giovedì 13 luglio 2006

"La febbre" di Massimo D'Alatri (2005)

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Ultimamente il cinema italiano lascia un po’ a desiderare, sembra che i nostri registi non abbiano più nulla da raccontare; Massimo D’Alatri infatti si butta sullo strausato tema generazionale in cui vagano giovani trentenni in preda ai dilemmi dell’età adulta.
E’ una storia semplice, quindi, quella che ci viene raccontata di Mario Bettini, interpretato dall’onnipresente Fabio Volo (l’uomo che vanta nel suo passato i più innumerevoli lavori), che viene però infarcita di effetti speciali - manco fossimo di fronte ad “Armageddon” - che non c’azzeccano niente con un film di questo tipo, che già dalle prime battute si dimostra essere il classico film italiano fatto di buoni sentimenti, storie semplici, vere, in cui ognuno ci si può rispecchiare.
Ovviamente non si poteva che cadere anche sui luoghi comuni: il datore di lavoro arcigno e invidioso di Mario Bettini (la febbre del titolo è infatti l’invidia), che viene da subito ripreso come un orco cattivo con le inquadrature dal basso verso l’alto; la mamma che non vuole lasciar crescere il figlio; il collega di lavoro che dopo una vita passata in ufficio muore non potendosi godere nemmeno la pensione; l’amico che va sempre contro corrente, bello e dannato; la cubista che ha anche un cervello; una critica alla società odierna oppressiva e ingrata; ecc…
E il messaggio qual è? Se t’accontenti di una vita grama e impostata da pecora del gregge, sei un fallito; se invece vivi la tua vita da outsider tirando a campare senza un lavoro, allora sei un esempio da seguire perché morirai felice anche se “in bolletta”, ma non importa perché chi è quello sfigato che si accontenta di un lavoro fisso al comune per il quale i genitori avevano elargito una mazzetta di € 15.000, sudando sette camicie, per augurare a loro figlio una vita serena senza problemi di ogni sorta? Nessuno, beh, certo, ovvio! E tanto meno il geometra Bettini, che ci manca poco che alla fine del film lo facciano pure santo.
Che poi Fabio Volo non è nemmeno malaccio, anche se a volte ha una recitazione troppo enfatica e irreale (se sbraitassi sputacchiando in faccia al mio capo, non so se mi terrebbe ancora lì in ufficio…), resta il fatto che è un film piuttosto banale e l’unico pregio degno di nota è la bellissima colonna sonora scritta dai Negramaro, che sa emozionare ed elevare la mediocre storiella grazie a melodie e a canzoni toccanti.

4½/10

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