sabato 6 gennaio 2007

"David Boring e altre storie" di Daniel Clowes - ed. La Repubblica

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David vive una vita apatica, se ne rende conto, ma ormai si è rassegnato a convivere con questo malessere.
Subisce tutto quello che gli capita, senza reagire in modo plateale, senza prendere nessun tipo di posizione; la sua noncuranza segna inevitabilmente i momenti più importanti della sua esistenza: viene abbandonato da diverse ragazze, perde volontariamente il lavoro, non riesce a concludere nulla. Simbolo della sua noia (non a caso il cognome di David è Boring), la sequenza iniziale in cui lo vediamo fare sesso con una donna della quale parla in modo asettico, mettendo palesemente in evidenza la sua indifferenza per l’atto che sta compiendo con lei.
Spiazza il suo punto di vista fin troppo diretto, ed è proprio lui a raccontare in prima persona in modo critico al lettore le sue ossessioni, i suoi vizi, le sue debolezze.
L’unica vera compagna di vita è la fedele amica Dot, una giovane ragazza anch’essa dall’esistenza tormentata a causa della sua omosessualità.
In una cittadina sterile e anonima, fatta di rigorosi palazzi, sprazzi di verde “squadrato”, vie deserte e tranquillità (solo) apparente, si susseguono le vicende di David, Dot e di numerosi comprimari non meno tratteggiati psicologicamente del protagonista e della sua amica.
Una storia divisa in tre atti che un sorprendente colpo di scena - o meglio, di pistola - ribalta completamente, intrecciando la vita di David ad altre di diverse persone, tutte in fuga da qualcosa, inserendo nel racconto il giallo alla “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie e la tensione incarnata in attacchi nucleari e batteriologici ad opera di diabolici terroristi e il passaggio dal 1999 al nuovo millennio.
La fine del mondo è vicina. Ma sarà proprio l’indifferenza di David a concludere con speranza il racconto.

Ottimi disegni in stile anni ’50, per un fumetto ambientato nel ’99, in cui ombre grigie inseguono i personaggi in ambienti essenziali in cui i pochi particolari evidenziano il loro cupo stato d’animo.
Condizione nella quale serpeggia quasi sempre un disagio, sottolineato anche dalla scelta di non far mai incrociare direttamente tra loro gli sguardi dei personaggi, fuggevoli e distratti.
Curioso come il racconto termini come un vero e proprio film con tanto di titoli di coda; e la struttura simil-film la si trova anche in alcune vignette interrotte come frame, che restano sospese e ne caricano la suspance (come l’ultima del primo atto a pag. 70).
C’è tuttavia della comicità volontaria nel racconto, ma il pessimismo che pervade nella quasi totalità della storia non è fastidioso e ne risulta così un fumetto diverso di cui consiglio la lettura.
Meno taglienti però le “altre storie”, se non per “La mamma d’oro”, storia surreale e disgustosa in cui il protagonista ripercorre la sua vita facendo la fine di “M, il mostro di Dusseldorf”.
Ritorna ancora il colloquio diretto del protagonista con il lettore in questo e negli altri brevi racconti (Caricature; MCMLXVI; Uno schifo di blu; Eyliner verde; I segreti della scuola d’arte), ma a mio parere Clowes dà il meglio di sé con le storie lunghe.

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