venerdì 21 aprile 2006

"Lady Henderson presenta" - Stephen Frears | "Provincia meccanica" - Stefano Mordini | "Joyeux Noël" - Christian Carion

Esiste l’arte di “fare i titoli di testa”? A parte Hitchcock e Leone non mi vengono in mente altri registi che hanno sempre creato i titoli di testa dei loro film in stretto collegamento con la storia narrata.
Ma d’ora in poi aggiungerò alla scarna lista anche Stephen Frears, che per il suo ultimo film presenta ogni attore, in ordine di apparizione, con dei deliziosi siparietti animati dal gusto retrò, in cui non mancano nemmeno i classici putti svolazzanti.
In questo modo il film inizia con molti punti a suo favore, e ne acquista sempre di più grazie all’alto livello di recitazione - beh, è ovvio… basta il solo nome di Judi Dench per risollevare anche il film più scadente! - e al classico humor inglese, sottolineato anche dai battibecchi bisbetici tra Lady Henderson (Judi Dench) e Vivian Van Damm (Bob Hoskins).
Ma l’atmosfera da commedia scema dalla metà del film in poi, per assumere toni più cupi e melodrammatici (e anche patetici, direi) nel momento in cui la guerra si inserisce bruscamente nelle vite dei protagonisti.
Nell’ultima metà del film, infatti, oltre ai soliti discorsi patriottici “mi-piego-ma-non-mi-spezzo”, nasce la classica storia d’ammmore fra la bella attricetta e il soldatino, e quindi VIA con la carrellata di scene melense in cui i fidanzatini corrono mano nella mano nell’uggiosità inglese o si sbaciucchiano contro un muro.
Che noia.
Non so quanto di vero e quanto di romanzato ci sia nel film, dato che la storia è ispirata ad un fatto realmente accaduto, ma se Lady Henderson ha pronunciato sul serio quel discorso finale davanti alle truppe inglesi, beh… mi sembra un po’ ridicolo.
“Ho aperto questo teatro per permettere a tutti i soldati, nell’eventualità di cadere sul fronte, di morire almeno con negli occhi il ricordo di un bel paio di tette nude”.
Queste, più o meno, le parole dette dalla Lady (sì, le ho un pochino modificate, ma il succo era quello), alle quali i soldati esultano con la bava alla bocca. Sinceramente l’ho trovato un discorso ridicolo, come ho già detto più sopra.
Restano comunque la piacevole struttura base tipo musical, con le canzoni e i balletti a tema; l’ottima colonna sonora; la già citata bravura attoriale e il messaggio finale che ci sprona a continuare a vivere e a reagire, per affrontare nel modo giusto le disgrazie che la vita ci riserva.

6½/10

Ogni tanto si deve anche dare spazio al cinema italiano fra le nostre visioni cinematografiche, e questa volta per me è capitato questo film, passato piuttosto inosservato l’anno scorso.
La storia narrata, che ha come protagonista una famigliola in-felice abitante in una provincia qualsiasi d’Italia, racchiude in sé tutti i mali di vivere che una società moderna può infliggere ai malcapitati di turno, “colpevoli” di voler vivere un po’ sopra le righe.
Ma credo che la narrazione sia alquanto falsata: Silvia (Valentina Cervi) e Marco (Stefano Accorsi), a ben vedere, non vivono con spirito di alienazione nella loro provincia meccanica ma, piuttosto, vivono in totale immaturità ogni aspetto della vita coniugale e di crescita dei figli. Questi ultimi in particolar modo vengono cresciuti in modo assurdo: la primogenita, che ha circa dieci anni, è vessata psicologicamente da una madre totalmente incapace di distinguere quale sia, dei due figli, quello che ha realmente bisogno di affetto materno e protezione, tanto che il secondogenito, di appena tre anni, è indipendente e fa tutto da sé (citando le parole che in una scena Marco pronuncia riguardo al figlio).
Silvia, oltre ad avere una concezione piuttosto bizzarra della maternità, vive in “un mondo tutto suo”, non bada alla vita domestica e pensa solo ad allegre scorribande con il giovane marito in capo al mondo, piazzando i figli un po’ qua e un po’ là, togliendoseli di mezzo.
Marco, durante le scene che non lo ritraggono al lavoro (dove tra l’altro capisce sempre il contrario di quello che gli viene detto dal capo), è sempre chiuso in casa a vegetare sul divano e a giocare a “Tomb Raider”.
Questo dimostra come non ci si trovi di fronte a due adulti che cercano di estraniarsi dalla società, in cerca di una loro dimensione che meglio rispecchi la loro concezione di vita, ma ci troviamo piuttosto davanti a due adulti immaturi che, oltre a non capire i figli, non capiscono nemmeno la persona che hanno sposato e con la quale hanno deciso di vivere insieme per sempre.
Le vicende di questa famiglia finiscono per inzuppare tutta la pellicola di angoscia, una sensazione che prevale essa stessa nella vita di Marco e Silvia, sentimento causato dalle disastrose vicissitudini che sono costretti (anche per causa loro) a subire.
Un po’ di speranza e felicità la si intravede solo nel finale, finale che scade però nel ridicolo dove vediamo Marco correre durante una corsa campestre, la quale simboleggia la solita e abusata metafora del dirigersi verso un futuro migliore.
La recitazione non è ai livelli della colonna sonora, nella quale figurano anche i bravissimi Mogwai; la bravura di Stefano Accorsi ormai è stazionaria sul mediocre, Valentina Cervi invece, mah… che dire… quel paio di persiane erano più espressive.
Ad ogni modo la Cervi non mi sembra abbia una parte da protagonista, dato che il suo personaggio, in relazione alle battute pronunciate e alle scene in cui appare, l’ho trovato piuttosto secondario.
Il buon senso mi dice di sorvolare sull’episodio del mago con poteri occulti, altrimenti il mio voto potrebbe precipitare ancora più giù.
Non è però un film noioso, penso di rivederlo prima o poi, chissà che magari la mia valutazione non salga di qualche punto.

6/10

Potrebbe sembrare l’ennesimo film di guerra dove il regista di turno, in base alle sue origini, cerca subdolamente di far notare allo spettatore chi siano i colpevoli e chi gli innocenti della storia da lui raccontata.
In questo caso però non si colpevolizza nessuno, non c’è vittimismo né rancore verso le truppe avversarie; le tre nazioni protagoniste del fatto di cronaca raccontato (Francia, Germania e Scozia) finiscono per guardare la guerra in corso dallo stesso lato della trincea, e anche i più invasati cambiano idea sull’utilità di quella carneficina.
La vera storia raccontata, molto commovente, è però contaminata dalla solita e inutile storia d’amore, che ovviamente prevede l’inserimento di un personaggio femminile: la cantante lirica Anna, un misto tra Marilyn Monroe e Cappuccetto Rosso, che spacca i timpani alle truppe in trincea (domanda: ma le cantanti di quel genere non dovrebbero essere abbastanza formose? mi sembra poco credibile l’attrice scelta), fidanzata di uno dei soldati tedeschi che ha avuto la bellissima idea di portarsela dietro dopo la licenza “per allietare le terribili ore dei commilitoni”. Cosa deve allietare, caro?
La conferma che le donne dovrebbero stare al loro posto la si ha quando la cretina Anna, invece di tornarsene a casa, decide di farsi arrestare con il fidanzato perché “non sa stare senza di lui”.
Ma perché un film così interessante, ben diretto e recitato, deve essere rovinato da un personaggio così cretino e superfluo?
L’amicizia che i soldati instaurano con i loro rivali durante la vigilia del Natale 1914, poteva bastare a elevare la pellicola a documento di storica importanza, dato che di questo fatto realmente accaduto si sa poco o nulla; ma il sentimentalismo ha finito per rovinare anche il messaggio del film riducendolo a semplice americanata.
Mischiare la finzione con la realtà non è sempre la cosa migliore da fare, purtroppo…
Pessimo il doppiaggio italiano: la storia ruota attorno a tre diverse nazioni, tre lingue straniere che vengono storpiate in un’unica, l’italiano, che rovina anche il senso di alcuni dialoghi, soprattutto quelli centrali dove i soldati rivali si scambiano i primi segni di fratellanza. Sarebbe stato più utile e sensato mantenere la versione originale con i sottotitoli in italiano, così come è stato fatto per i primi cinque minuti in cui vediamo tre bambini, appartenenti alle tre diverse nazioni, decantare l’odio verso i nemici.
Resta quel poco di vero e reale che è il messaggio del film, in cui si sottolinea l’importanza dell’umanità anche in situazioni in cui, in tempi di oppressione, si cerca di rispondere con l’odio a chi ci viene indicato come nemico.

7/10

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