domenica 4 marzo 2007

"Diane Arbus - vita e morte di un genio della fotografia" di Patricia Bosworth

img123/2272/bosworthfu1.jpg

"Ci sono cose che nessuno vedrebbe se io non le fotografassi": questo è lo spirito che muove lo sguardo ostinato e curioso di Diane Arbus. Prostitute, emarginati e freaks sono la carne viva con cui la grande fotografa newyorkese nutre il suo vorace talento, perennemente in bilico fra repulsione e familiarità, fra morboso voyeurismo e desiderio di conoscenza. Nata e cresciuta in un'agiata famiglia di commercianti, se ne distaccherà ben presto, ansiosa di arrampicarsi quanto più in basso possibile nel ventre oscuro di una New York grottesca e sterminata, gonfia di bizzarri personaggi, di indifferenza e disperazione.

Per fortuna che Shainberg, regista di “Fur – un ritratto immaginario di Diane Arbus”, si è solo ispirato alla biografia in questione. Se anche nella realtà la figura di Diane Arbus fosse stata così placida e anonima come Shainberg l’ha letteralmente trasformata, sarebbe stata una grossa delusione.
Dalle pagine di questa biografia emergono in realtà vita e ideali di una donna che è sempre andata controcorrente, e mai ha cercato di omologarsi alle mode nate durante gli anni in cui si andava affermando come fotografa (dalla metà degli anni ’50 fino all’anno del suicidio – 1971).
Una psicologia profondamente complessa la sua, attratta fin dall’infanzia dagli esseri bizzarri cui è proibito guardare, i freaks – gli scherzi della natura (nani, omosessuali, gemelli, nudisti, ermafroditi, storpi, prostitute, minorati mentali, ecc…).
Saranno proprio questi i soggetti principali dell’intera sua produzione fotografica, oltre a personaggi famosi mai però immortalati in modo canonico, ma in modo da mettere a nudo i sentimenti più nascosti e improvvisi, la realtà invisibile agli occhi.
Nelle tre parti in cui è suddivisa la biografia viene ripercorsa tutta la sua vita, con maggiore attenzione per l’ultimo ventennio in cui la sua ascesa nell’oscuro e nel vietato si è fatta sempre più incontrollabile.
Durante il racconto vengono analizzate le varie tappe che l’hanno portata a quel tipo di arte, scandagliando la sua vita privata (il rapporto con i genitori e i fratelli, quello morboso con il marito sposato in giovane età, con gli amici, le figlie, ecc…) e inserendo numerose dissertazioni sulla cultura dell’epoca e sulle trasformazioni che l’America affrontava in quegli anni; vengono anche brevemente illustrate le vite dei numerosi colleghi di Diane e dei fotografi a cui lei stessa si ispirò prima di trovare il suo stile inimitabile.
Questi elementi aggiuntivi possono risultare di poca importanza, dato che in quei brani spesso si perde di vista il vero soggetto della biografia, ma in loro assenza non si riuscirebbe ad avere un quadro generale della situazione e soprattutto a capire, o tentare di capire in parte i meccanismi che spingevano ad agire in quel modo Diane Arbus.
Pur essendo un buon libro, davvero interessante per gli appassionati di fotografia, si sente tuttavia la mancanza di un apparato iconografico: la Fondazione Arbus (fondata dalla primogenita di Diane), così come aveva rifiutato a Shainberg per il suo film la riproduzione di qualsiasi fotografia all’interno della pellicola, nel 1984 – anno di uscita del libro della Bosworth – aveva già agito in modo analogo.
La stessa fondazione oggi non ha ancora portato a termine lo sviluppo dei migliaia di negativi lasciati dalla Arbus, e non ha nemmeno reso pubbliche le altrettante migliaia di fotografie ancora inedite. I proprietari si giustificano dicendo che è per evitare la saturazione del mercato delle opere della Arbus.
Resta il fatto che queste decisioni sono un ostacolo per chi cerca più informazioni su questa fotografa (pochi sono i documenti che la riguardano) e un ostacolo anche per la resa finale della biografia in questione.

“Diane Arbus – vita e morte di un genio della fotografia”
Patricia Bosworth
Collana 24/7, Rizzoli, 18.50 €

Nessun commento:

Posta un commento