martedì 13 febbraio 2007

"Germinal" di Émile Zola



Quando nel 1885, fu pubblicato “Germinal”, la Francia gridò furiosa allo scandalo: lo scrittore che aveva “calunniato” gli operai parigini trattandoli da ubriaconi in “L’ammazzatoio” venne questa volta accusato di calunniare i minatori, protagonisti del nuovo romanzo. Ma tra accuse e consensi ben presto il libro conquistò i francesi. Con Zola il romanzo moderno acquistava un nuovo protagonista, il proletariato, e non a caso. Era infatti inevitabile che uno scrittore che, sulla via indicata da Balzac, aveva saputo dipingere un grande affresco della società borghese del suo tempo cercasse, da indagatore attento e minuzioso qual era, di aderire alla storia, affrontando il grande tema del rapporto padroni-operai.

Dopo aver letto qualche anno fa “Thérèse Raquin”, che non mi era piaciuto affatto e di cui ricorderò soltanto la tragica morte del gatto di casa (scaraventato giù dalla finestra senza pietà), ho penato non poco anche per terminare questa lunga epopea di un gruppo di minatori nella Francia dell’Ottocento.
Non perché il libro fosse altrettanto brutto del precedente, ma perché talmente saturo di disumani episodi e sentimenti contrastanti descritti con tale precisione e realtà, che dopo un po’ ne ho avuto quasi un rigetto.
Seguire la vita di Etienne, Catherine e degli altri numerosi personaggi, è come sprofondare in apnea negli stessi atroci cunicoli della miniera in cui tutti i componenti della piccola comunità di Deux-Cent-Quarante (uomini, ma anche donne e bambini) sono costretti a lavorare per campare stentatamente.
Un’esistenza disumana, fatta di privazioni, inedia, freddo, di interminabili ore passate nel ventre della miniera di carbone che ingurgita ad ogni turno centinaia di lavoratori stremati, costretti a lavorare in condizioni spaventose nel perenne buio di tomba come in un incubo.
Emblematiche infatti le sequenze in cui vengono descritti la miniera e il lavoro degli operai, visti attraverso gli occhi di Etienne alla sua prima discesa sottoterra come manovale. Mancava il fiato a lui in quei cunicoli stretti, interminabili, privi di luce, freddi o caldi come fornaci in cui i topi si rincorrono, e sembrava anche a me di starci dentro.
Inevitabile che il malcontento generale degli operai si riversi anche al di fuori della miniera e si trascini anche in casa, dove i famigliari si privano delle proprie razioni di cibo per dare la precedenza a chi lavora, dove si litiga per un nonnulla cercando così di sfogare la propria rabbia repressa, dove anche l’amore per la stessa ragazza (Etienne ama Catherine che è amata a sua volta dal rozzo Chaval) si trasforma in una lotta all’ultimo sangue in cui i contendenti sono pronti anche ad uccidersi a vicenda.
Tutti sentimenti descritti con totale realismo, in cui, fatto strano per un libro dell’epoca, non vengono nemmeno risparmiati i sentimenti più carnali, l’attrazione fisica, il desiderio sessuale di cui il romanzo è disseminato fino alle ultime pagine.
Il precario equilibrio in cui la gente vive scompare nel momento in cui Etienne, che ha abbracciato l’ideologia socialista, incita gli abitanti del villaggio e i vicini, di miniere limitrofe, a ribellarsi con uno sciopero ad oltranza, dopo la decisone dei i superiori che costringono gli operai a nuove impensabili regole di lavoro.
Ed è lì che il romanzo diventa definitivamente denuncia sociale: se prima era solo per la contrapposizione tra la misera vita delle famiglie di minatori e quella opulenta e grassa dei proprietari della miniera, ora con le rivendicazioni operaie il libro sottolinea non solo i lati negativi di quelle esistenze, ma anche cosa sia necessario fare per migliorare completamente la situazione mettendo l’accento sugli ideali politici e sociali.
Ma come spesso accade la speranza è lunga a venire, e lo sciopero non porta nessun risultato positivo, ma solo morte e desolazione in lunghi capitoli in cui la manifestazione di centinaia di persone, vessate psicologicamente fin dalla nascita, si sfogano dando mostra di atti barbari e sanguinosi ampliati in maniera disumana perché repressi per troppo tempo.
Il libro però non è ancora finito perché la beffa maggiore arriva con l’intervento della polizia e la fucilazione in massa, senza contare la settima e ultima parte del romanzo in cui si scatenano, in un imponente crescendo, le ultime terrificanti conseguenze lette tutte d’un fiato una notte senza accorgermi che al termine erano già le quattro del mattino.
Al di là del messaggio finale non propriamente positivo – si spera in una rivendicazione prossima, ma a parer mio il “seme” è ancora lontano dal germogliare – “Germinal” è una grandiosa e coinvolgente epopea, della quale non scorderò, su tutti, il personaggio di Etienne, giovane impavido ma allo stesso tempo sentimentale, sicuro di sé ma capace anche di cadere in errore combattuto tra sentimenti contrastanti, mantenendo comunque un piglio eroico ma mai eccezionale, restando così un eroe umano.

9/10

“Germinal”
Émile Zola
Classici Ben, Newton & Compton, 4 €

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