giovedì 27 luglio 2006

"Uccelli da gabbia e da voliera" di Andrea De Carlo

img291/2718/uccellidagabbiaedavolieraif2.jpg

Dopo aver letto quasi tutti i libri di De Carlo (tranne gli ultimi tre), trovo strani gli elogi a profusione relativi alla bravura di questo autore, che resta secondo me piuttosto sopravvalutato.
I personaggi dei suoi libri si possono restringere in tipi prestabiliti che ritornano instancabilmente in ogni romanzo: il protagonista tipo per De Carlo è un giovane fra i venti e i trent’anni, spesso insoddisfatto della vita, insofferente, con amori travagliati alle spalle o che sta vivendo nel momento della narrazione, solitamente ricco con tendenze sinistroidi, di professione studente/pittore/fotografo/musicista/scrittore/impiegato/nullafacente.
Alla base dei racconti c’è la solita ricerca esistenziale: il protagonista si dibatte per trovare un posto nella società, continuando però a sognare un mondo utopico, sopra le righe, inesistente.
Tutti i romanzi di De Carlo sono così, e dopo averne letti più di dieci direi che può bastare.
Certo, ha uno stile di scrittura molto particolare e mai scontato; ad esempio “Uccelli da gabbia e da voliera” è scritto interamente usando il presente, tempo verbale che aumenta il ritmo del racconto facendolo diventare sempre più sincopato, frenetico, teso, soprattutto nei brani in cui assistiamo a degli inseguimenti dove l’oggetto è il protagonista, o in altri dove è lui ad inseguire qualcuno.
Ma non c’è altro che possa essere valutato positivamente in questo libro; ad aumentare il fastidio che mi è rimasto durante tutta la lettura, sono state le continue critiche gratuite e spesso retoriche riguardo l’Italia e più in particolare Milano, vista come una città sporca, schiacciata sotto una cappa di smog, violenta, assolutamente non sicura per viverci, ecc… e l’unico “complimento” che viene fatto al nostro paese è “E’ meglio di Disneyland!” (?!?).
Il libro è stato scritto nel 1982, più di vent’anni fa leggere critiche riguardo lo Stato italiano e la situazione politica dell’epoca sarà stato sicuramente molto duro e sorprendente, ma le stesse critiche, lette oggi, sanno solo di minestrina riscaldata.
Credo inoltre che De Carlo, abbia da subito impostato il romanzo come una sorta di sceneggiatura nell’ipotesi di trarci un film (come successe anni dopo per il suo primo libro “Treno di panna”, ormai facente parte del trash italiano…): tutti i dialoghi del libro sono strutturati con “lei dice - lui dice - io dico”, e le azioni dei personaggi sono descritte nei minimi particolari e perfino in ogni impercettibile e trascurabile movimento. Questo però, annoia eccome!
Altra pecca è il protagonista, che ha un modo di agire e ragionare assolutamente irreale: di fronte ai primi problemi e, soprattutto, alle prime vere responsabilità di vita, scappa; durante il romanzo prenderà svariati aerei e treni e si fermerà solo (momentaneamente) dopo aver trovato l’amore o una semplice attrazione sessuale per alcune ragazze o donne.
In questo modo però sembra ragionare solo col…

5/10

P. S.: da un autore di questo tipo non mi sarei mai aspettata di trovare nello scritto un errore madornale: a pag. 174 la ragazza con cui il protagonista si trova a letto si sfila delle calzette grigie, peccato che a pag. 173 fosse stato precisato, dallo stesso protagonista, che i piedi della ragazza erano nudi appoggiati sulla moquette grigia.

Nessun commento:

Posta un commento