domenica 29 aprile 2007

"Il diario intimo di Sally Mara" di Raymond Queneau

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Nel 1934 Sally Mara, è una diciottenne irlandese che tiene un diario in francese - in omaggio al suo professore madrelingua tornato in Francia. Con un candore un po’ sospetto e con effetti comici insuperabili, descrive l’ambiente in cui vive e le sue prime esperienze sessuali teorico-pratiche, presentandoci come normali le situazioni più grottesche e scabrose.

La maggior parte dei lettori che si avvicinano saltuariamente ad un libro, pensa che per far ridere il suddetto debba essere targato “Zelig” o simili; tuttavia potrebbe giovare di letture che da tempo appartengono al novero dei libri, comici sì, ma con intelligenza.
“Il diario intimo di Sally Mara” è uno di questi.
Pubblicato per la prima volta nel 1950 è ancora oggi un esempio di come si possa giocare con il linguaggio manipolandolo in modo da creare giochi di parole, doppi sensi, ecc… esperimenti linguistici che derivano dal laboratorio Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle), di cui Queneau è stato uno dei membri fondatori, e che aveva lo scopo di scovare tutte le potenzialità dei vocaboli e del lessico.
Questo piccolo romanzo è caratterizzato infatti da questi giochi linguistici, resi ancora più marcati dalla difficoltà di Sally di destreggiarsi liberamente tra i termini francesi; le conseguenze comiche e surreali che scaturiscono dagli strafalcioni di Sally sono il centro dell’intero racconto, oltre ai personaggi che le ruotano attorno, così sopra le righe da essere irreali: un fratello ubriacone, una sorella minore più disinibita ed esperta della maggiore Sally, la domestica, gli amici, gli insegnati.
La stessa protagonista non è da meno, con la sua ingenuità talmente bambinesca che contrasta con la sua figura di adolescente prossima alla maturità definitiva.
Capita così di leggere nel suo diario considerazioni come la seguente - che forse è poi quella citata più spesso ad esempio della comicità del libro:

“3 agosto
Osservato l’arnese di un asino. E’ straordinario; ma a cosa può mai servirgli? Certo, non a schiacciare le nocciole. E’ risaputo che questo animale non ha particolari capacità. Non è come il castoro che fa le dighe con la coda.”.

Ironia involontaria, spesso a carattere sessuale dato che la giovane Sally sta “diventando grande”, e ilarità generale sono gli ingredienti di questo libro. Raccontarne in maniera più approfondita la trama e i risvolti psicologici sprecherebbe l’effetto sorpresa delle avventure di questa signorina degli anni ’30, che ad un certo punto si tingono di giallo senza perdere mai quella comicità raffinata anche nelle battute che potrebbero sembrare - per i bacchettoni - davvero sboccate.
Consigliato a chi si vuole avvicinare alla letteratura di Queneau senza iniziare dal più impegnativo “Esercizi di stile”.
In fondo “Il diario intimo di Sally Mara” è a pieno diritto una costola del sopraccitato libro.

9/10

“Il diario intimo di Sally Mara”
Raymond Queneau
Universale Economica Feltrinelli, Feltrinelli, 6.50 €

giovedì 26 aprile 2007

"Mio fratello è figlio unico" di Daniele Luchetti (2007) e "Sunshine" di Danny Boyle (2007)

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“Mio fratello è figlio unico”: tratto dal romanzo “Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi” di Antonio Pennacchi, il film ripercorre quindici anni di una famiglia italiana, partendo dal 1961, quella dei coniugi Benassi: padre operaio, madre un po’ credulona e tre figli - due maschi e una femmina (Accio, Manrico e Violetta).
Saranno i figli ad essere al centro degli avvenimenti più importanti del periodo, con la lotta studentesca e quella operaia, i primi scioperi, le occupazioni, le manifestazioni pro e contro fascismo e comunismo.
Potrebbe così sembrare un film molto vicino a “La meglio gioventù”, dove è la storia ad entrare nelle vite dei protagonisti, ma è letteralmente il contrario.
In primo piano qui ci viene raccontata la vita di un gruppo di persone, nella quale la storia e la politica subentrano solo perché sono proprio i personaggi a deciderlo; sono loro, come Accio (Elio Germano), a muoversi da una parte all’altra della “barricata”, sia di destra o sinistra, che decidono di partecipare a una manifestazione oppure no.
Gli avvenimenti degli anni ’60-’70 ci vengono così raccontati esclusivamente attraverso lo sguardo dei personaggi; ne risulta quindi un film più vicino al genere di formazione, che a quello politico-sociale, dato che è Accio che ci racconta la sua vita e quella degli altri mettendo in primo piano soprattutto il suo punto di vista e la sua crescita.
E’ una storia semplice, delicata, sul rapporto tra genitori e figli, e tra fratelli. Non a caso il titolo richiama le difficoltà di rapportarsi tra fratelli e in particolare tra Manrico (Riccardo Scamarcio) e Accio, divisi fino nella fede politica e come lo possono essere un fratello minore che osserva il maggiore.
Con tono disincantato, a volte comico e un po’ “caciarone”, altre volte drammatico si arriva a un finale malinconico, commovente, su cui grava il colpo di scena della penultima sequenza.
E’ però un finale aperto, simile a quello de “I quattrocento colpi” di Truffaut, ma con la certezza che oltre il mare c’è una nuova fase della propria vita e non un solo unico ostacolo formato dalle onde che si ripetono.

Ottima interpretazione dell’intero cast, spicca il giovane Elio Germano preferibile per certi versi a Riccardo Scamarcio, che per l’occasione è rientrato nei panni dell’attore “per passione” abbandonando quelli dell’attore “per cache” di “Ho voglia di te” (mamma mia, non fatemelo ricordare…).
Particolare la colonna sonora in cui vi si trovano brani dell’epoca riarrangiati però appositamente; da ascoltare la nuova versione di “Ma che freddo fa” di Nada che chiude i titoli di coda al cui arrivo è scattato pure l’applauso, per la canzone, per il film, per tutto.
Questi sono film!!!

10/10

P. s.: non ho letto il libro, ma vedere il film mi ha fatto venire davvero voglia di approfondire l’originale, cosa strana per me che penso che il film sia il “capolinea” di un libro, dopo il quale non si può più tornare indietro.

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“Sunshine”: “Il sole sta morendo. E noi con lui” dice il protagonista del film, rinchiuso insieme ad altri compagni in un’astronave che ha il compito di trasportare letteralmente la salvezza della Terra e dell’umanità verso il sole.
Ma fino a che punto l’uomo può contrastare il corso dei tempi? Fino a che punto si può spingere modificando la natura?
Lo scontro tra scienza e religione è il tema celato dietro un’avventura fantascientifica pompata al massimo dalla computer grafica e così “vera” da essere angosciante: l’immensità dello spazio nero, dove l’astronave fluttua, è claustrofobica nella certezza di non sapere qual è il suo punto d’arrivo, dov’è la fine di quello sconfinato buio; gli ambienti asettici dove si muovono, costretti, gli otto astronauti ricordano molto le scenografie di “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick, poi ci sono il bianco accecante e stanze oscure dove enormi stantuffi assordanti si muovono e quasi respirano; situazioni che ricordano casa, la terra lontana, riprodotte virtualmente tramite un computer, sono il culmine della sterilità della vita che si svolge all’interno di quella macchina volante persa nel cosmo; e infine il sole, presenza costante e unica fonte vitale, non riprodotta, vicina agli astronauti, ma così abnorme e potente da far paura o, al contrario, da attirare irresistibilmente il suo sguardo mortale sugli uomini.
In una sequela di colpi di scena il film arriva ad assomigliare molto ai racconti di Frederic Brown, solo che non ci sono extraterrestri; gli alieni sono gli uomini che cercano di ragionare seguendo la fede in Dio, fino alla pazzia.
Non viene però dato un giudizio vero e proprio sull’argomento, anche se il finale è molto d’aiuto in questo senso.
Al di là del messaggio, lasciato con un incognita, che potrebbe apparire come una questione secondaria dell’intero film, la parte puramente di fantascienza inquieta fino alla fine lo spettatore, lo schiaccia, e la colonna sonora, priva di melodie, ne è d’aiuto.
C’è però un’attenzione allo splatter nella sequenza cruciale del film a mio parere un po’ fuori luogo, ma si sa che Danny Boyle è propenso per questo genere, e già ce ne aveva dato prova in “28 giorni dopo” [di cui consiglio la visione].
In fine, Kubrick ritorna in un omaggio allo stesso film sopraccitato anche poco prima dell’arrivo dei titoli di coda e, aggiungo, di stare attenti a certi bisturi rotanti: saranno molto d’aiuto per capire lo svolgersi della vicenda.

8/10

domenica 22 aprile 2007

Film e libro a confronto: "Canone inverso"


Consigliatomi da tanti, il libro di Paolo Maurensig racchiude effettivamente una bellissima storia il cui stile evoca spesso l’onirico, il fantastico, ed è strutturata attraverso frequenti e dottissimi riferimenti musicali.
Le vite dei due protagonisti maschili sono infatti strettamente legate alla musica e il tema melodico detto “canone inverso” segna e condiziona, fin dal loro primo incontro, i giovani fino a un inaspettato finale.
La storia ha il suo picco nei capitoli in cui viene raccontato l’incontro dei due nel Collegio Musicum, durissimo conservatorio austriaco per giovani eletti aspiranti musici di successo; in un ambiente militaresco e monacale - due caratteristiche che fanno a pugni ma che danno bene l’idea di come vivessero gli studenti lì quasi reclusi - Jeno e Kuno scoprono la sublime essenza della musica e la vera amicizia.
Ma il “canone inverso” che li lega è destinato a riprendere il suo corso a ritroso e la loro amicizia sarà costretta a dei bruschi cambiamenti…
Una storia così complessa e ricca di spunti psicologici non poteva che essere oggetto di una trasposizione cinematografica, tuttavia ne esce completamente martoriata e trasformata in un qualcosa solo lontanamente fedele all’originale.
La figura della pianista Sophie Hirschbaum, nel libro utilizzata solo come musa ispiratrice di Jeno così inaccessibile ed eterea, nel film acquista maggiore rilievo venendo però rappresentata come una giovane e triste fanciulla che sfoga su Jeno il suo bisogno d’amore. Niente di più falso: Sophie non entrerà mai effettivamente in scena nel romanzo, resterà sempre la trasfigurazione della perfezione per il protagonista, quel desiderio di eccellere in campo musicale che lo sprona a mettersi sempre in gioco.
Ed è proprio tutta questa parte che il film scarta a priori: vengono dimenticati i capitoli sul collegio, anima del romanzo, con le descrizioni delle lunghe ore di privazioni e rigore esasperante, e pur avendo quella marcia in più che è il “sonoro”, il film inserisce la musica in maniera automatica, senza trasporto (anche la mimica burattinesca degli attori che fingono di suonare non aiuta certo…); Maurensig invece con carta e penna è riuscito a evocare perfettamente quelle sensazioni altissime che si provano nel suonare o solamente nell’ascoltare musica.
A sopperire a queste mancanze si è deciso di introdurre di sana pianta nel film l’ultima parte, che ha lo scopo di allungare la brodaglia con argomento principale la salita al potere del nazismo con le leggi razziali. Elemento marginale nel libro, nel film invece serve a saltare a piè pari o semplificare, per certi versi, quel complesso e notevole incastro di trame e sottotrame, che in un gioco di rimandi e di analisi della psiche umana, costituiscono il vero finale del libro e l’essenza dell’intero racconto.
Scelta sbagliatissima, questa, perché riduce la trama originale a una storiella strappalacrime senza più l’elemento misterioso e metafisico.
Sulle capacità registiche di Ricky Tognazzi e quelle recitative degli attori e doppiatori c’è da dire qualcosa? Direi di no, parlano orribilmente da sole.

libro: 8½/10

film: 4/10

“Canone inverso”
Paolo Maurensig
Oscar Bestsellers, Mondadori, 8.40 €

“Canone inverso - Making love” di Ricky Tognazzi (1999)