domenica 30 aprile 2006

"Tre metri sopra il cielo" di Luca Lucini (2005) | "Broken flowers" di Jim Jarmusch (2005) | "Ogni cosa è illuminata" di Liev Schreiber (2005)


Nemmeno la trasposizione cinematografica del libro omonimo ha saputo rendere (almeno) mediocre la storia narrata.
Se già nel libro gli avvenimenti raccontati avevano del paradossale, gli stessi, visti sullo schermo, risultano essere ancora più ridicoli; se poi il tutto finisce per essere una sorta di rifacimento di “Grease” (vedi: l’abbigliamento degli invitati alla festa di compleanno, la sequenza della gara in moto e l’impossibile storia d’amore tra una lei “perfettina” e beneducata e un lui burino con il giubbotto di pelle) dove l’unica cosa che manca è la brillantina, allora Lucini era proprio deciso a toccare il fondo.
Perché qualcosa di buono da scovare in quelle 300 e passa pagine c’era (ma poco però…); forse, pensando che la maggior parte del pubblico presente in sala sarebbe stata formata da ragazzini/e in preda al delirio, Lucini ha volutamente prodotto un film dagli scarsissimi contenuti e trovate stilistiche, perché tanto “loro non staranno certo a badare alle sottigliezze”.
Così sembra quasi di vedere un video-clip, con poche battute e montaggio veloce che a volte sembra saltare di palo in frasca tra una sequenza e l’altra, il tutto accompagnato da musica techno con il dee-jay che con voce fuori campo dispensa “pirle” di saggezza.
Va notato inoltre che, se prima non si è letto il libro, si fa fatica a capire alcuni passaggi.
Il film comunque contiene la scena di sesso più brutta che abbia mai visto, in cui, fra le tante cose abominevoli (tipo un paio di mutandoni della nonna), improvvisamente i due vengono ripresi da dietro un qualcosa di indefinito, forse un divano, oltre il quale si vedono solo le spalle di lui. Ma che inquadratura è?
Palma d’Oro al cagnetto Pepito, che ha preferito esonerarsi dal far brutte figure restando zitto e immobile, che tanto a farle, di figure, ci avrebbero pensato i suoi colleghi.

2/10


Mi avevano parlato molto bene di questo film, ma dopo i primi dieci minuti dall’inizio della proiezione mi stavo già addormentando, e sono riuscita ad arrivare alla fine con un solo occhio mezzo aperto e la stessa espressione di Bill Murray in locandina.
Broken flowers” è un film a episodi, tutti con la stessa struttura narrativa e accompagnati dalla stessa musichetta africana che, va bene sentirla una volta, ma alla terza già ti girano un po’ le palle.
Sarà l’apatia con cui il protagonista affronta la vita, sarà la routine che ha contaminato anche il regista durante le riprese, sarà che di battute comiche non ce ne sono, sarà… sarà… sarà che alla fine questo film non è né una commedia né un dramma. Che cos’è allora? Boh.
E’ indefinito e generico, non si ride, ma si sorride per le sfighe altrui e il più delle volte ci si ritrova un po’ alla sprovvista (in senso negativo, però) di fronte a scene che hanno dell’assurdo e del patetico (vedi rispettivamente: il nudo della ragazzina e la situazione famigliare dell’ex fidanzata senza figli).
Si salva solo il finale, quando Don/Bill Murray si toglie le fette di salame dagli occhi e capisce quello che noi spettatori avevamo già capito da venti minuti, e poi perché finalmente posso tornare a casa e dirti con tutto il cuore, caro Jim: ma va’, va’!

4/10

P. S.: se conoscete una veterinaria del tipo dell’ex fidanzata n. 2, mi fate un fischio? Così potrò imparare a parlare con la mia gatta.



L’iniziale comicità, che di solito non si addice a storie legate agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, in questo caso è abilmente fusa a sequenze toccanti in cui ci viene ricordato di non dimenticare, ma lo fa senza scadere nella solita retorica.
Molto interessante la metafora della cecità: i tre protagonisti sono, chi meno e chi più, affetti da una “cecità” solo apparente che non gli permette di avere la giusta visione delle cose: Jonathan (interpretato da Elijah Wood) non si separa mai da quegli occhialoni da vista che solo una volta tolti gli mostreranno finalmente quello che stava cercando; il suo accompagnatore, Alex, continua a precisare per tutto il film di non essere ucraino ma di Odessa, per eliminare a priori quello che successe durante la guerra nei luoghi dov’è cresciuto; il nonno di Alex si trincera dietro una falsa cecità e occhiali dalle lenti scure (lo stesso Alex dirà a Jonathan: “Pensa di essere cieco…” battendosi il dito indice sulla tempia), ma questo non lo esonera da un malessere fisico e mentale scaturito da ricordi sempre più assillanti legati ad accadimenti vissuti in prima persona durante la guerra ma, come accade a Jonathan, nel momento in cui abbandona gli occhiali scuri, finalmente vede ed “ogni cosa sarà illuminata”.
Molto singolare la tecnica usata per alternare musica diegetica a quella extra-diegetica (le quali si fondono diventando un elemento unico), e le “trovate” sonore: il rumore vero e proprio degli spari, ad esempio, è sempre sostituito da quello dello scoppio di un tuono.
Un po’ forzata però la sequenza in cui la donna, che ha nelle sue mani la chiave di tutti i “misteri”, si rivela per quella che è facendo rimanere tutti a bocca aperta. Me compresa, ma perché come momento rivelatore è poco verosimile.
E’ un film che con la sua commistione di generi soddisferà tutti, anche per la notevole fotografia (da vedere la scena del campo di girasoli) e la colonna sonora alla Emir Kusturica.
Alto il livello di recitazione, compreso quello della cagnetta Sammy Devis Jr Jr.

8½/10

P. S.: da notare che Schreiber è alla sua prima regia, un esordio più che valido!

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