lunedì 31 marzo 2008

Suite francese


img256/2489/nmirovskyns4.jpgSuite francese

Irène Némirovsky

Biblioteca Adelphi, Adelphi, 19 €

Come in molti avranno notato, nell’arco di pochi mesi questo libro ha fatto il giro tra i bibliofili della rete. Io lo possedevo già da parecchio tempo (la data che ho scritto nell’ultima pagina risale addirittura al 29 aprile 2006!), ma per via della sua mole ne ho sempre rimandato l’inizio della lettura.

Una sfida letteraria organizzata con Arianna e Cecilia, ha trovato il “pretesto” giusto per impegnarmi finalmente col romanzo.

Di Irène Némirovsky già conoscevo “Il ballo” e “Come le mosche d’autunno”, due racconti brevissimi che prendono spunto dai ricordi d’infanzia dell’autrice, scritti assai bene e in cui sono condensate una miriade di analisi pungenti che già facevano prevedere la sua bravura quando ampliata e approfondita in un testo di maggior respiro.

In “Suite francese” infatti vi si ritrova tutto quello che nei racconti era stato, per forza di cose, solo accennato: lunghi paragrafi descrittivi e psicologici, una dialettica brillante e acuta, dei personaggi raccontati e analizzati nei minimi particolari, anche quelli solo secondari, un‘eleganza e una delicatezza nel linguaggio davvero notevoli. Tutto è costruito nei minimi particolari, e ce lo dimostrano gli stralci inediti del diario dell’autrice riportati in appendice: Irène aveva programmato tutto, come doveva essere “Suite francese” nella sua totalità, partendo da cinque ipotetiche suddivisioni in parti, di cui però solo due è riuscita a portare a termine prima della sua tragica scomparsa in un campo di concentramento nel 1942.

E se le lettere che Irène scambiò con amici e famigliari prima della deportazione - anch’esse riportate al termine del volume - facevano già presagire un drammatico epilogo per la sua famiglia e per sé stessa, nel libro, che stava nel frattempo cercando febbrilmente di concludere, niente traspare, tutto è visto con occhio critico e della sua condizione di ebrea perseguitata non c’è traccia.

Le due parti iniziali del romanzo - “Temporale di giugno” e “Dolce” - descrivono la trasformazione della Francia sotto l’occupazione tedesca, ma si parla di tutto tranne che degli ebrei, delle azioni restrittive del regime nazista e dei campi di concentramento.

Gli unici protagonisti dei due “racconti” (anche se è sbagliato chiamarli così) sono il popolo francese e le truppe tedesche: il primo in “Temporale di giugno” si ritrova allo sbaraglio dopo l’arrivo dei tedeschi a Parigi nell’estate del 1940; tutti scappano in campagna fuggendo a immaginari scenari apocalittici, tutti trascinandosi dietro le più improbabili masserizie e tutti attaccati avidamente a ogni oggetto materiale, dai poveri ai benestanti, fino ai ricchi taccagni come nessun altro. In questa parte iniziale di “Suite francese” vengono inserite tutte le classi sociali e nessuna sfugge all’occhio cinico e arguto della Némirovsky.

Così può capitare di leggere di una ricca madre di famiglia che nella foga di salvare sé stessa e gli ori più preziosi, si dimentica del suocero infermo nella casa appena bombardata... oppure di un gruppo di ragazzi pii e angelici, allevati in un orfanotrofio cattolico, che nel “giocare” uccidono a sassate e con la ferocia più bestiale il prete che li sta accompagnando fuori dal territorio francese in pericolo; o ancora di quel signore così arido e povero dentro, che fugge da Parigi con la paura di vedere in frantumi tutte le sue suppellettili di ceramica per lo spostamento d’aria causato dal cadere delle bombe.

Ci sono però solo due personaggi tra tutti quelli che si muovono nelle pagine di “Temporale di giugno” ad essere umani, attaccati solamente alla vita e all’affetto per un figlio sotto le armi di cui non hanno notizie. Sono i coniugi Michaud, che cercano (controvoglia) di dirigersi al seguito del direttore della banca per cui lavorano e a tutti gli altri impiegati verso la nuova sede, essendo stata quella di Parigi chiusa; ma sanno che è tutto inutile e con l’angoscia per un figlio giovane di cui temono la vita finiranno, dopo una rocambolesca settimana, per tornare a casa, in una città deserta, dove tutto, nonostante le fughe di mezzo paese, è rimasto uguale e il loro quartiere nemmeno minimamente cambiato dall’arrivo dei tedeschi.

Un comportamento simile, pacato e bonario, lo si ritrova nei due personaggi - principali, questa volta - di “Dolce”, in cui sono narrati i pochi e brevissimi mesi di “avvicinamento” di un uomo e una donna soli in una cittadina in cui, un anno dopo l’arrivo dei tedeschi a Parigi, gli stessi ritornano per ri-occupare la tranquillità del piccolo borgo di campagna.

In questo capitolo della pentalogia i tedeschi entrano vivamente nel racconto: se prima erano solo uno spauracchio tra i discorsi dei fuggitivi, ora si incarnano nel personaggio di Bruno, un ufficiale colto e gentile che occupa un paio di stanze nella casa della giovane Lucile e della suocera di questa, la rigida e scostante Signora Angellier.

Nell’intero racconto i soldati tedeschi sono continuamente paragonati agli uomini francesi in maniera superiore e pregevole; i primi sono visti, soprattutto dalle donne del paese, come degli adoni capaci di teneri gesti e accortezze anche frivole che i secondi non sognano nemmeno di fare, rozzi e sgarbati come sono.

Probabilmente le continue contrapposizioni a favore dei tedeschi sono solo un modo per la Némirovsky di esorcizzare le paure e le inquietudini che stava passando nei mesi di stesura di “Suite francese”, conscia com’era dell’arrivo imminente di un ordine di deportazione per lei, il marito e le piccole figlie.

O forse era solo per cercare in extremis di lasciare delle tracce in cui lei, ebrea russa perseguitata, si dimostrava sostenitrice dei tedeschi e della loro causa nazista...

Comunque siano andate le cose, “Dolce” resta la storia d’amore struggente e platonica di due persone sole che cercano di conoscersi andando al di là delle apparenze e dei pregiudizi e scoprono di essere esattamente l’uno per l’altra la reciproca parte mancante; purtroppo lo scarto decisivo non avviene - vuoi comunque per certe “reticenze” di appartenenza razziale - e i due si salutano per sempre quando, pochi mesi dopo, l’intero plotone viene spedito in Russia.

Ma la scena in cui Bruno lascia in custodia nella mano di Lucile il suo anello, per suonare con più scioltezza il pianoforte, è di una sensualità abnorme: lei sente attraverso l’anello il calore della mano di lui, e i due in qualche modo si uniscono nei sensi grazie alla musica che Bruno esegue alla tastiera.

Entrambe le parti del romanzo sono bellissime, la prima più movimentata e molto vicina a una lunga carrellata filmica, la seconda incentrata invece sui sentimenti e di grande tristezza per la condizione dei due giovani; tuttavia c’è chi le ha ritenute troppo romanzate e romantiche, troppo frivole per essere considerate dei capolavori riscoperti della letteratura europea.

Io comunque non sono d’accordo, “Suite francese” è un’opera grandiosa in ogni suo aspetto, e basti pensare in quali condizioni la Némirovsky l’abbia scritta, soprattutto considerato che tutti gli avvenimenti sono stati “pensati” in presa diretta, mentre i tedeschi affettivamente arrivavano alle porte di Parigi e mentre tutti scappavano in preda al panico; mentre poi gli stessi cercavano di convivere e accettarsi a vicenda durante l’occupazione.

E’ solo fortunosamente se il manoscritto originale dell’autrice sia stato salvato: le figlie di Irène sono le uniche ad essere scampate all’internamento, e rimaste orfane sono state costrette a una peregrinazione continua portando sempre con loro una valigetta che conteneva fra le tante cose proprio il manoscritto di “Suite francese”, mentre i nazisti le cercavano.

E pensare che ci sono voluti quasi due anni per convincermi a leggerlo, e ora rimpiango tristemente il fatto di non poter sapere come l’intero romanzo sarebbe stato concluso...

10/10

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