martedì 16 maggio 2006

"Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria Remarque


E’ il primo libro che leggo di Remarque, scrittore che mi era quasi sconosciuto se non per sentito dire in collegamento alla letteratura incentrata sul primo conflitto mondiale, e perché definito noioso e illeggibile da molti a cui ho chiesto pareri su questo autore.
Personalmente invece l’ho trovato ben scritto e per nulla noioso; è un libro che ti rimane impresso per la capacità di rendere “visivi” e nitidi davanti agli occhi durante la lettura le situazioni che Paolo Bäumer descrive in prima persona, in quello che dovrebbe essere una sorta di diario personale. Visioni di rara crudeltà e ferocia, che perseguitano il giovane soldato e il lettore che lo accompagna nel corso dei tre anni di guerra passati in trincea; situazioni che l’alter ego di Remarque (il romanzo ha carattere autobiografico) descrive senza mezzi termini, senza “svolazzi” stilistici atti ad indorare la pillola, cosa che rende il racconto ancora più assurdo e atroce, perché in alcuni passaggi si ha l’impressione che il protagonista racconti il tutto con freddo distacco, ed è un comportamento, questo, che mi ha sconvolto tanto quanto leggere frasi come le seguenti:

“Accanto a me, ad un caporale viene asportata la testa, di netto. Egli fa ancora alcuni passi avanti, mentre il sangue zampilla dal collo come una fontana.”

“Ecco un corpo […] le due braccia mancano come se le avessero disarticolate. Ne scopro uno, in un cespuglio, a venti passi di là. Il morto giace con la faccia a terra. […] Sotto i piedi l’erba è raspata via, come se l’uomo avesse tirato calci prima di morire.”

Descrivendo la fobia di trincea: “[…] ci fu uno, una volta, che si sforzava a tutt’uomo, con le mani, coi piedi, coi denti, di seppellirsi entro terra.”

Ma dopo questa prima freddezza, si fa strada nel protagonista uno stato di depressione e sconforto che viene accentuato dalla lontananza da casa dopo l’ultima licenza, e dalla morte che falcia ad uno ad uno tutti i compagni a cui era molto affezionato.
Rimasto solo, i pensieri più ricorrenti vanno al ritorno a casa e alla sua vita ormai rovinata, resa senza speranza e cupa da una guerra assurda che ha plasmato ogni uomo fino a limitare il suo sapere alla sola morte come unica occupazione di vita.
E sono proprio le riflessioni di Paolo a costituire la parte fondamentale di tutto il romanzo, attraverso le quali si evidenzia l’assurdità della guerra, nonostante l’avvertenza al lettore posta all’inizio del primo capitolo precisi che questo romanzo non è un atto d’accusa.
E’ un documento che potrebbe raccontare benissimo, con qualche variante, le guerre che si continuano ancora oggi a combattere, perché da allora nulla è cambiato, la dinamica della guerra è sempre quella.

9/10

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