lunedì 17 ottobre 2005

Recensione "Cime tempestose" di Emily Brontë


Considerato uno dei capolavori dell’Ottocento, il primo e unico romanzo scritto da Emily Brontë presenta certamente elementi innovativi a livello strutturale e stilistico: narrare una storia di odio e rancore portato addosso per decenni, violenza sia psicologica che fisica, è stato inusuale farlo alla metà dell’Ottocento quando i canoni romanzeschi erano tutt’altri e non così scandalosi; inoltre va considerato il bizzarro metodo di narrazione della vicenda dove l’unico narratore in prima persona è la governante Nelly che racconta all’ospite Lockwood la storia delle due famiglie farcendo le sue dirette conoscenze con altri racconti che a loro volta le erano stati riferiti da altri personaggi; non c’è quindi un narratore onnisciente e in questo modo non sapremo mai cosa ha fatto Heathcliff nei suoi tre anni di assenza da “Cime tempestose” e che cosa invece fece Isabel una volta rifugiatasi a Londra.

Ma l’amore che va al di là della morte tanto decantato dai critici non mi è parso poi così evidente.

Cathy è a tutti gli effetti una malata mentale che, come il suo amato (?) Heathcliff, trova sollievo nel tormentare gli altri rendendogli la vita il meno possibile sopportabile facendo uso dei suoi piagnistei, della sua civetteria e della sua ben celata cattiveria.

Heathcliff è un sadico che prova soddisfazione e piacere solo nel vedere gli altri soggiogati a lui e nel maltrattarli fisicamente e, soprattutto, psicologicamente.

L’amore fra questi due personaggi non è certo l’amore da fiaba o da romanzo sentimentale, è al contrario un sentimento talmente viscerale e impulsivo che da l’impressione di essere più che altro un istinto animale.

Anche l’amore tra i due giovani Cathy e Hareton, che fa da seguito a quello dei rispettivi genitori dalla metà del libro in poi, non credo si possa considerare amore vero: Cathy, figlia di Catherine e per questo detentrice di non lodevoli sentimenti (basti pensare al continuo disobbedire alle regole paterne per poi correre al capezzale del padre in cerca di perdono quando ormai l’irreparabile è accaduto), cerca un contatto con il cugino solo dopo aver saputo da quest’ultimo del suo struggente amore per lei, quasi come divertimento e diversivo alle noiose giornate dalle quali non può sfuggire per volere del suocero, mentre fino a quel momento aveva disprezzato il cugino perché cresciuto come un contadino e per di più analfabeta.

L’unico personaggio a provare un sentimento profondo e privo di secondi fini sembra essere Hareton, innamoratosi di Cathy fin dal loro primo casuale incontro e sempre pronto a far di tutto, come imparare a leggere e ad estirpare senza pietà le aiuole preferite dall’anziano Joseph, per attirare l’attenzione della cugina.

I personaggi secondari non sono privi di lati negativi: Linton è il vizio per antonomasia con le sue lagne, la sua aria indolente e fiacca, riesce solo a smuovere nel lettore una sorta di pietà quando si ammala gravemente a tutti gli effetti; Lockwood è un codardo che al termine del racconto di Nelly scappa a gambe levate da la “Grange” deciso a “non passare lì un altro inverno nemmeno se lo pagassero”; il fanatico religioso Joseph; il lattaio complice di Cathy e Linton; Edgar che da piccolo era un perfetto bambino viziato come la sorella Isabel; Hindley lasciatosi assuefare dal gioco d’azzardo, dallo sperpero e dal vizio del bere; TUTTI rappresentano il male nelle sue svariate sfaccettature, chi in lieve misura, chi meno, ma tutti legati comunque al mondo degli inferi.

L’unico personaggio a salvarsi è forse la governante Nelly che per tutto il corso della vicenda cerca di fare da intermediaria fra questi personaggi corrotti.

Sono interessanti le metafore e le figure ricorrenti nel romanzo di cui è riportata una analisi nell’appendice del libro (ed. Sperling Paperback, 2001).

E come scrisse un famoso critico: "È impossibile cominciare questo romanzo e non finirlo, e quasi altrettanto impossibile non parlarne dopo averlo letto”.

8/10

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