Ho aspettato fino all’ultimo per visitare questa mostra dedicata a Magritte e allestita nella bellissima villa Olmo a Como.
Il  prezzo irrisorio per accedervi comprende anche una visione mozzafiato  degli interni della villa, lasciati il più possibile esposti e non  coperti dall’allestimento.
Così,  tra un dipinto e l’altro, è possibile ammirare i soffitti e le pareti  riccamente decorati, abbelliti da enormi lampadari, statue e ornamenti  di vario tipo.
Le  opere di Magritte esposte sono più di sessanta, e si spazia dal primo  cubismo dell’inizio degli anni ’20, secondo me troppo legato alle regole  del movimento pittorico (i cubisti son tutti uguali…), ad oli,  carboncini, manifesti, fotografie, lettere e oggettistica che hanno  molti aspetti in comune col surrealismo, un surrealismo che, in rapporto  con Magritte, è però concepito con segni ed espressioni create “ad hoc”  dal pittore all’insegna di un’iconografia apparentemente banale (una  mela, la classica bombetta, le colombe, la pipa, ecc…), ma che ha lo  scopo di suscitare nel fruitore una serie di pensieri che lo porteranno  ad arrovellarsi sul vero significato dell’opera, ma al quale non  riuscirà mai ad arrivare pienamente, perché una delle regole portanti  nell’arte di Magritte è l’osservare senza chiedersi troppi perché.
Molti  dei suoi quadri mi hanno sconcertata e lasciata con un senso di  angoscia, di inquietudine, dei sentimenti non gradevoli che hanno però  contribuito a farmi capire la forza visiva di Magritte e a rimanerne  affascinata.
Gli  uccelli-foglia de “L’isola del tesoro” e “Il sapore delle lacrime” sono  mostruosi, terrificanti; nel primo sgranano gli occhi minacciosi,  spiccano un volo che non li porterà da nessuna parte perché inchiodati a  terra dal loro stesso stelo, e sono in netto contrasto con la calma e  la serenità del mare alle loro spalle e del cielo velato solo da qualche  nuvola;  nel secondo il solitario uccello è roso da un bruco che ha già lasciato ben visibile il cielo scuro oltre il  suo busto.
La scala di “Irène o la lettura vietata”, così come le ali degli uccelli-foglia, non porta da nessuna parte e l’asetticità  della stanza contribuisce ad aumentare un senso di ansia.
Le  enormi dimensioni di “Il giocatore segreto” (152 x 195 cm) viste dal  vivo danno sensazioni completamente diverse dal vederle riprodotte in  formato “cartolina” sul catalogo: il dipinto riprodotto ha poca carica  emotiva, si ha l’impressione di osservare i classici dipinti surrealisti  senza guizzi; lo stesso invece visto dal vivo è molto d’impatto, la  donna imbavagliata rinchiusa in una sorta di armadio (nel catalogo e  definito invece come un “mausoleo”…) mi ha spaventata, anche perché è  quasi a grandezza naturale, lo stesso vale per quei birilli enormi che  sovrastano quasi tutta la tela, dai quali spuntato dei rami fra i quali  fluttua una mastodontica tartaruga.
Mi  ha invece infuso calma e serenità “L’estate”, con i suoi colori accesi e  quella bandiera che sventola riflettendo il cielo terso oltre le mura  del palazzo.
E  guardando “Architettura al chiaro di luna” si ha quasi l’impressione,  allungando il dito, di toccare e “sentire” i gradini della scala bianchi  e netti in quell’atmosfera bluastra tipicamente notturna.
Non  molto bella le serie di quadri dipinti con colori sgargianti e  pennellate lunghe, profonde: mi hanno ricordato molto lo stile di Van  Gogh, ma gli unici pregi di questa parte debole della mostra sono stati  gli alberi-foglia di “L’incendio”, le ciminiere rosa de “L’intelligenza”  - sempre abituati a vederle scure, dalle quali escono fumi tossici  grigi e fuligginosi, qui sembrano quasi disegnate con  la  spensieratezza di un bambino - e i monoliti de “Le mille e una notte”  che ricordano molto quello che si erge ne “2001- Odissea nello spazio”  di Kubrick. Per quanto riguarda la donna de “La mietitura”, aveva  ragione una bambina che è capitata vicino a me mentre osservavo il  quadro: “Sembra di vedere i cotton-fioc (i batuffoli di cotone colorati,  n.d.r.)”.
Curiose  le metamorfosi: una carota che si sposa con una bottiglia dando vita ad  un ibrido (che mi ricorda un missile o… una supposta).
Poi  ci sono i classici oggetti magrittiani: la bombetta; la pipa; l’uomo in  giacca e cravatta; una candela che invece di fare luce oscura tutto ciò  che dovrebbe illuminare (“La fata ignorante”); i sonagli; le nuvolette  bianche delle quali la summa è “La corda sensibile” voluttuosa, candida e  perfetta; i cieli blu cosparsi di piccoli puntini bianchi: le stelle;  le rose e le colombe.
Peccato però non fosse esposto il famosissimo “Il tradimento delle immagini” e “Golconde”.
E’  stata una bellissima mostra e un’occasione per vedere per l’ultima  volta in Italia, così in blocco, tutte le oltre sessanta opere che dal  2007 verranno definitivamente esposte solo a Bruxelles.
Ricorderò  di Magritte, oltre a tutta l’iconografia elencata più sopra, la sua  firma piccola e tracciata sulle tele a volte di sbieco, quasi sotto  sopra, con noncuranza, camuffata nel disegno e un po’ infantile nelle  sua fluidità perfetta.
[mostra visitata il 15/07/2006]

 
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