domenica 20 agosto 2006

"L'orologio di cenere" di Aldo Moscatelli

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Il mio blog non è molto visitato, e l’essere inaspettatamente contattata addirittura da una casa editrice che mi propone di leggere uno dei suoi libri per scriverne poi una recensione, beh, mi ha inorgoglita parecchio.
Fra i libri in catalogo de I sognatori, questa casa editrice emergente, al momento ve ne sono solo due: “L’orologio di cenere”, appunto, definito un noir, e “Camp attack” di Larry Lisca, un romanzo umoristico alla Stefano Benni.

Per principio non ho letto né dato “sbirciatine” alle recensioni scritte dai blogger che prima di me hanno letto il libro di Aldo Moscatelli e, una volta ricevuto il libro, non ho nemmeno letto la trama in quarta di copertina; così ho iniziato a leggerlo senza farmi influenzare da giudizi esterni, alla cieca, conoscendo, pagina dopo pagina la storia e, soprattutto, il protagonista River Crane, un investigatore privato con un oscuro passato alle spalle del quale il lettore ne viene solo in parte reso a conoscenza.
Ma è giusto che il personaggio di Crane rimanga un po’ nell’ombra, l’omissione della maggior parte degli aspetti della sua vita (nonostante ci venga data la possibilità di “assistere” ad alcuni suoi incubi notturni), infatti, non fa altro che renderlo un uomo più forte, dal grande impatto sul lettore, che resta affascinato da questa figura misteriosa e ambigua, quasi fosse offuscata e avvolta dal fumo delle sigarette che perennemente fuma.
Anche l’ambientazione del romanzo non è ben delineata, la cittadina in cui si svolge la storia non ha un nome - solo la via in cui abita Crane l’ha - i personaggi si muovono in strade che lo stesso Crane definisce “buie anche di giorno”, deserte, che celano segreti e malattie dei bassifondi. Le descrizioni vere e proprie sono rare e sempre brevi, secche, da non considerare però come aspetto negativo, perché il tutto (o il poco…) sprona il lettore, nel caso ne senta la necessità, a immaginare, creare a suo piacimento un mondo più definito, concreto, aiutato da quelle sintetiche e dirette descrizioni che da sole, però, ripeto, riescono a far immaginare qualsiasi cosa.
E diretto e semplice è anche lo stile di Aldo Moscatelli, fatto di dialoghi che mai ho trovato scontanti, un umorismo a volte cinico che distende adeguatamente la tensione del racconto, una capacità ammaliatrice che, per me non amante di questo genere di libri che ora ho però rivalutato, è riuscita sorprendentemente a tenermi incollata alle pagine che ho letto tutte d’un fiato, con la curiosità di vedere risolto il caso di cui nemmeno a dieci pagine dalla fine sono riuscita a intuire la soluzione lambiccandomi inutilmente, e infine critiche dello stesso protagonista verso una società che, non importa il libro sia ambientato plausibilmente negli Stati Uniti, è comunque da ricondurre a quella di chiunque si avvicini alla lettura di questo romanzo, una società purtroppo permeata dalla malvagità umana, alla quale sono riservate con rabbia le ultime righe del libro.

Un appunto va all’intervista all’autore posta al termine del volume, in cui si amplia la biografia scritta (finalmente!) dallo stesso autore in quarta di copertina, e in cui trovano spazio varie riflessioni sull’editoria odierna e sul ruolo del lettore.
Il “distinguersi” dal gregge, di cui Aldo Moscatelli parla nell’intervista, oltre a riservarti gradevoli - oppure sgradevoli - emozioni (capita che un libro non piaccia, ma questo non significa che da esso non si riesca a trarre almeno un minimo di insegnamento), distinguersi, dicevo, ti permette di venire a conoscenza di piccoli casi editoriali come questo, che premiano i veri amanti dei libri, eliminando a priori, con un contatto diretto col pubblico, tutti coloro che affibbiano a se stessi il termine di Lettore (con la L maiuscola) e che credono, a torto, di esserlo.
Infine un complimento alla copertina, che mi ha da subito ricordato i dipinti di Escher, e che rispecchia e “riassume” pienamente la storia raccontata.

A quando un seguito delle avventure di River Crane?

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