venerdì 5 marzo 2010

Isabel Allende | Wilson Tucker

Ritratto in seppia

Isabel Allende

Economica Feltrinelli, Feltrinelli, [regalo!]

Secondo capitolo della saga scritta non in ordine cronologico della famiglia del Valle e di tutti i suoi trisavoli e discendenti. La voce narrante è in questo episodio quella di Aurora del Valle, nipote di Paulina del Valle e cugina? zia? mmmh, non riesco a trovare il nesso di parentela... beh, imparentata con la chiaroveggente Clara del Valle de “La casa degli spiriti”.

Mi sono trovata rapita nella lettura per le prime 30 pagine, poi l’insofferenza ha preso piede praticamente fino alla fine del libro a causa di una sostanziale prolissità di argomenti affrontati (la guerra tra Cile e Perù prima, la Guerra del Pacifico poi, i dissapori famigliari, l’emancipazione femminile in contrapposizione a un bigottismo sia religioso che politico, la nascita della fotografia, le ultime scoperte mediche in Europa, il traffico di bambine nei quartieri cinesi del Cile, le passioni amorose...) e di uno stile di scrittura che ha perso di fascino, è banale e sbrigativo nell’introspezione psicologica, tara che tende così a far risultare la storia come un lungo resoconto famigliare senza troppo impegno e sentimento.

Ricordandomi poi della produzione letteraria passata della Allende (ad esempio: La casa degli spiriti, D’amore e ombra ed Eva luna), ho dovuto constatare a malincuore che i temi trattati ormai sono sempre gli stessi e che quindi sono VENTICINQUE ANNI che la Allende riprende, taglia, riattacca e sistema i soliti argomenti-personaggi-ambienti-fatti.

Adesso ho capito perché erano dieci anni che non seguivo più questa autrice...

5/10

Il lungo silenzio

Wilson Tucker

Fanucci, fuori catalogo da millenni - recuperato in biblioteca

Tanto per ricordarci costantemente che il 2012 è alle porte e che moriremo tutti, il libro che ho letto di recente sul genere apocalittico-nucleare narra dello sfortunato e imprudente caporale Russel Gary che, risvegliatosi da un coma etilico, scopre che durante le ore del suo letargo una parte d’America è stata bombardata con armi batteriologiche e messa in quarantena e che per lui fare ritorno dall’altra parte del Mississipi, dove la vita procede normalmente, sarà impresa decisamente ardua...

Certo non eccelso e suggestivo quanto “La strada” di McCarthy (capolavoro!), “Il lungo silenzio” supera comunque i limiti della narrativa degli anni ’50, ormai un po’ sorpassata dai tempi, e dipinge con grande visionarietà scenari di distruzione e desolazione molto forti e angoscianti. Risente un po’ però di fastidiosi stereotipi nel descrivere i personaggi dividendoli categoricamente in due gruppi, donne e uomini: le prime sono ninfomani tentatrici che vanno usate per soddisfare i più biechi istinti sessuali e poi abbandonate lungo la strada; i secondi incarnano invece il tipico super uomo che ne sa più del diavolo e che riesce a districarsi da qualsiasi tipo di situazione difficile, mentre le donne sono attaccate a idee materiali e senza furbizia.

Una distinzione così netta non mi è piaciuta, è falsata e mostra chiaramente come la caratterizzazione dei personaggi sia assai scarsa; sembra che per Tucker il mondo sia popolato solamente da marines senza scrupoli e da stupide pin-up...

Ad ogni modo ne consiglio la lettura per l’ultima parte del racconto quando l’impavido Russell Gary, stufo dell’isolamento imposto, decide che è ora di trovare un modo per attraversare il Mississipi e tornare a casa; qualcosa però va storto e il finale si avvicina molto a quello che scriverà McCarthy cinquant’anni dopo ne “La strada”, solo che qui speranza proprio non ce n’è e gli uomini sono abbandonati a loro stessi senza possibilità di coalizzarsi in gruppi per superare le difficoltà.

7½/10

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