martedì 30 marzo 2010

Smaltire gli arretrati

Gli ultimi film visti nel 2009 (era ora, visto che fra poco è Pasqua... del 2010).

Il giardino di limoni (Lemon tree)

Eran Riklis, 2008

Due donne diversissime per estrazione sociale e soprattutto per nazionalità - una, vedova palestinese, vive del solo sostentamento della sua piantagione di alberi di limoni; l’altra è la moglie del Ministro della Difesa israeliano sempre indaffarata ad organizzare cene e feste lussuose - finiranno per sentirsi empaticamente vicine quando la prima sceglie di andare contro la politica, il potere e i soprusi per evitare che i suoi alberi vengano recisi per decisione del Ministro di cui sopra.

La situazione, già spinosa così, si complicherà ulteriormente quando la vedova inizierà una relazione dai toni melò con l’avvocato che la aiuta nella battaglia.

Alla fine del film non ci sono vincitori, gli uomini (l’avvocato e il ministro) piegano il loro volere alle convenzioni imposte dalla società, al successo e al denaro; le donne, dopo tante giuste lotte, finiscono per essere anche loro vittime dello stesso sistema rimanendo sole come e forse più di prima.

Non c’è proprio pace.

7/10

District 9

Neil Blomkamp, 2009

Gli alieni sono tra noi, vivono dagli anni ’80 a Johannesburg segregati nel Distretto 9 - una favelas, baraccopoli, campo di concentramento tra denutrizione, sporcizia, violenza e mafia aliena - ma ora è arrivato il momento di cacciarli.

Un ricercatore dal cervello un po’ pompato dall’ego finisce per diventare suo malgrado il paladino della rivendicazione dei diritti di quegli alieni maltrattati, e il film diventa così una retorica denuncia nei confronti del razzismo ai danni degli immigrati (impersonificati appunto con gli extra-terrestri) e un’accozzaglia di effetti speciali con sbudellamenti e sparatorie a brucia pelo.

I due generi - etico e fantascientifico - in questo caso non vanno molto d’accordo...

4/10

Woodstock - Tre giorni di pace, amore e musica (Woodstock)

Michael Wadleigh, 1970

Il 21 agosto del 1969 mezzo milione di giovani si riunirono nel terreno di una fattoria nelle vicinanze di Woodstock per celebrare sedici ore di pace, libertà, amore e musica.

Il documentario segue fin dai primi momenti organizzativi la creazione del Festival, dal lavoro dei tecnici e i manovali fino all’arrivo dei primi giovani da tutta America; quando il concerto inizia la folla continua ad arrivare fino ad intasare tutte le strade statali del circondario con conseguente fastidio degli abitanti del posto.

Tra le sequenze che ripropongono i cantanti e le band che si alternarono sul palco di Woodstock si può assistere anche alle paranoie di chi era affetto da sostanze stupefacenti, a Richie Havens senza denti, alla nascita di un paio di bambini, all’acquazzone che rese tutto una montagna di fango, a Joan Baez in attesa di suo figlio, ad interessantissime interviste fatte direttamente agli spettatori da cui emergono i loro intenti di partecipazione all’evento, a scene di vita quotidiana tra un bagno nel lago e la fila per un panino...

Alla fine il documentario si chiude con le decadenti immagini degli ultimi rimasti che vagano fra gli oggetti dimenticati tra poltiglie di rifiuti.

Tutto sommato non era esattamente così che mi sarei aspettata di vedere finire IL documentario per antonomasia su Woodstock, però restano i bellissimi ideali di una generazione votata alla pace, la loro musica e una tecnica di ripresa e montaggio in anticipo sui tempi: ci si trovano tantissimi spunti che verranno poi ripresi nell’arte di “fare video-clip” (come le immagini suddivise contemporaneamente in più riquadri).

9/10

Baarìa

Giuseppe Tornatore, 2009

L’ultimo film di Tornatore è un affresco sulla Sicilia degli ultimi cinquant’anni attraverso il racconto biografico di una famiglia di Bagheria.

Però ricordo con piacere solo i trailer visti in tv - dove la scelta di mostrare in sequenza immagini mute accompagnate solo dalla colonna sonora è stata azzeccatissima - e la stessa colonna sonora firmata da Ennio Morricone; perché purtroppo i 150 minuti di film mi sono sembrati una pubblicità patinata sparata in loop sulla Sicilia di altri tempi.

6/10

Twilight

Catherine Hardwicke, 2008

Eccolo pure nella mia lista di film visti nel 2009: “Twilight” non ha proprio bisogno di introduzioni, tutti sanno cos’è e di cosa parla e della sua relazione diretta con la saga scritta da Stephenie Meyer. Le connessioni però con il bel (sì, lo ri-ammetto) libro originale prendono però al cinema una piega un po’ ridicola, dalla recitazione troppo impostata e ammiccante, ai tagli e alle invenzioni di trama create appositamente, ai capelli di cemento alla Big Jim di Carlisle, alla scena della partita di baseball in cui agli attori era stato detto “Fate i fighi e credeteci! Ciaaaak!”, alla ridicolissima lotta tra James e Bella, ma soprattutto la cosa sorprendente è la totale mancanza di tensione emotiva in Edward che pure sta vivendo una situazione affettiva molto difficile e tentatrice.

Il film quindi è adatto a teen-ager in preda a turbe ormonali che potranno così trovare una “valvola di sfogo” in Robert Pattinson, per tutti gli altri che hanno amato il libro direi di lasciar perdere.

4/10

venerdì 5 marzo 2010

Isabel Allende | Wilson Tucker

Ritratto in seppia

Isabel Allende

Economica Feltrinelli, Feltrinelli, [regalo!]

Secondo capitolo della saga scritta non in ordine cronologico della famiglia del Valle e di tutti i suoi trisavoli e discendenti. La voce narrante è in questo episodio quella di Aurora del Valle, nipote di Paulina del Valle e cugina? zia? mmmh, non riesco a trovare il nesso di parentela... beh, imparentata con la chiaroveggente Clara del Valle de “La casa degli spiriti”.

Mi sono trovata rapita nella lettura per le prime 30 pagine, poi l’insofferenza ha preso piede praticamente fino alla fine del libro a causa di una sostanziale prolissità di argomenti affrontati (la guerra tra Cile e Perù prima, la Guerra del Pacifico poi, i dissapori famigliari, l’emancipazione femminile in contrapposizione a un bigottismo sia religioso che politico, la nascita della fotografia, le ultime scoperte mediche in Europa, il traffico di bambine nei quartieri cinesi del Cile, le passioni amorose...) e di uno stile di scrittura che ha perso di fascino, è banale e sbrigativo nell’introspezione psicologica, tara che tende così a far risultare la storia come un lungo resoconto famigliare senza troppo impegno e sentimento.

Ricordandomi poi della produzione letteraria passata della Allende (ad esempio: La casa degli spiriti, D’amore e ombra ed Eva luna), ho dovuto constatare a malincuore che i temi trattati ormai sono sempre gli stessi e che quindi sono VENTICINQUE ANNI che la Allende riprende, taglia, riattacca e sistema i soliti argomenti-personaggi-ambienti-fatti.

Adesso ho capito perché erano dieci anni che non seguivo più questa autrice...

5/10

Il lungo silenzio

Wilson Tucker

Fanucci, fuori catalogo da millenni - recuperato in biblioteca

Tanto per ricordarci costantemente che il 2012 è alle porte e che moriremo tutti, il libro che ho letto di recente sul genere apocalittico-nucleare narra dello sfortunato e imprudente caporale Russel Gary che, risvegliatosi da un coma etilico, scopre che durante le ore del suo letargo una parte d’America è stata bombardata con armi batteriologiche e messa in quarantena e che per lui fare ritorno dall’altra parte del Mississipi, dove la vita procede normalmente, sarà impresa decisamente ardua...

Certo non eccelso e suggestivo quanto “La strada” di McCarthy (capolavoro!), “Il lungo silenzio” supera comunque i limiti della narrativa degli anni ’50, ormai un po’ sorpassata dai tempi, e dipinge con grande visionarietà scenari di distruzione e desolazione molto forti e angoscianti. Risente un po’ però di fastidiosi stereotipi nel descrivere i personaggi dividendoli categoricamente in due gruppi, donne e uomini: le prime sono ninfomani tentatrici che vanno usate per soddisfare i più biechi istinti sessuali e poi abbandonate lungo la strada; i secondi incarnano invece il tipico super uomo che ne sa più del diavolo e che riesce a districarsi da qualsiasi tipo di situazione difficile, mentre le donne sono attaccate a idee materiali e senza furbizia.

Una distinzione così netta non mi è piaciuta, è falsata e mostra chiaramente come la caratterizzazione dei personaggi sia assai scarsa; sembra che per Tucker il mondo sia popolato solamente da marines senza scrupoli e da stupide pin-up...

Ad ogni modo ne consiglio la lettura per l’ultima parte del racconto quando l’impavido Russell Gary, stufo dell’isolamento imposto, decide che è ora di trovare un modo per attraversare il Mississipi e tornare a casa; qualcosa però va storto e il finale si avvicina molto a quello che scriverà McCarthy cinquant’anni dopo ne “La strada”, solo che qui speranza proprio non ce n’è e gli uomini sono abbandonati a loro stessi senza possibilità di coalizzarsi in gruppi per superare le difficoltà.

7½/10