giovedì 18 ottobre 2007

Due in uno

Le seguenti recenZioni vagavano nel mio computer dalla fine di gennaio... era ora che mi ricordassi di pubblicarle!

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“Gli anni in tasca” di François Truffaut (1976): trama - gli ultimi mesi di scuola di un gruppo di bambini prima delle agognate vacanze estive.

Ve li immaginate 200 bambini urlanti a formare il cast di un film? Io ho subito pensato a un aneddoto di Hitchcock (raccontato nel libro-intervista di - guarda caso! - Truffaut, “Il cinema secondo Hitchcock”) in cui per uno dei suoi film, di cui mi sfugge il titolo, aveva pensato di utilizzare un considerevole numero di gatti da far scendere contemporaneamente da una scala; ovviamente la scena venne tagliata perché i gatti si facevano letteralmente gli affari loro e saltavano in tutte le direzioni.

Truffaut invece è riuscito a far recitare in maniera assolutamente naturale tutto il cast, mostrando la serenità e la spensieratezza affatto forzata di tutti quei bambini spesso trovatisi per la prima volta a recitare davanti a una macchina da presa.

[Comunque non sto dicendo che i bambini sono paragonabili a dei gatti, eh?]

E’ un piacere quindi seguire un film come questo tra episodi divertenti e altri drammatici, con l’unico comune denominatore il raccontare l’infanzia e come i bambini vedono la vita e gli adulti.

Ritenendosi già grandi, i bambini protagonisti ne combinano di tutti i colori, sempre padroni di sé stessi e in cerca di una posizione nel mondo. Altri invece, comportandosi allo stesso modo, quasi sfacciati, nascondono una situazione famigliare disagiata e violenta.

E’ in quel momento che il film si trasforma in una denuncia proprio verso quegli adulti che i bambini cercano fin dalle prime sequenze del film di emulare. A spiegare ai bambini perché situazioni simili accadano è uno degli insegnanti della scuola, che si fa carico di frasi piuttosto all’avanguardia e che dimostra molta più sensibilità di qualsiasi altro adulto entrato in scena fino a quel momento: “Il mondo è fatto da e per gli adulti. I bambini, purtroppo, non hanno voce in capitolo”.

8/10

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“L’uomo che amava le donne” di François Truffaut (1979): tra tutti i film di Truffaut visti questo è quello che inizialmente ho apprezzato di meno.

Forse, anzi, sicuramente perché Bertrand Morane, il protagonista, per tutta la durata del film non fa altro che cercare febbrilmente una nuova conquista femminile, compiaciuto di sé stesso per gli assurdi stratagemmi che attua in maniera mirabolante per arrivare a conoscere ogni nuova prescelta e talmente egocentrico da far schifo.

In un primo momento sono rimasta abbastanza infastidita dalla continua ricerca di donne, unica trama base del film sulla quale poi si inserisce la presentazione e l’analisi dell’uomo protagonista, quasi la donna fosse - non dico carne da macello - ma comunque un oggetto da analizzare meccanicamente, utilizzare e poi abbandonare. Certo, è tutto molto raffinato, come vuole lo stile di Truffaut, ma per una donna spettatrice potrebbe essere troppo!

Alla fine però, dopo le ultime due sequenze che chiudono il film, mi sono ritrovata a cedere il mio giudizio al lato positivo: Bertrand Morane muore, con sempre in testa il mito della “Donna”, e tutte le sue conquiste sfilano schiacciando l’erbetta sotto la quale lui riposa in pace.

Non è forse una celebrazione della figura femminile?

8/10

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