quali non può sfuggire per volere del suocero, mentre fino a quel momento aveva disprezzato il cugino perché cresciuto come un contadino e per di più analfabeta.

L’unico personaggio a provare un sentimento profondo e privo di secondi fini sembra essere Hareton, innamoratosi di Cathy fin dal loro primo casuale incontro e sempre pronto a far di tutto, come imparare a leggere e ad estirpare senza pietà le aiuole preferite dall’anziano Joseph, per attirare l’attenzione della cugina.

I personaggi secondari non sono privi di lati negativi: Linton è il vizio per antonomasia con le sue lagne, la sua aria indolente e fiacca, riesce solo a smuovere nel lettore una sorta di pietà quando si ammala gravemente a tutti gli effetti; Lockwood è un codardo che al termine del racconto di Nelly scappa a gambe levate da la “Grange” deciso a “non passare lì un altro inverno nemmeno se lo pagassero”; il fanatico religioso Joseph; il lattaio complice di Cathy e Linton; Edgar che da piccolo era un perfetto bambino viziato come la sorella Isabel; Hindley lasciatosi assuefare dal gioco d’azzardo, dallo sperpero e dal vizio del bere; TUTTI rappresentano il male nelle sue svariate sfaccettature, chi in lieve misura, chi meno, ma tutti legati comunque al mondo degli inferi.

L’unico personaggio a salvarsi è forse la governante Nelly che per tutto il corso della vicenda cerca di fare da intermediaria fra questi personaggi corrotti.

Sono interessanti le metafore e le figure ricorrenti nel romanzo di cui è riportata una analisi nell’appendice del libro (ed. Sperling Paperback, 2001).

E come scrisse un famoso critico: "È impossibile cominciare questo romanzo e non finirlo, e quasi altrettanto impossibile non parlarne dopo averlo letto”.

8/10

domenica 16 ottobre 2005

Delicatessen



“Delicatessen - Delicatessen” di Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet (Francia, 1990)

Trama: Francia, tempo imprecisato. In un palazzo semidistrutto arriva l’ex pagliaccio Louison che si propone come tuttofare dello stabile; il macellaio, una sorta di despota che regna incontrastato sugli inquilini, accetta la proposta anche per far contenti i condomini che non mangiano carne da settimane…

Surreale a grottesco il primo lungometraggio di Jeunet e Caro, la cui ambientazione stenta ad essere riconosciuta per gli scarni riferimenti spaziali: ci troviamo in Francia solo perché i protagonisti hanno nomi francesi e parlano francese; indossano abiti e portano acconciature stile anni ’50, il mobilio degli appartamenti è consono a quel periodo ma le continue allusioni a “quello che succede in città” e ad una carestia che decima la popolazione anche in campagna non sembrano riportare direttamente al dopoguerra, molto probabilmente ci troviamo in un futuro prossimo.

Gli abitanti di questo palazzo in sfacelo, forse vittima di bombardamenti, sono divisi in due gruppi: i carnivori che risiedono negli appartamenti, e i vegetariani costretti a sopravvivere nascondendosi nelle fognature che si snodano sotto l’edificio.

I carnivori, aiutati da Clapet il macellaio che gestisce l’immobile e la macelleria annessa chiamata “Delicatessen”, esultano all’arrivo di un nuovo inquilino: la carne che da alcune settimane tutti aspettavano con bramosia, finalmente è lì a portata di mano, non importa se ci si debba votare al cannibalismo pur di riempire lo stomaco vuoto.

I vegetariani intanto preparano un attacco contro il macellaio, che già aveva fatto sparire uno di loro durante un attentato non andato a buon fine.

L’inizio del film è irreale quanto il suo seguito: durante un amplesso tra il macellaio e la sua perfida compagna ci vengono presentati tutti gli abitanti del palazzo mentre sbrigano le faccende di casa, suonano il violoncello, gonfiano la gomma di una bicicletta, ecc., e che concorrono ad aumentare con i loro rumori l’infernale fracasso dell’incontro carnale tra i due e a trasformarlo in musica.

Al suo arrivo Louison conosce Julie, la figlia del macellaio, già a conoscenza delle intenzioni barbare del padre nei confronti del nuovo arrivato.

Fra i due “giovani” si instaura una dolce amicizia che metterà a repentaglio i piani di Clapet, che si vede momentaneamente costretto a “servirsi” di carne da un altro inquilino: la povera vecchietta che passa le sue giornate a lavorare a maglia e che verrà pianta da tutti gli abitanti il giorno dopo l’omicidio quando ognuno ritirerà la sua razione di cibo in macelleria, razione amorevolmente avvolta in un cartoccio che sarà vezzeggiato e accarezzato al ricordo della sfortunata nonnina.

Clapet però prosegue nel suo obiettivo mentre Julie si vendica del padre recandosi dai “Trogloditi” (i vegetariani nascosti nelle fogne) e chiedendo loro di sbarazzarsi del padre in cambio di mais.

Il piano di Clapet sfuma quando scopre, seguito dagli inferociti inquilini, che Julie e Louison sono aiutati dai vegetariani e che saranno loro ad avere la meglio.

Bizzarra la scenografia completamente ricostruita in studio, i cui esterni sono sempre girati con poca luce quasi a indicare una notte che non ha fine, la luce calda del sole si intravede solo dalle finestre dell’appartamento di Julie l’unica inquilina che tenterà di porre fine alle usanze selvagge che dominano tutti gli altri abitanti e che verranno letteralmente spazzati via da un’ondata d’acqua scaturita dalle tubature rotte.

Mentre il lieto fine e l’amore trionfano, un’alba tenue e impalpabile sorge sul tetto del palazzo dal quale Julie e Louison vedono un futuro insieme senza più violenza.

I colori caldi e soffocanti impregnano la pellicola, caratteristica che sarà ripresa in parte in una delle successive opere di Jeunet: “Il favoloso mondo di Amèlie”.

L’idea di fondo è molto interessante, ma il film a tratti è noioso e l’unica nota comica è la presentazione di uno strano oggetto fatta da uno degli abitanti: il “rilevatore di stronzate”, oggetto che però non è riuscito a rilevare anche questa stronzata di film.

6/10

sabato 15 ottobre 2005

"Cime tempestose" di Emily Brontë


Trama: (attenzione spoiler! Se non volete sapere come finisce il romanzo, non leggete la trama qui di seguito!) Heathcliff, figlio di ignoti, viene allevato dalla famiglia Earnshaw nella loro tenuta, che prende il nome di “Cime tempestose”, in cui fa la conoscenza dei suoi fratellastri Hindley e Catherine.

Alla morte dei genitori adottivi, Hindley, da sempre in rivalità con Heathcliff, trova il modo per allontanare quest’ultimo dalla sorella che nel frattempo ha instaurato con il fratellastro una sorta di relazione amorosa.

Heathcliff, vistosi allontanato dalla famiglia e degradato a semplice manovale della fattoria, decide di fuggire nel momento in cui si rende anche conto che il matrimonio tanto sognato con Catherine non potrà mai avere luogo data l’affettuosa amicizia che nel frattempo è nata tra lei e il loro vicino di casa, Edgar Linton, che minaccia, inoltre, di tramutarsi in qualcosa di più serio.

Tornato a “Cime tempestose” dopo tre anni, Heathcliff trova Catherine sposata (non proprio felicemente…) a Edgar Linton.

Heathcliff per vendicarsi dei torti subiti durante l’adolescenza, riesce a ricattare Hindley, che nel frattempo, rimasto vedovo e con un bambino a carico, si è ridotto sul lastrico e alcolizzato, e a prendersi gioco della famiglia Linton, colpevole di avergli rubato l’amata Catherine, sposando con un tranello la giovane sorella di Edgar, Isabel, e trattandola brutalmente.

La rabbia di Heathcliff si scatena anche contro Hareton, il figlio di Hindley, ormai ridotto in suo potere.

Catherine, soggetta a frequenti crisi isteriche e stati di depressione, da alla luce, prima di morire, una bambina, alla quale viene dato lo stesso nome della madre.

La piccola Cathy viene cresciuta dal padre e dalla governante e tenuta “segregata” a la “Grange”, la proprietà dei Linton, per paura che possa incappare in qualche abitante di “Cime tempestose” ed essere diabolicamente circuita da Heatchliff.

Il terrificante timore di Edgar, nonostante le continue premure e divieti nei confronti della figlia di allontanarsi dalla tenuta, si avvera: durante una passeggiata Cathy, ormai divenuta una ragazzina, riesce ad allontanarsi dalla proprietà e fa la conoscenza del cugino Hareton (rimasto nel frattempo orfano dopo la morte del padre) e dello zio Heathcliff.

Al suo ritorno a casa viene giustamente punita e messa sotto sorveglianza dalla carceraria governante.

Gli anni passano e la morte di Isabel, scappata da “Cime tempestose” qualche mese prima della nascita di Cathy, fa sì che la ragazzina conosca Linton, il cugino nato dal matrimonio tra Isabel e Heathcliff: un ragazzino noioso, petulante, malaticcio, viziato e CAROGNA.

Ma l’amicizia tra i due è breve perché Heathcliff, scopertosi in lui un tenero (???) sentimento paterno, rivendica i suoi diritti di padre e trascina l’odioso primogenito a “Cime tempestose”.

Le tetre e solitarie giornate di Cathy riprendono il loro normale percorso ma, senza che nessuno se ne accorga, riesce ad allacciare un rapporto sentimentale ed epistolare con il “delicato” cugino.

Linton, condizionato dal perfido padre, convince Cathy a sposarlo dopo aver assecondato il genitore nel rapire e tenere segregate per una settimana a “Cime tempestose” sia la ormai promessa sposa che la sua governante.

Le intenzioni del cugino sono ormai chiare: sposare Cathy significa, per una serie di fortunate casualità, ereditare TUTTO il suo patrimonio.

Cathy è costretta a trasferirsi nella funesta dimora del marito e a dare l’estremo saluto al padre gravemente malato.

Ma ben presto anche il tisico cugino abbandona la scena: causa un attacco di pleurite il giovane finalmente muore soffocato.

La vedova Cathy viene però costretta a rimanere a “Cime tempestose” nonostante i desideri del suocero si siano avverati: possedere cioè, sia la tenuta degli Ernshaw, conquistata per diritto dopo la morte di Hindley, che la proprietà dei Linton cedutagli, come da testamento, da suo figlio prima della morte.

Cathy non si addolora molto e alla rivelazione di Hareton del suo amore per lei, soggioga il ragazzo con le sue capacità seduttive, mentre Heathcliff, nonostante le conquiste fatte, si spegne lentamente nel suo stesso odio.

Alla morte di Heathcliff, Cathy e Hareton possono vivere felicemente insieme a la “Grange” e lasciare “Cime tempestose” agli spiriti di Catherine e Heathcliff finalmente ritrovatisi nel mondo dei morti.

mercoledì 12 ottobre 2005

Ladra



“Ladra” di Sarah Waters

Trama: Londra, 1862. Il destino di due orfane cresciute a poche miglia di distanza in ambienti sociali molto diversi si incrocia in modo del tutto casuale. A Sue Trinder, orfanella figlia di un'assassina, cresciuta felicemente tra ladri e piccoli delinquenti del West End di Londra, viene offerta una chance: guadagnare duemila sterline in un colpo solo. Il suo compito sarebbe di farsi assumere come cameriera da Maud Lilly, una signorina ricca e ingenua. Con l'aiuto di Sue, il bieco ideatore del complotto dovrebbe sedurre la vittima per sposarla e impossessarsi del suo patrimonio. Naturalmente a nozze avvenute il piano proseguirebbe con l'eliminazione della giovane...

Le protagoniste di questo romanzo ambientato nella Londra di fine Ottocento sono due giovani orfane: Sue, cresciuta tra delinquenti, e Maud che vive in una villa in campagna con uno zio non del tutto sano di mente.

Dopo una sorta di prologo il romanzo prende il via nel momento in cui Sue accetta di partecipare a un crudele piano ai danni di Maud per impossessarsi del suo ingente patrimonio che erediterà al compimento dei diciotto anni.

La principale caratteristica di questo romanzo è lo stile di narrazione usato dalla scrittrice: frasi brevi, la pedante ricerca di particolari nelle descrizioni e il cambio di punto di vista nella seconda parte che potrebbe lasciare dubbioso il lettore dato che, ad una prima lettura non è chiaro chi delle due ragazze stia raccontando la vicenda: Sue oppure la fiacca Maud?

La lunga serie di colpi di scena doveva essere il punto forte di tutto il romanzo, così come la relazione saffica fra le due adolescenti. Al contrario ho trovato che alcuni colpi di scena fossero stati eccessivamente voluti dalla scrittrice, al punto da renderli troppo fittizi (ad esempio la fuga di Sue dal manicomio, luogo costantemente sorvegliato da una enorme quantità di infermiere molto simili a Robo-cop, dove per aprire e chiudere quattrocentocinquantasette porte era necessaria una sola chiave. Già, perché TUTTE le porte avevano la stessa identica serratura… inutile dire che la impavida Sue riesce, senza neanche troppi sforzi, a fuggire dal manicomio) e che la relazione amorosa fra le due è talmente poco più che accennata che le scene di erotismo saffico di cui si parla in seconda di copertina ho faticato a trovarle.

Naturalmente gli autori a cui la Waters si ispira sono Charles Dickens, Wilkie Collins e Hardy. Non aggiungo altro. Perché? Perché è logico che il più del lavoro è stato fatto da Dickens e compagni.

Aspetto di leggere tradotto in italiano “Tipping the velvet”, il romanzo con cui ha esordito la Waters e che qui in Italia è reperibile solo in lingua originale, chissà che non cambi idea su questa scrittrice definita «uno dei migliori narratori della scena contemporanea».

Almeno ringrazio Dickens & Co. per non avermi fatto addormentare già a pagina 70.

5½/10

martedì 11 ottobre 2005

"Angelica la marchesa degli angeli" di Anne e Serge Golon


Trama: figlia di un nobile decaduto del Poitou, Angelica, ancora adolescente, è costretta per volere del padre a sposare Goffredo di Peyrac, un misterioso e deforme nobile di Tolosa che fra il popolo non ha certo fama di gentiluomo. Ma, sfigurato e zoppo, Goffredo è in realtà un uomo di scienza, dall'animo generoso e nobile, che saprà conquistare il cuore di Angelica.

Ho scoperto per caso la serie di romanzi incentrati sulla figura di Angelica, personaggio creato dai coniugi Golon che, attraverso le avvincenti peripezie di questa bella eroina, hanno trovato anche il pretesto per raccontare a noi lettori l’intera storia della Francia durante il regno di Luigi XIV.

Premetto che “Storia” non era una delle mie materie preferite, di conseguenza ho avuto non poche difficoltà nel seguire adeguatamente tutti gli eventi storici, e non sono in grado, quindi, di confermare appieno gli elogi letti in svariati articoli sulla ricostruzione storica di questa serie.

Ma ho notato che i particolari sugli usi e costumi dell’epoca sono molto puntigliosi ed è stato curioso e piacevole venirne a conoscenza.

Ma avrei preferito che il tenebroso personaggio di Goffredo non sparisse così presto dalle scene a causa della sua condanna in stregoneria, almeno in questo modo ci sarebbero stati risparmiati i tediosi capitoli incentrati sul suo processo, interessanti sì ma terribilmente lunghi…

Comunque seguire Angelica durante le sue avventure è molto coinvolgente ed è fondamentale per capire l’evolversi della storia nei romanzi che compongono l’intera saga (più di venti!) in cui si ritroveranno molti dei personaggi incontrati in questo primo romanzo.

Credo che un altro elemento che rende così piacevole la lettura di questo romanzo sia la capacità dei Golon di aver creato una saga che racchiude in se caratteristiche del romanzo classico (“Moll Flanders” e “Fanny Hill” ad esempio) e moderno, in particolar modo nella figura della stessa Angelica, che potrebbe benissimo essere un’eroina del XX secolo.

Noi e loro

Terzo volume che racconta le vicende della versione rivisitata e corretta della vera famiglia della stessa autrice. Questa volta la storia è raccontata dalla figlia quattordicenne che trova che “tutto è uno schifo” ed è alle prese con l’adolescenza e con tutto ciò che ne comporta (primi fidanzatini, musi lunghi, la scuola che ormai non si sopporta più, il rapporto conflittuale con i fratelli più grandi e con i genitori che rompono, gli screzi con l’amica del cuore, ecc…).

Al contrario di “Io e loro. Cronache di un marito” questo volume è proprio fastidioso.

Anche se nel leggere alcune pagine ho sorriso e ridacchiato, questo libro l’ho trovato eccessivamente pomposo e mi riferisco all’enorme quantità di parole sprecate nel raccontare candidamente le vicissitudini di quella che si cerca di far passare per una famiglia di umile estrazione sociale (il libro uscì nel 1965), quando invece è subito ben chiaro che in quegli anni non tutti si potevano permettere una macchina, una casa per le vacanze, l’iscrizione dei figli al liceo più prestigioso della città, due (e sottolineo DUE) bagni e due telefoni in casa, ecc…

Per questa famiglia è tutto “rose e fiori”, tutti si vogliono bene e il continuo elogiarsi l’uno con l’altro dei protagonisti mi ha molto infastidito; capisco che questo libro in teoria dovrebbe essere frutto di una ragazzina e che l’esagerato amore che sprizza da ogni pagina è voluto dalla stessa autrice (o almeno spero…), ma mentre leggevo questo testo ho odiato dal profondo del cuore TUTTI i personaggi, gatti compresi.

Però, cosa insolita, trovo sempre soddifazione a cercare e leggere i libri della Brunella, indipendentemente dal mio parere finale che, come in questo caso, può anche essere negativo.

4/10

lunedì 10 ottobre 2005

"Angelica alla corte dei miracoli" di Anne e Serge Golon



Trama: dopo aver perduto l’amato marito, accusato ingiustamente di stregoneria, Angelica è costretta a vivere nei bassifondi di Parigi, dopo aver cercato inutilmente aiuto dalla sorella ormai benestante. Angelica, tuttavia, riuscirà a risollevarsi dalle sue disgrazie aiutata dal feroce capo dei “pitocchi” parigini, suo amico d’infanzia scappato dalla campagna in cerca di fortuna, con il quale avrà una fuggevole storia d’amore. Questo è il terzo volume della serie (in base all’edizione Tea Due).

Questo terzo volume della saga non l’ho trovato molto avvincente, è più che altro un capitolo della storia che fa da spartiacque tra quella che era una vita assolutamente da sogno e un’esistenza priva di tutto ciò che Angelica era riuscita a crearsi intorno; è quindi una sorta di capitolo di passaggio per arrivare al trionfale ritorno di Angelica nell’alta società .

Si legge molto velocemente ma in alcuni punti l’ho trovato noioso anche se alcune scene e descrizioni di lotte e ambienti putridi, spargimenti di sangue, presentazione degli orridi compagni di Angelica e altro, sono molto convincenti e mi hanno molto impressionata.

Va notato che la trama riportata in quarta di copertina è parzialmente errata e che sono presenti svariati errori ortografici nel testo; questi lati negativi (già riscontrati in altri volumi della saga) sono però ricompensati dalle bellissime copertine che danno un tocco molto femminile e raffinato alle vicende di Angelica.

5/10

domenica 9 ottobre 2005

Le ricamatrici



“Le ricamatrici - Brodeuses” di Eléonore
Faucher (Francia,
2004)

Trama: Claire ha da poco finito gli studi superiori, vive sola in un piccolo paese dove si mantiene lavorando in un supermercato e trascorrendo il tempo libero ricamando. Insospettita dal repentino cambiamento del suo corpo, durante una visita medica ha la certezza di aspettare un bambino. Decisa a partorire in segreto dalla sua famiglia e lontano dal suo paese, trova rifugio dalla Signora Mélikian, ricamatrice che manda avanti con difficoltà un piccolo laboratorio dopo la perdita improvvisa del suo unico figlio morto tragicamente in un incidente. Ricamo dopo ricamo le due donne impareranno a volersi bene e a trovare l’una nell’altra ciò di cui hanno bisogno: la presenza materna la prima e un figlio d’accudire la seconda.

Già dalle prime immagini si nota la solitudine di Claire: sola mentre raccoglie dei cavoli in un campo sconfinato e in salita, in sella ad un motorino sotto la pioggia, nel suo piccolo monolocale dove trascorre le giornate di solitudine rischiarate soltanto dalla passione per il ricamo; non ha amici e Lucile, l’unica ragazza che le era vicina, si è dovuta trasferire a Lione con la famiglia.

E’ proprio a questa lontana amica che confida le sue ansie tramite lettere che le due si scambiano; l’amica però non sembra prendere sul serio, o comunque con il dovuto tatto, la gravidanza di Claire, sembra piuttosto essere incuriosita solamente dallo strano evento e da ciò che lo ha generato, tant’è che le due, durante un fine settimana che l’amica trascorrerà nel paese natio, non sembrano dimostrare l’una verso l’altra un solidale rapporto di amicizia.

La famiglia di Claire vive in un paese vicino, ma non viene spiegato il motivo del distaccamento; la figura paterna è inesistente anche se se ne parla vagamente durante una telefonata tra madre e figlia; l’unica persona veramente presente nella vita di Claire è il fratellino che scappa da lei ogni qualvolta a casa i litigi tra i genitori scoppiano in discussioni furibonde.

Anche il ragazzo con cui Claire ha avuto una breve storia d’amore, suo collega di lavoro al supermercato, nel momento in cui scopre di averla messa incinta si eclissa facendole notare di essere già impegnato e di avere già una famiglia a cui badare.

L’unica soluzione che la ragazza trova è di partorire in anonimato lontana da casa e per giustificare l’improvviso aumento di peso da ingenuamente colpa al cortisone che sta assumendo perché malata di tumore, senza preoccuparsi delle conseguenze e delle malelingue del paese.

Spinta dalla frottola raccontata ai colleghi del supermercato, decide di trovarsi un altro lavoro dove nessuno potrà accorgersi della gravidanza: aiutata dalla madre di Lucile riesce a farsi assumere momentaneamente nel piccolo laboratorio della Signora Mélikian, madre di un amico di Guillaume, fratello di Lucile, morto qualche mese prima in un tragico incidente dal quale Guillaume si è salvato.

La donna, ancora provata per la perdita del figlio, dopo l’iniziale diffidenza trova in Claire un aiuto sia lavorativo che psicologico, e Claire riversa su di lei le paure per la gravidanza identificandola con la madre con la quale non ha più quasi rapporti.

Ma l’interesse di Claire per questa donna ha originariamente un secondo fine: quando la Signora Mélikian tenta inutilmente il suicidio, Claire facendole visita in ospedale le dice che l’ha salvata solo perché ha bisogno di un lavoro e di un posto dove nascondersi fino al termine della gravidanza; successivamente Claire si affezionerà alla donna, e quest’ultima a lei, e il loro rapporto si trasformerà in amicizia e in reciproco rispetto, ma va in ogni caso notato l’iniziale obiettivo di Claire.

La madre di Claire cerca la ragazza solo per sapere se stia bene e per accertarsi che abbia almeno un lavoro, dopo che le voci di paese le hanno confermato che Claire ha lasciato il posto come cassiera al supermercato.

La ragazza dopo un primo imbarazzo mostra alla madre il ventre ingrossato e per tutta risposta riceve solo un «Beh, che c’è?!?», capisce però che la madre già aveva intuito quello che la figlia stava nascondendo alla famiglia.

Claire, rassicurata sotto quel punto di vista, prosegue le sue giornate nel laboratorio della Signora Mélikian e approfondisce l’amicizia con Guillaume dopo che questo le aveva fatto capire di essere interessato a lei.

Guillaume però sembra avere lo stesso interesse che aveva Lucile per Claire: curiosità, attrazione per il “diverso” e forse anche una punta di trasgressione nell’interessarsi sentimentalmente ad una ragazza che porta in grembo il figlio di un altro uomo.

Durante una festa in onore di Lucile, per la sua ammissione all’Università, i due giovani si baciano e Claire, spinta dall’insistenza di Guillaume che “deve partire dopo due giorni”, si concede al ragazzo fra i canneti del lago che circonda la casa dei due fratelli, proprio come, in una notte di qualche giorno prima, aveva sognato.

I sogni di Claire, ripresi con colori sui quali predomina il blu, dividono in tre capitoli il film: la scoperta della gravidanza è associata alla visione onirica che vede madre e figlia sedute in un prato; la scelta che si insinua lentamente in lei di tenere il bambino è accompagnata da una sorta di sogno premonitore in cui Claire vede tre generazioni a confronto: in secondo piano la madre e in primo piano lei stessa che tiene fra le braccia il figlio che dovrà nascere. L’arrivo dell’amore nella sua vita invece è rappresentato in un altro sogno premonitore in cui la ragazza vede, appunto, Guillaume passeggiare in riva al lago che farà da sfondo alla loro notte d’amore.

Ora Claire è in pace con se stessa, ha accettato la gravidanza, ha trovato un lavoro fisso nel laboratorio, ha trovato un ragazzo che (forse) la ama e ha deciso di tenere con se il bambino aiutata dalla Signora Mélikian.

Ottima la scelta di non caricare troppo la storia con dialoghi insistenti e scontati, per lasciar invece libero spazio al suggestivo paesaggio agreste e alle scene in interni dove i gesti, gli sguardi, i primi piani delle due donne, è il caso di dirlo, valgono più di mille parole.

Le scene in cui Claire raccoglie cavoli nel campo dei genitori (forse metafora della nascita, associata alla favola che si racconta ai più piccoli in cui si dice che sotto ogni cavolo nasce un bambino) sono molto simili ad una scena di “Tess”, film diretto da Roman Polansky, in cui Tess passeggia per i campi mentre nuvole scure tuonanti si avvicinano dall’orizzonte cariche di pioggia.

Molto bella la fotografia e gli scenografici ricami fatti dalle due donne durante il corso del film che seguono pari passo l’evolversi del rapporto tra le due e delle loro vite.

Il ricamo è infatti strettamente legato alla storia, nel momento in cui il lavoro su commissione è completato Il film termina con il lieto fine.

8/10

L'isola dei delfini blu



“L’isola dei delfini blu” di Scott O’Dell
Trama: Karana è una bambina rimasta sola sull'isola che il suo popolo ha dovuto abbandonare. Nella speranza che un veliero tornerà a prenderla dovrà imparare a difendersi, a sopravvivere, a sperare, in una parola a crescere.

Ho letto per la prima volta questo libro durante i primi anni della scuola elementare come compito dato dalla maestra.
Ricordo ancora adesso il dispiacere che provai nel leggere della morte del fedele cane di Karana, i poetici sentimenti suscitati da brani che narrano l’amicizia col delfino ferito, e la paura nel leggere l’episodio della scoperta della grotta abitata dagli spiriti degli antenati.
Sensazioni che ho provato nel leggere tutto questo anche a distanza di quasi sedici anni.
Questo romanzo per bambini è una di quelle opere che non perde capacità di affascinare il lettore (grande o piccolo che sia).
Se non fosse stato per questo libro non avrei mai iniziato ad amare la letteratura e a leggere assiduamente.

9/10